Archivio mensile:Settembre 2016

Mestieri.

La Medina di Marrakech è tutta un brulichio di persone, venditori e compratori, artigiani seduti sulla porta della loro piccola bottega intenti a svolgere mille mestieri, sarti impegnati in piccole riparazioni, dietro la loro macchina per cucire, antiquata come quella che usava mia nonna tanto tempo fa, tintori con i piedi a mollo nelle tinozze e tessitori chini su orditi finissimi, ortolani che ti offrono un fico d’india dopo averlo sbucciato in pochi secondi con grande perizia, barbieri e incantatori di serpenti.

E’ un mondo in perpetuo movimento che ti cattura e ti proietta in un passato che, a tratti, sembra davvero remoto .

Seduto sulla porta del suo bugigattolo oscuro vedo un uomo dal viso aperto e dagli occhi vivaci che con gesti attenti lavora pezzi di vecchi copertoni, ridotti a strisce, e con quel materiale povero fabbrica contenitori, anfore, ceste, vasi che i contadini, di passaggio al mercato, acquistano per poche monete.

Ha un viso antico questo artigiano, ma il suo lavoro di riuso di materiali di scarto ha un sapore incredibilmente moderno.

Marocco - Marrakech

Non ci sono più le mezze stagioni.

Fino a qualche anno fa la festa patronale, che cade la prima domenica di ottobre, si svolgeva in una atmosfera autunnale, freddina e uggiosa, spesso guastata dalla pioggia.

Dagli armadi uscivano impermeabili e vestiti di lana, cosa che diffondeva nell’aria un vago sentore di naftalina (a proposito: quando abbiamo smesso di infilare palline di naftalina negli armadi?), alla sera si  accendevano i termosifoni (giusto per togliere un po’ di umidità dalle case) e ci si metteva in modalità “inverno imminente”.

Anche la torta di latte, la tradizionale “paciarela” aveva un profumo “autunnale”, con il suo aroma caldo di cacao e amaretti.

Per questo mi sembra ancora più innaturale questo caldo quasi estivo e mi sembra strano vedere i ragazzini che giocano a pallone in maglietta, sudati e accaldati come in piena estate.

Lo so che si  tratta del peggiore dei luoghi comuni, ma è proprio vero che non esistono più le mezze stagioni.

Cavenago

Un mese dopo.

E’ passato quasi un mese dalla fine delle vacanze, poco più di un mese dal mio ritorno a casa dopo il viaggio, veloce, ma intenso, in Marocco e i miei occhi hanno perso l’impressione di quella luce, il mio naso ha dimenticato i profumi, gli aromi, gli odori pungenti della Medina, le mie orecchie non ricordano più i suoni e la mia pelle non riuscirebbe più a sopportare la vampa violenta del sole.

I ricordi piano piano si affievoliscono, impastati in un unico grande affresco dove i contorni perdono la loro definizione e quei colori sfumano in questi colori che sono meno intensi, meno luminosi, e mi rendo conto che se non avessi le mie fotografie, i miei ganci per la memoria, a poco a poco le immagini di quel mondo tanto lontano dal mio mondo finirebbero per essere inghiottite dai paesaggi usuali della quotidianità.

Scorro le mie immagini e le sensazioni tornano intatte, rivedo le strade dritte che tagliano la pianura dai colori violenti, rivedo le onde lunghe dell’Oceano, rivedo le architetture eleganti e insieme alle immagini tornano, in un attimo, i colori, gli odori, i sapori e mi afferra una sottile nostalgia.

Verso Casablanca (Marocco)

Marocco - Attraverso il Medio Atlante

Insolito.

Quest’anno per le “Ville aperte in Brianza 2016” abbiamo scelto di non visitare qualche dimora fastosa, ma di farci guidare in un percorso attraverso Vimercate per scoprire la sua storia attraverso le labili tracce che ancora sopravvivono nel tessuto urbano.

