Archivio mensile:Agosto 2016

La Medina incantata.

Camminare per la Medina di Fes è un’esperienza un po’ straniante perchè, percorrendo le viuzze ombreggiate, spesso strettissime, dove non passano mezzi di trasporto, si ha l’impressione di essere catapultati indietro nel tempo, in un Medioevo che qui non sembra così remoto.

Il dedalo di vicoli, che ogni tanto si aprono in piazzette soleggiate, è tutto un susseguirsi di odori, di colori, di suoni, si passa dai colori accesi delle vasche dei tintori di seta d’agave, agli odori pungenti delle vasche delle concerie del pellame, che solo le foglie di menta riescono a mitigare, mentre le orecchie sono pervase da un rumore di fondo fatto di richiami dei venditori, di colpi monotoni dei martelli dei fabbri, di grida di avvertimento dei conducenti degli asinelli, gli unici mezzi di trasporto, oltre ai carretti a due ruote, della Medina.

Ogni quartiere ha una Moschea, una fontana, un forno, un asilo e un hammam, luoghi di incontro irrinunciabili, ci si trova in Moschea per pregare, ci si raccoglie intorno ad una fontana, si porta il pane al forno,  si passa qualche ora nell’hammam e intanto si socializza, ci si conosce, si scambiano idee e esperienze.

Poi da una viuzza si sbuca davanti ad una Madrasa, la scuola coranica, che è tutta un’esplosione di decori in stucco, in legno di cedro e in ceramica, come la Madrasa Bou Inania, la più bella scuola coranica del Paese, che risale alla prima metà del 1300.

E poi si esce, si torna nel souk, tra venditori e suoni, e colori, e odori e si ha l’impressione che il tempo si sia fermato.

Marocco - Fes

Una cartolina da Rabat.

Prima di passare la porta delle mura della Qasba di Rabat si costeggia l’Oceano, lungo una via molto trafficata, e  un vasto cimitero, il “Giardino dei silenziosi” come lo definisce con una espressione poetica e gentile la nostra guida.

Poi si passa la porta e ci si trova proiettati in un altro mondo, fatto di stradine con case bianche e azzurre che ricordano altri luoghi del Mediterraneo, quasi a simboleggiare il fatto che noi che ci affacciamo su questo mare abbiamo veramente molte cose in comune.

Si passeggia per le viuzze ombrose e un po’ scoscese, con un occhio attento a dove si mettono i piedi, e l’altro pronto a cogliere scorci da cartolina, con quei muri bianchi che si stagliano contro il blu del cielo, e gli angoli fioriti, e le porte decorate e un gattino acciambellato su una soglia.

Sembra quasi di stare in un set cinematografico, ma i suoni e i profumi che sfuggono dalle finestre socchiuse ci parlano di una quieta quotidianità che nulla ha a che fare con le cartoline e allora magari si abbassa la voce, si rallenta il passo, si frena la curiosità che ci spingerebbe a scrutare negli androni ombrosi.

E passeggiare è piacevole, quasi come aggirarsi in una fiaba.

Marocco -  Rabat
 

E’ già nostalgia.

Quando stamattina le ruote del carrello si sono staccate dalla pista di Marrakech e l’aereo ha cominciato ha puntare verso il cielo i miei occhi hanno accarezzato per l’ultima volta quella terra rossa punteggiata di filari ordinati di alberi da frutto,  quelle casette che si confondono col terreno ed ho provato subito una punta di nostalgia.

Ho provato nostalgia per quel cielo e per la luce, fortissima e tersa, che esalta i colori e li fa splendere.

Ho provato nostalgia per i profumi pungenti di fiori, di frutta e di spezie, per i mille odori del suk, non sempre gradevoli, ma così caratteristici da restare impressi nella mente, prima che nelle narici.

Ho provato nostalgia per il ritmo lento, che mi appartiene così poco, per le ore passate a tavola o nel giardino segreto e silenzioso di un ryad, per quel tè alla menta bollente e tonificante sorseggiato con calma ad un tavolino di un bar.

Ho provato nostalgia persino per il caldo così secco che ti arde la pelle, ma non ti impedisce di respirare.

Penso che il Marocco mi sia entrato a poco a poco nel cuore.

Casablanca (Marocco)

La valigia.

