Quando il popolo è sovrano.

Il referendum potrebbe sembrare l’espressione massima della democrazia ( e almeno teoricamente lo è), ma spesso è lo strumento che permette alla politica (e ai politici) quando non è più in grado di trovare soluzioni, mediazioni e risposte, di spogliarsi di responsabilità e delegare i propri compiti ai cittadini.

Con il referendum si saltano estenuanti discussioni e ricerca di compromessi, si aggirano parlamenti e governi per dare voce ad una volontà popolare che molto spesso è la somma di paure e piccoli egoismi, ragione e istinto, emozioni e consapevolezze, individualismo e collettività.

Il referendum è una scelta secca fra bianco e nero, in una realtà che non ha più le sfumature della mediazione, ma nella quale si può essere solo inesorabilmente a favore o contro.

Il referendum funziona se chi è chiamato a decidere è veramente informato, non solo sull’oggetto del contendere, ma anche sulle sue sottili implicazioni, sulle conseguenze, sui mutamenti di scenario, nazionale e internazionale, che si prospettano.

Se è vero che ieri, dopo la vittoria del “Leave” i motori di ricerca hanno registrato in Gran Bretagna un picco in domande della serie “Cos’è la Ue?” e “Cosa significa lasciare la Ue?”, se è reale l’intervista ad un uomo, seduto sui gradini di una stazione, che affermava di aver votato “Leave”, ma di avere il dubbio di aver sbagliato e di non aver capito bene la questione è legittimo chiedersi se chi ha votato fosse veramente consapevole della propria scelta.

Il referendum, tuttavia, non permette passi indietro, la scelta è inequivocabile e vincolante proprio perchè il popolo è sovrano e quando il popolo, nel bene o nel male, decide nessuno può più mettere in discussione le sue scelte, che vanno sempre rispettate.

Proprio come è successo nella scelta tra Cristo e Barabba.

Milano - Brera

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