E’ suggestivo e insolito percorrere strade apparentemente ben note e immaginare di far sparire, quasi con un tocco di bacchetta magica, gli edifici più recenti per riscoprire il cardo e il decumano di un antico castrum romano e le torri di una fortezza che proteggeva il cuore dell’abitato: la pieve e il mercato.

Si tratta di tracce labili, è vero, ma ben visibili se c’è qualcuno che te le sa indicare e che sa illustrare anche un sottosuolo di cripte e cantine dove è facile scoprire le fondamenta di una torre dell’antico castello in uno spazio che oggi ospita botti antiche in legno accanto a quelle più moderne in cemento e in vetroresina, decisamente meno romantiche, ma probabilmente più funzionali.

E’ sempre bello e interessante permettere alla storia nascosta di riaffiorare.

Vimercate - Ville aperte in Brianza 2016

Ville aperte in Brianza 2016.

Puntuale, poco dopo la fine delle vacanze, a scuola appena iniziata, quando l’autunno è ancora solo sul calendario torna la manifestazione “Ville aperte in Brianza” che, come sempre, offre la possibilità di conoscere un po’ meglio questo territorio ricco di storia, di tradizioni, di cultura, di bellezza.

Nei primi anni la manifestazione spalancava al pubblico incuriosito le ville di delizia che, un tempo, popolavano questi luoghi di oziosa villeggiatura dove la nobiltà milanese si rifugiava per sfuggire alla calura della città.

Spesso si trattava di dimore fastose, nascoste in parchi ombrosi o adagiate lungo i molti corsi d’acqua, decorate con affreschi e sculture, eleganti e raffinate, simbolo di una sicurezza economica che si fondava anche sull’opulenza delle terre.

Con l’andar del tempo la manifestazione si è allargata anche ai borghi, alle cascine, ai luoghi di culto, alle centrali idroelettriche dell’Adda, belle come palazzi signorili, svelando così un patrimonio culturale ed artistico forse poco conosciuto, ma affascinante.

E’ ora di partire alla scoperta di tanta bellezza.

Lungo l'Adda: da Porto a Trezzo

Cornate d'Adda - Centrale Esterle

Suggestione.

Sono stata spesso a visitare il villaggio operaio di Crespi d’Adda per una uscita didattica quando il chiasso gioioso dei ragazzi spezza il silenzio ovattato delle vie che corrono lungo la fabbrica, o per una passeggiata solitaria, magari in un pomeriggio autunnale, quando le brume che salgono dal fiume scivolano tra le costruzioni e rendono l’atmosfera del luogo quasi magica.

Conosco bene questo luogo per certi versi così affascinante, per altri quasi inquietante, questo luogo che ci parla di lavoro, di ordine, di vite trascorse tra la fabbrica e la casa in una quieta sicurezza che sfuma in una sensazione quasi claustrofobica.

Mai però mi era capitato di attraversare il villaggio di notte, accompagnata da una guida dall’eloquio ricco e affascinante e dalle parole di un attore, in cilindro e tabarro, che delineano un pezzo di storia, raccontano una filosofia industriale, ricreano atmosfere suggestive.

Di notte il silenzio diventa più palpabile, la fabbrica si staglia contro il cielo più incombente e le case, nonostante le luci alle finestre, sembrano quasi il fondale inanimato di un palcoscenico oscuro.

Crespi d'Adda (visita notturna)

Crespi d'Adda (visita notturna)
 

Non guardiamo i voti!

Dallo scorso anno, nell’ambito di quella che viene definita con un’espressione un po retorica la “dematerializzazione” della pubblica amministrazione, dai nostri cassetti sono spariti i registri cartacei e tutte le valutazioni e le annotazioni vengono riportate sul registro elettronico con la conseguenza immediata che ragazzi e genitori possono vedere tutti i voti, ben allineati, con un solo colpo d’occhio, di un bel verde rassicurante se sono positivi, di un rosso angosciante se sono negativi.

Ragazzi, genitori e insegnanti hanno ben chiara la situazione, possono cimentarsi in astrusi calcoli algebrici o studiare strategie di miglioramento, ma c’è un “ma”: i voti sono solo un aspetto e, vorrei dire, il meno importante, del percorso scolastico.

