Archivio mensile:Aprile 2016

Andare per musei.

Avevo visitato il Museo Poldi Pezzoli diversi anni fa e oggi, passeggiando nella zona del Quadrilatero, tra negozi eleganti, abiti griffati, borse costosissime, mi sono trovata a passare davanti all’entrata del museo, sormontata da un’insegna con il profilo delicato della Dama del Pollaiolo, e allora mi sono detta “perché no?”.

Il museo’ in realtà una casa museo che raccoglie gli oggetti di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, un fine e raffinato collezionista, e del suo patrimonio familiare.

Se si ha la fortuna, come mi è successo oggi, di trovare pochi visitatori, è possibile muoversi con calma tra i diversi ambienti e percorrere la sala dei maestri lombardi, o soffermarsi incantati davanti ad una vetrina ricca di porcellane preziose, sedersi con calma davanti alla “Madonna col libro” di Botticelli o alla elegantissima ed enigmatica “Dama” del Pollaiolo, ammirare le tarsie di mobili antichi o aggirarsi tra decine di orologi e di bussole.

Milano è una città ricca di musei e gallerie, ma il Poldi Pezzoli ha un fascino davvero particolare.

Milano - Museo Poldi Pezzoli - Ritratto di Dama del Pollaiolo

Prendersi un po’ di tempo.

Fa bene allo spirito e anche alla salute trovare un po’ di tempo, anche nella giornata più frenetica, per sedersi (al tavolo della cucina, al tavolino di un bar) e bere un caffè, in santa pace.

Non mi piace sorbire il caffè in piedi, come i cavalli, in fretta e furia, neanche quando il tempo è un po’ più tiranno.

Mi piace starmene seduta da sola, seguendo un filo sottile di pensieri, mentre la mano oziosamente gira il cucchiaino che tintinna nella tazzina, con gli occhi un po’ persi nel vuoto, mentre l’aroma si spande, caldo e confortante.

Mi piace anche bere il caffè con un’amica (per la precisione con l’amica) o con qualche persona che mi è cara, qualche ex allieva che non vedo da tempo, qualche collega con la quale condivido le fatiche quotidiane, e scambiare parole leggere o affrontare discorsi troppo seri per il poco tempo di un caffè.

L’ideale è un tavolino all’aperto, quando la stagione lo permette, e allora c’è anche la carezza del sole, la brezza, il profumo delle piante e dei fiori.

Caffè

Con altri occhi.

Chi mi conosce sa che spesso nella mia borsetta (borsetta si fa per dire, visto che  potrebbe ricordare una piccola valigia )  c’è la macchina fotografica, pronta a catturare immagini e impressioni, pronta a trattenere emozioni e ricordi.

Mi piace viaggiare, mi piace osservare, ma spesso faccio fatica a ripescare nella memoria i dettagli di ciò che vedo e in questo caso la mia macchina fotografica diventa un altro paio di occhi, occhi attenti, sicuri, che fissano le forme e le luci e me le restituiscono intatte restituendomi, allo stesso tempo, le emozioni, le sensazioni, i profumi, i suoni.

Quando a distanza di tempo rivedo le mie fotografie ritrovo i ricordi tutti interi, riprovo sulla pelle il caldo torrido di Efeso, ritrovo  il respiro affannoso e il senso di leggero stordimento dei tremila e quattrocento metri di Punta Helbronner, l’aria frizzante del Passo dello Stelvio, gli odori di Venezia, il profumo di resina di una pineta in Val Pusteria, il sapore di un cibo, la freschezza dell’acqua di un torrente, la musica un po’ malinconica di un violino a Colmar.

E ritrovo le parole, le risate, gli incanti. i sogni, i piccoli gesti che sembravano dimenticati.

E’ un po’ come avere occhi più potenti, occhi capaci di lavorare per tutti gli altri sensi, quelli che nelle immagini non compaiono, occhi della memoria, occhi del cuore.

Per questo la mia macchina fotografica, nonostante il peso non indifferente, è sempre con me.

Piani di Artavaggio - Marzo 2016

Turismo a chilometri (quasi) zero.

Non sempre è indispensabile imbarcarsi in lunghe trasferte per vedere qualcosa di bello e di interessante, anzi qualche volta basta fare pochi chilometri, viaggiare per una ventina di minuti per scoprire (o riscoprire) luoghi splendidi che non conoscevamo o forse, più semplicemente, che ci eravamo scordati di conoscere perchè capita spesso che ciò che ci è familiare ci scivoli sotto gli occhi.

Oggi, nonostante la giornata uggiosa, sono andata a visitare gli appartamenti reali della villa Reale di Monza.

La villa Reale di Monza, restituita dopo un lungo lavoro di restauro, è una residenza estiva di grande eleganza voluta da Ferdinando d’Asburgo (figlio di Maria Teresa d’Austria) e realizzata su progetto del Piermarini in tre anni (1780).

