Ricordi d’infanzia.

Tanto tanto tempo fa, quando finiva la scuola, la mia famiglia si trasferiva in montagna, sempre in Valsassina (proprio come ora) e il trasferimento era molto simile ad un esodo biblico.

Affittavamo un piccolo appartamento di due stanze, disposte su due piani, arredate in modo piuttosto sommario per cui dovevamo portarci appresso, oltre ai vestiti, una serie infinita di suppellettili (pentole e  catini compresi) e di biancheria da casa, dalle lenzuola, alle tovaglie agli asciugamani di tutte le dimensioni.

Avevamo una minuscola utilitaria (la mitica Fiat 600) che veniva stivata di bagagli fino all’inverosimile e una volta disposti tutti i pacchi, le valigie, borse e sacchetti vari cercavamo di incastrarci nell’abitacolo, facendoci piccoli piccoli e trattenendo il fiato (… e meno male che allora eravamo magrissimi).

La cinquantina di chilometri che separava (e separa tuttora) casa nostra dal paradiso sembrava infinita, ho l’impressione che l’auto procedesse lentissima, arrancando e sbuffando su per i tornanti.

Poi si arrivava a destinazione e i primi giorni passavano nel l’estenuante lavoro di riporre e organizzare tutto ciò che ci eravamo portati appresso e poi finalmente cominciavano le vacanze, quelle vere, fatte di lunghe passeggiate a piedi lungo la valle, di arrampicate, di dighe  di sassi sul torrente, di giochi nei boschi, di fragole, lamponi, mirtilli e more raccolte lungo il sentiero, di notti stellate piene di lucciole, di temporali terrificanti che ci coglievano a diversi chilometri da casa, di racconti sulle panchine della piazzetta fino a quando calava il buio e l’aria diventava fresca.

E poi erano vacanze in cui ho imparato che camminare in montagna può essere faticoso, che il rifugio sembra sempre più lontano, ma che, una volta arrivati in cima, il cammino regala un panorama immenso e la sensazione di essere liberi e forti e migliori.

Piani di Artavaggio

 

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