Archivio mensile:Febbraio 2016

Il profumo dell’amore.

Mi ha commosso fino alle lacrime la storia di un anziano contadino giapponese il quale, per aiutare la moglie ad uscire dalla depressione sopravvenuta dopo la cecità causata dal diabete, ha coltivato un immenso giardino fiorito così da permetterle di sentirne il profumo.

Ora il giardino è meta di turisti e curiosi, ma mi piace pensare che la gente non visiti la piccola fattoria solo per fotografare la distesa di fiori, ma anche per vedere, da vicino, il frutto di un amore così grande e gratuito, che si traduce in gesti piccoli, ma ricchi di significato e di poesia, come coltivare con attenzione e dedizione migliaia di piantine.

E come deve sentirsi amata la signora per cui questa meraviglia è stata creata.

Se qualcuno si chiede che profumo abbia l’amore, questa può essere la risposta.

ciliegio

Il tema di Tara.

Il tema di Tara è un brano musicale struggente che fa parte della colonna sonora del film “Via col Vento” e che sottolinea i momenti più drammatici della vita della protagonista, la capricciosa, bellissima e determinata Rossella O’Hara.

Chi ha visto almeno una volta il colossal del regista Victor Fleming non può dimenticare i fotogrammi intensi con tramonti in technicolor ed in primo piano la silhouette di Vivien Leigh, accanto ad un albero nodoso, accompagnati dalle note di Max Steiner, il compositore di moltissime colonne sonore tra le quali quella, celeberrima, del film “Scandalo al sole“.

Per noi italiani, tuttavia, il tema di Tara da  vent’anni non rievoca più le scene della guerra di secessione, la stazione di Atlanta gremita di feriti, i campi di cotone al tramonto, per noi italiani simboleggia un campanello che suona, una porta che si apre, il plastico di una scena del delitto a caso e un numero infinito di ospiti impegnati a litigare sotto l’occhio vigile e bonario di Bruno Vespa.

 

La terapia della normalità.

In Olanda è stato creato, ormai da alcuni anni, un villaggio dove vengono ospitate le  persone sofferenti di Alzheimer, con capacità e autonomia residue, che possono continuare a vivere in modo “normale” tra supermercato, teatro, sala da concerti e palestra per fisioterapia.

Le abitazioni, che ospitano sei o sette persone, oltre a due accompagnatori sempre presenti, sono arredate secondo gli stili di vita olandesi, gli ospiti scelgono dove vivere e possono portare nella nuova casa qualche mobile, fotografie, oggetti personali e tutto ciò che può favorire la “terapia del ricordo”.

Il villaggio è aperto alla comunità vicina, i cittadini possono accedervi liberamente per fare la spesa, passeggiare, assistere agli spettacoli, fare volontariato, mentre i bambini della vicina scuola materna fanno visita periodicamente a quelli che sono diventati ormai dei “nonni” un po’ speciali.

L’iniziativa olandese ha il merito di non medicalizzare delle persone che hanno ancora la possibilità di vivere autonomamente in un ambiente protetto, ben diverso da una casa di riposo.

Sarebbe bello che anche da noi si facessero esperimenti simili, magari in regioni dal clima particolarmente clemente: sarebbe una scelta di civiltà.

Milano - Casa degli Atellani

 

Salita.

L’unico problema quando si decide di scendere fino al paese giù, quasi in fondo alla valle, è che poi si deve risalire, la salita è piuttosto breve, ma ripida e, se non si è allenati (come me tutto sommato), taglia le gambe.

Se poi comincia a nevicare e bisogna allungare il passo la salita sembra non finire mai, ma poi finisce (tutto finisce prima o poi), la strada spiana e la fatica scompare come per magia.

E’ da tanto tempo che non tornavo quassù, fra le mie montagne, e i muscoli delle mie gambe hanno perso l’abitudine alla salita, eppure ho percorso quella strada tante volte, anzi l’abbiamo percorsa insieme, tu ed io, e forse, dovendo adeguare il mio passo al tuo incedere incerto e faticoso, non facevo fatica.

O forse ero un po’ più giovane, o forse ero più felice.

Adesso cammino da sola per queste salite e non ricordo più come si fa a regolare il passo, e il cuore sembra più pesante, ma non si tratta dello sforzo, si tratta del vuoto che riempie il cuore come un macigno.

E’ tra queste montagne che ti sento più vicino.

E’ tra queste montagne che manchi di più.

Moggio - Nevicata

 

Verifiche.