Passò ai francesi, durante il periodo napoleonico, e fu abitata da quel Eugenio de Beauharnais che di dimore principesche se ne intendeva, dopo  la fine delle fortune di Napoleone passò di nuovo all’Austria per diventare, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, residenza del sovrano Umberto I e della regina Margherita che qui soggiornarono fino all’assassinio del re (1900).

Dopo il luttuoso evento Vittorio Emanuele III non volle abitare la villa e fece trasferire molti degli arredi al Quirinale e in altre residenze reali.

La visita degli appartamenti reali permette tuttavia di leggere, negli arredi rimasti e nelle decorazioni, lo stratificarsi della storia.

E poi, dopo aver ammirato l’eleganza degli appartamenti, basta uscire dal palazzo per immergersi nei giardini reali e nel parco recintato più grande d’Europa… e scusate se è poco.

Monza - Villa Reale

Miramar.

Il Castello di Miramare è un sogno di pietra a picco su un promontorio ventoso, un sogno che Carlotta e Massimiliano riuscirono a realizzare per pochissimo tempo, l’arciduca d’Austria, infatti,  diventato Imperatore del Messico fu ucciso in quel paese lontano, lontano da Trieste, lontano  dal suo castello dove aveva vissuto solo per quattro anni e del quale non aveva visto la conclusione dei lavori.

Era una dimora imponente, di gusto neomedievale, una dimora elegante, ricchissima di arredi preziosi, ma allo stesso tempo calda ed accogliente.

Accogliente è lo studio dell’arciduca che riproduce il quadrato di poppa della nave Novara, utilizzata da Massimiliano nei suoi spostamenti, dalla scrivania, attraverso le grandi finestre, si vedono solo il mare e il cielo.

Accogliente è la grande biblioteca che, con il suo importante patrimonio librario, ci racconta la curiosità e  la ricchezza degli interessi culturali di Massimiliano  e Carlotta  in materia di letteratura, arte, storia, botanica e geografia.

Mi è piaciuto il Castello di Miramare perché camminando nelle sue stanze  non ho avuto l’impressione di visitare solo un museo, ma una casa abitata da persone innamorate del mare e della bellezza.

Trieste - Castello di Miramare

Con la pelle dura.

A guardarli così, in modo superficiale, sembrano duri e sicuri di sé questi preadolescenti un po’ spavaldi e, apparentemente, indipendenti, chiacchierano con leggerezza, chattano in qualsiasi momento del giorno, e qualche volta della notte, aggrappati ai loro smartphone come Linus alla sua coperta.

Sembra che abbiano la pelle incredibilmente dura, ma ogni tanto, quando abbassano inavvertitamente la guardia, anche solo per un momento, nei loro occhi si legge una sorta di smarrimento, celato dietro ad un sorriso, ad un gesto un po’ ruvido.

Chiedono aiuto, qualche volta, ma non vogliono darlo a vedere e allora noi adulti che viviamo accanto a loro, noi genitori, noi insegnanti, dobbiamo far comprendere loro che siamo lì, che siamo disponibili, che possiamo e vogliamo metterci al loro fianco, non per giudicarli, non per sottovalutare i loro problemi, ma per aiutarli a trovare dentro di loro le risposte alle loro domande.

Vogliono sentirsi grandi, ma hanno paura che li consideriamo ancora piccoli, che consideriamo i loro dolori, i loro problemi piccoli e banali, che non li prendiamo sul serio.

Non è facile stare accanto a questi ragazzi, non è facile essere presente in modo discreto e forte al tempo stesso, non è facile, ma non si può non farlo.

Da Barzio a Introbio (occhi)

Marcia indietro.

A due mesi dalla pubblicazione  della nota secondo la quale gli insegnanti (e i capi d’istituto) avrebbero dovuto compiere una serie di verifiche burocratiche e di sicurezza prima di salire sui pullman il Miur fa marcia indietro probabilmente anche per evitare il rischio fondato che molti rinuncino ad accompagnare le classi in viaggio.

A ben vedere anche senza la famigerata nota del ministero l’entusiasmo dimostrato dai docenti a riguardo dei viaggi d’istruzione è piuttosto limitato: accompagnare dei preadolescenti in viaggio (in un viaggio che preveda un paio di pernottamenti) non è una “passeggiata”, contrariamente a quanto pensano in molti non c’è alcun compenso aggiuntivo (… e pazienza), si dorme quattro ore per notte (… e sempre con un occhio solo), si deve stare attentissimi, contare e ricontare i ragazzi (non si sa mai), preoccuparsi di tutti gli imprevisti, della ragazzina che sta male, di quello che non riesce a richiudere la valigia, di quelli che non mangiano niente, di quelli che mangiano troppo, di quelli che non riescono a svegliarsi, di quelli che si svegliano troppo presto, dei cellulari smarriti, caduti, persi, distrutti, inesorabilmente muti.

Chi decide di accompagnare i ragazzi non è masochista, non è neppure un incosciente, semplicemente è un insegnante che crede nel valore educativo di queste esperienze e non solo, e non tanto, per quello che i ragazzi possono imparare in campo storico, geografico, artistico o scientifico, ma soprattutto perchè il viaggio è un’occasione per crescere come persone e come gruppo.