Quando devo affrontare un viaggio un po’ più impegnativo di una fuga per un week end di solito uso una valigia molto leggera dall’improbabile colore dorato, improbabile, ma utile quando devo aspettare in aeroporto perchè sul nastro trasportatore la mia valigia si distingue a grandi distanze fra le molte di colore più anonimo (a meno che non si sia imbarcata per ignoti lidi, ignoti e comunque diversi dai miei).

Non mi piace molto preparare i bagagli, ma è un male necessario se si vuole viaggiare e cerco di rimandare il momento fino all’ultimo, ammucchiando vicino alla valigia tutto ciò che potrebbe servirmi, ben diviso tra ciò che viaggerà nella stiva e ciò che verrà a bordo con me.

Vivo nel terrore di superare il peso consentito e così le operazioni di imballaggio sono punteggiate di dubbi di ripensamenti e di incertezze.

Guardo perplessa il cavalletto della macchina fotografica, pesante e un po’ minaccioso, e mi chiedo se sia il caso di lasciarlo a casa salvo poi pentirmi di non averlo con me quando vedrò la luna spuntare dietro un minareto nel cuore del Marocco.

Poi alla fine decido che è meglio avere un cavalletto in più e qualche maglietta in meno.

Tra calcoli algebrici e calcoli delle probabilità la valigia finalmente è pronta….

… è quasi ora di partire.

Verso Istanbul

Piccole meraviglie.

Cammino lungo i pascoli punteggiati di fiori coloratissimi e mi ritrovo a pensare che lo spettacolo della natura è sempre incredibile, mille sfumature di giallo, di rosso, di blu che sembrano accendersi sempre di più via via che si sale di quota.

E poi, dopo una curva, mentre il sentiero si inerpica ripido il mio sguardo si posa su piccoli fiori bianchi, leggeri leggeri, piccoli ciuffi di fili sottili come seta, bianchissimi e luminosi, che danzano al minimo soffio di vento.

Mi stupisce la loro delicatezza, l’eleganza di quei petali lievi come tele di ragno, il leggero staccarsi dei semi che si affidano silenziosamente ad una bava di vento e danzano nell’aria fino a posarsi poco lontano per creare nuova vita, nuova bellezza.

Non so perchè, ma sento nascere dentro di me una gioia sottile e un senso di gratitudine, come se avessi ricevuto un dono prezioso.

fiori

 

Cerchi rosa.

Come avrebbe reagito De Coubertin, che sosteneva che “la differente fisiologia della donna e il diverso ruolo nella società la rendevano inadatta all’attività sportiva”, se avesse assistito alla cerimonia di apertura dei giochi della XXXI Olimpiade?

La notte di Rio ha visto sfilare numerosissime portabandiera, alcune sorridenti, altre emozionate, altre orgogliose del proprio ruolo, consapevoli di quanto lungo sia stato il cammino che le ha portate lì, in quello stadio leggendario per imprese sportive tutte al maschile.

Dietro di loro hanno sfilato le squadre, tutte con almeno una donna fra gli atleti quasi a testimonianza dei mutamenti dell’ultimo secolo riguardo alla presenza delle donne nella società.

Tra le portabandiera ho visto la nostra Federica Pellegrini, sorridente ed emozionata e poco prima di lei, con la bandiera dell’Iran, Zahra Nemati, l’atleta costretta da un incidente a muoversi in sedia a rotelle, pronta a rappresentare orgogliosamente il suo Paese nella cerimonia di apertura a nella gara di tiro con l’arco.

Ho visto l’alfiere della squadra dei Rifugiati, la diciottenne siriana dall’aria sbarazzina Yusra Mardini che nell’agosto del 2015 si è tuffata dal barcone alla deriva nelle acque del Mare Egeo con venti persone a bordo e nuotando per tre ore lo ha trascinato fino a portare tutti in salvo sulle coste dell’isola di Lesbo.

Queste donne forti, coraggiose, sorridenti la loro medaglia l’hanno giù vinta.

Finale ligure

 

 

Madonna della Neve.

Secondo una poetica tradizione nella notte fra il 4 e il 5 agosto del lontano 358 la Madre di Dio apparve in sogno ad un devoto che da tempo aveva deciso di edificare una chiesa in suo onore invitandolo a costruire il tempio nel punto dove all’alba avesse trovato la neve.

Fu così che sull’Esquilino, imbiancato da una insolita nevicata estiva, sorse la basilica Liberiana, poi trasformata nella splendida Santa Maria Maggiore da papa Sisto III tra il 432 e il 440.