Il voto non ci racconta esattamente che cosa ha imparato uno studente, ma certifica un risultato, il voto nulla ci dice degli interessi, delle curiosità, dell’impegno.

Allora vorrei lanciare, a me per prima, una provocazione: ogni tanto dimentichiamoci del valore numerico del voto, delle medie algebriche, e dedichiamo una attenzione maggiore alla qualità della vita scolastica di ogni ragazzo, al suo benessere, al suo percorso di apprendimento.

Ogni tanto non chiediamo “che voto hai preso?”, ma “che cosa hai imparato di nuovo?”.

Così facendo forse renderemo la scuola un luogo migliore in cui crescere, in cui vivere.

 

La pioggia all’improvviso.

Dopo un inizio di settembre tanto caldo e soleggiato da far invidia al mese di luglio è arrivata la pioggia e, con la pioggia, la temperatura è crollata di colpo.

Intendiamoci: non ho alcuna fretta che arrivi l’autunno, ma la pioggia, la temperatura freddina, il cielo grigio e un po’ triste sono molto utili per un’insegnante che cerca di catturare l’attenzione dei ragazzi.

Se là fuori splende il sole e c’è un bel caldo estivo la battaglia rischia di essere persa in partenza: gli occhi dei ragazzi sembrano calamitati dalla luce e vagano sulla collina, tra gli alberi ancora verdi.

E’ fin troppo facile intuire che preferirebbero stare all’aperto a correre, a giocare o anche solo a chiacchierare ascoltando musica “a palla” seduti su una panchina del parco e invece sono qui, prigionieri dei banchi, dei libri e dei voti.

E’ meglio, molto meglio, che continui a piovere.

Cavenago - cieli

Il coraggio e la gioia.

Avrebbe voluto gareggiare a Londra quattro anni fa, ma era troppo piccola, questa splendida ragazza di diciannove anni con gli occhi chiari e limpidi, con il sorriso contagioso che fa dimenticare il corpo devastato da una malattia crudele e ha dovuto esercitare l’incredibile arte della pazienza per attendere l’edizione di Rio de Janeiro dei giochi Paralimpici.

Oggi Bebe Vio è salita sul tetto del mondo con il suo coraggio, con la sua forza, apparentemente senza far fatica vincendo la medaglia d’oro con la naturalezza che è propria degli dei.

Ma il traguardo che ha raggiunto oggi è costato fatica e duri allenamenti e coraggio e voglia di mettersi in gioco e perseveranza  nei momenti difficili.

Tutto questo lavoro oggi si stempera in un urlo di gioia, in un pianto liberatorio, in quel cantare l’inno nazionale accompagnando la musica con i cenni del capo, proprio come fanno i bambini che nel cantare l’inno di Mameli ci mettono tanto entusiasmo, ma anche tanta serietà.

Brava Bebe, la tua gioia oggi te la meriti tutta

Emoticon ed emozioni.

Parliamo di comunicazione oggi in classe e loro, i campioni mondiali della comunicazione digitale (nel senso che digitano alla velocità della luce con i pollici, sullo schermo dello smartphone, senza neppure guardare ciò che scrivono) non sono molto propensi ad accettare l’idea che parlare con una persona, guardandola negli occhi, possa permettere di comunicare in modo più efficace.

Eppure sanno molto bene quanto i loro messaggi, scambiati ad alta velocità, possano creare, ed abbiano già creato nel recente passato, fraintendimenti, litigi, rotture di sodalizi che duravano dalla scuola dell’infanzia, lunghissime discussioni estenuanti a base di K, di tvb e di messaggi dal significato criptico.

Sanno molto bene che la comunicazione non è fatta solo di parole, ma soprattutto di sguardi, di gesti, di sorrisi, di toni della voce, sanno bene che le emozioni, quelle vere, passano soprattutto attraverso i linguaggi non verbali.

Ma loro usano le emoticon (le faccine sorridenti, arrabbiate, stupite, spaventate che popolano le loro chat)… usano le emoticon e sono contenti così.