Inchiodata davanti alla TV.

In questa settimana in montagna ho preso l’abitudine di passare la serata facendo quattro passi o leggendo un libro, poi, verso mezzanotte, prima di andare a dormire davo un’occhiata a “Rai News 24” giusto per vedere se era successo qualcosa di importante e, per due sere, sono restata con gli occhi incollati allo schermo per cercare di capire, per cercare di sapere fino a ore tardissime.

Giovedì sera le immagini della strage di Nizza mi hanno riempito la mente e il cuore di dolore e di orrore e di incredulità per ciò che stavo vedendo.

Dopo ristoranti,  bar e discoteche la morte ha colpito per la strada, in una sera d’estate, in una sera di festa, mentre gli occhi di tutti erano catturati dal fascino dei fuochi d’artificio.

Mi sono venute in mente le parole di un sopravvissuto di Auschwitz che spiegava lo stato d’animo suo e di molti  con una frase terribile “Non sapevi quale comportamento fosse quello giusto, non sapevi cosa ti avrebbe salvato la vita” e ho pensato che anche per noi, oggi, questo pensiero è terribilmente attuale: non sappiamo quali luoghi possono essere pericolosi, quali situazioni devono essere evitate se la morte può colpire in un ristorante, in un bar, in discoteca o per la strada.

Mi rifiuto di accettare che l’unico comportamento sicuro sia quello di starsene tappati in casa, di non salire su un metro, o su un aereo, di non cenare con gli amici in un ristorante in centro, di non passeggiare per una via affollata.

E poi, la sera seguente, ho acceso di nuovo la televisione e come uno schiaffo mi hanno colpito le immagini delle vie di Istanbul invase dai carri armati e sono rimasta lì, di nuovo, fino a tarda notte per cercare di capire la sorte di quella città, di quella nazione che ho amato tanto, mentre la memoria ripercorreva i luoghi dove avevo passeggiato serena e curiosa, con lo spirito gioioso di chi sta visitando un luogo stupendo, carico di storia e di civiltà, esotico, ma non troppo.

Non ho quasi più il coraggio di accendere la tv.

Istanbul

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