Una settimana fa, all’alba, poco prima di partire per Trieste con le terze medie, ho chiesto all’autista (decisamente con poca convinzione e con un po’ di ironia) di farmi dare un’occhiata al motore (occhiata che in realtà non ho dato: chi sono io per permettermi di dare occhiate ai motori?), poi durante il viaggio mi sono assicurata che fosse tranquillo e sufficientemente riposato e non perchè lo avesse prescritto il ministero, ma perchè sono consapevole che il conducente è una persona che lavora e che dalla sua serenità dipende la sicurezza di tutti quanti.

Gorizia
 

Condividi se sei indignato.

Chi ‘ha detto che non siamo più capaci di indignarci?

Spesso sui social network compare questa frase in calce ad una fotografia, accompagnata da una frase, scritta a caratteri cubitali, che dà l’impressione (si badi bene … solo l’impressione) che siano state perpetrate orribili ingiustizie, nefandezze inenarrabili, terrificanti truffe fonte di mirabolanti profitti.

Se si legge in modo veloce, superficiale, un po’ distratto, può darsi che si venga travolti da un’ondata di indignazione e che si clicchi sul tasto “condividi” alimentando così, più o meno inconsapevolmente, il libero mercato delle bufale e delle leggende metropolitane.

Capitava anche una volta, ma la velocità e la diffusione della rete fanno sì che quelle che un tempo erano chiacchiere oziose da bar si diffondano alla velocità della luce.

Che dire, per esempio, della unanime condanna del “monossido di diidrogeno” ? Come non indignarsi per un elemento potenzialmente letale, sulla cui pericolosità governi e multinazionali tacciono colpevolmente?

Il “monossido di diidrogeno”, se inalato, può essere addirittura mortale, allo stato gassoso può provocare ustioni, allo stato solido può danneggiare i tessuti, viene usato largamente nelle centrali nucleari, è causa di erosione del suolo e può corrodere e ossidare i metalli.

Viste le terribili conseguenze del suo uso chi non si indignerebbe, chi non condividerebbe una petizione per mettere al bando questo elemento così pernicioso?

Peccato che il “monossido di diidrogeno” sia noto ai più con il nome molto più innocente di “acqua”.

A proposito, prima di indignarci e condividere l’immagine di un uomo, di chiara origine mediorientale, che vorrebbe obbligarci ad usare i numeri arabi, ricordiamoci che i numeri romani li usiamo solo sulle lapidi ( e non riusciamo mica tanto a leggerli).

Trezzo sull'Adda

 

Piazza dell’Unità d’Italia

Per innamorarsi di Trieste bisogna fermarsi un po’ qui, in questo che è il salotto buono della città: Piazza dell’Unità d’Italia è uno spazio vasto, elegante, aperto sul mare che fa da fondale luminoso ai palazzi che si affacciano sui lati del grande rettangolo.

Qui passa tutta la città, è un luogo dove  incontrarsi, un luogo dove passeggiare, un luogo dove soffermarsi a fare quattro chiacchiere e intanto godersi il panorama del Castello di Miramare che si staglia sullo sfondo, un luogo dove sorseggiare un caffè gustando lo spettacolo del mondo che passa.

Bisogna camminare sui masegni che lastricano la piazza, guardando il mare e le imbarcazioni ormeggiate che dondolano dolcemente, per rendersi conto delle sue dimensioni perchè è tanto proporzionata da sembrare meno vasta di quanto non sia in realtà.

Mi piace questa piazza, mi piace questa città.

Trieste
 

 

In trincea.

C’è il sole sulla Dolina del XV Bersaglieri, e ci sono i fiori e c’è un’aria di primavera che allarga il cuore.

I ragazzi camminano lungo la trincea, rumorosi come sanno esserlo i ragazzi di questa età, allegri se non altro per il fatto di stare all’aperto, fuori dalla classe, lontano da casa e insieme.

Poco lontano è il Sacrario di Redipuglia, con la sua teoria di nomi che sembra infinita, con le lapidi di coloro che non hanno più nemmeno un nome.

E’ difficile per loro comprendere, in questa giornata di sole, che qui combattevano giovani che avevano poco più della loro età, giovani che come loro avevano speranze e sogni e un futuro da costruire, è difficile per loro sentire il dolore e la paura e la rassegnazione, nei loro occhi c’è il verde della dolina e l’azzurro del cielo e non può esserci il nero del fumo e della morte.

Forse bisogna avere la mia età per percorrere queste trincee in silenzio, per non vedere solo la luce della primavera, ma per vedere, con gli occhi dell’immaginazione, l’orrore scuro della guerra, forse bisogna aver incontrato altri dolori e altre paure per capire il gelo del dolore e della paura.

Come rimproverare ai miei ragazzi il sorriso caldo e leggero dell’adolescenza?

Dolina del XV Bersaglieri