Ancora oggi il miracolo della tradizione è ricordato da una nevicata di petali bianchi che, dalla volta della cappella Paolina, scendono lievi sui marmi della basilica.

Anche fra le mie montagne il 5 di agosto è un’occasione per salire in processione in Val Biandino, alla chiesetta della Madonna della Neve, o per partecipare alle celebrazioni ai Piani di Artavaggio o in tutti i luoghi dove la devozione ha dedicato un luogo di culto, grande o piccolo, alla Madre di Dio.

Come spesso accade, purtroppo, oggi la valle si è svegliata sotto un violento nubifragio che ha rovinato la festa.

Val Biandino

Non solo sentieri.

La vacanza per me è riposo, ma anche passeggiate a passo lento lungo sentieri tranquilli, fra i pascoli e i boschi, tra cielo e terra, nel silenzio della montagna che, benché sia agosto, regala momenti di quiete profonda in cui la mente è libera di perdersi sul filo di pensieri leggeri.

E poi, dopo qualche ora di cammino, la vacanza è anche arrivare ad un rifugio e sedere ad un tavolo con altre persone, come succede spesso nei rifugi, e scambiare qualche parola e assaporare cibi gustosi, i cibi che, di solito, non compaiono sulla mia tavola: una polenta saporita, un tomino fumante, qualche fetta di speck che profuma di montagna.

Mentre bevo il caffè lascio scorrere lo sguardo sui profili dei monti e mi sembra che non esista più nulla intorno.

Piani di Artavaggio (agosto 2016)

Acqua e cielo.

La giornata inizialmente grigia e un po’ tetra si è, a poco a poco, colorata d’azzurro, una giornata di relax puro, un buon pranzo insieme ad un gruppetto di amici, chiacchiere oziose, pensieri oziosi e la serenità che mi avvolge piano piano e accarezza le mie piume arruffate.

Seduta in riva a uno specchio d’acqua in cui si riflette l’azzurro del cielo e il verde dei boschi finalmente non penso a niente e non faccio niente e mi abbandono alla quiete più assoluta.

Anche il tempo sembra rallentare, come se si avvolgesse in una spirale sempre più lieve, sempre più morbida: il tempo non ha più importanza, non ho appuntamenti, non ho impegni, non ho lavori urgenti da terminare, posso permettermi il lusso di lasciarmi cullare dai minuti che scorrono lenti, senza fare rumore.

Ora sono veramente in vacanza.

Cortabbio (Primaluna)

Il passato sepolto.

Sembra inverosimile in questi tempi, in cui viviamo un clima di precarietà che genera inquietudine, in cui dobbiamo fare i conti con il destino, con il caso, in cui abbiamo la triste consapevolezza che nessun luogo, nessun tempo, nessun comportamento possa dirsi veramente “sicuro”, sembra inverosimile, dicevo, che il nostro paese abbia già conosciuto in tempi recenti una storia tutto sommato simile a quella che stiamo vivendo.

Eppure cosa c’è di più banalmente normale che starsene in una stazione in un giorno come questo, ad aspettare il treno che ti porterà finalmente in vacanza o che a vacanza finita ti riporterà a casa, al tuo lavoro, alla quotidianità.

Trentasei anni fa, il 2 agosto, nella sala d’aspetto della stazione di Bologna c’era un sacco di gente, perchè Bologna è uno snodo ferroviario importante tra nord e sud, tra le città e il mare, c’era un sacco di gente che aspettava pazientemente, sopportando la calura estiva, e c’erano bambini e anziani, donne e uomini, qualcuno aspettava il treno, qualcuno all’edicola acquistava una rivista, qualcuno seduto nel suo taxi aspettava i clienti, qualcuno aveva perso una coincidenza e si industriava a decifrare l’orario ferroviario, qualcuno non doveva essere lì perchè era arrivato in anticipo o in ritardo.

Trentasei anni fa cercavo disperatamente notizie di due carissimi amici che sapevo in viaggio verso il mare e in transito da Bologna, più o meno a quell’ora, ma, per fortuna, non proprio a “quell’ora”, le 10.25 fissate sul quadrante dal vetro frantumato dell’orologio della stazione.

La storica Cinzia Venturoli ha raccolto pazientemente i frammenti di queste vite spezzate e forse i suoi racconti ci aiuteranno a ricordare un passato purtroppo sepolto sotto macerie ben più grevi dei resti di quei poveri muri devastati.

Bologna