Quando, alla fine di un percorso, di un capitolo del libro di storia, di un’attività avviso la classe che intendo programmare una verifica di solito si levano alti lamenti e iniziano le contrattazioni sulla data (più in là possibile), sui contenuti, sulle modalità, insomma su tutto ciò che è (o potrebbe sembrare) contrattabile.

Vorrei rassicurare i ragazzi che le verifiche non sono il massimo divertimento per un insegnante: bisogna strutturarle con cura, calibrarne la difficoltà, scegliere il linguaggio e poi, quel che è peggio, bisogna correggerle.

Vorrei anche rassicurare tutti che l’obiettivo di un insegnante non è preparare un test difficile, che semini vittime e brutti voti: un insegnante non ama i fallimenti dei suoi allievi perché è consapevole che i fallimenti dei ragazzi sono, in realtà, fallimenti suoi e richiedono, se non altro, di riprendere il lavoro svolto per correggere gli eventuali errori, per chiarire ciò che non è abbastanza chiaro, per avviare un’attività di recupero.

Le verifiche, in realtà, sono un “male” necessario perché permettono di capire come si è lavorato.

E poi, quando vanno bene, sono una soddisfazione per tutti (grandi e piccoli).

pagella

Fuori nevica.

La neve, fine fine, leggera leggera, scende già da qualche ora e ha già impolverato i rami degli alberi, la siepe, il mio balcone.

Seduta, al calduccio, sorseggio una tisana ai frutti di bosco, profumata di vaniglia, sgranocchio del cioccolato nero nero e intanto mi lascio incantare dalla danza dei fiocchi nell’aria.

Sono deliziosamente stanca per la passeggiata di qualche chilometro sotto la neve, ma è il corpo ad essere un po’ stanco, la mente, invece, è leggera leggera come i fiocchi che continuano a scendere.

Stare bene fa bene,

Moggio

Prima che il giorno finisca.

Oggi è il “Giorno del Ricordo” la solennità civile istituita nel 2004 “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale … (come recita il titolo della legge).

Si tratta di una legge che ha avuto un iter difficoltoso e di una commemorazione che non è sempre stata condivisa, tuttavia mi sembra importante ricordare le vittime delle foibe, perchè se è vero che “chi salva una vita salva il mondo intero” è altrettanto vero che si tratta di vite perdute, vittime spesso innocenti travolte dai rovesci della storia.

Lo scorso anno, durante il viaggio in Friuli con le classi terze, ci siamo soffermati presso la Foiba di Basovizza e abbiamo fatto memoria delle vittime, i ragazzi hanno avuto la possibilità di conoscere da vicino una storia che non è ancora veramente patrimonio comune e, proprio perchè sono giovani nati molto dopo gli eventi e liberi da pregiudizi e controversie, hanno vissuto questa vicenda per quello che in realtà è: la pulizia etnica che uccise o costrinse alla fuga migliaia di persone innocenti, colpevoli solo di essere italiane.

Anch’io, prima che questo giorno finisca, voglio ricordare.

Foiba di Basovizza

 

C’era una volta l’apostrofo rosa.

Quando San Valentino non era ancora la festa che è ai giorni nostri, quando non era obbligatorio essere innamorati e lanciarsi alla ricerca del regalo “originale” a tutti i costi, capitava di ricevere una confezione dei cioccolatini più famosi, dal nome evocativo, con la scatola decorata da un’immagine che ricordava il celebre “Bacio” di Hayez.

A me è successo diverse volte, in una delle quali, in particolare, i cioccolatini erano accompagnati da una rosa e da un anellino d’oro, leggerissimo, esile esile, con due nodi intrecciati, che porto ancora al mignolo della mano sinistra.

Eravamo giovani, allora, ed eravamo anche ingenuamente romantici e molto golosi per cui, dopo un momento di “incantamento” senza tempo, ci lanciavamo sui cioccolatini.

Una volta scartati, all’interno della stagnola dell’incarto, appariva, ben ripiegato intorno al cioccolato, il magico bigliettino con le frasi d’amore che leggevamo, rapiti, mentre divoravamo i dolci.

Le frasi erano un po’ ripetitive, talvolta dolci come un barile di melassa, romantiche all’inverosimile, ma il momento magico consisteva proprio nel leggerle a mezza voce, lasciandosi coinvolgere dall’atmosfera creata dai versi che, lo sapevamo bene, erano scritti lì proprio per creare quell’atmosfera di dolcezza infinita (… e il cioccolato dava una mano importante alla faccenda), ma sapevamo anche che quelle frasette erano solo un gioco, erano poco più che nulla in confronto al nostro amore.

La frase che spuntava fuori invariabilmente era tratta dal “Cyrano di Bergerac” (atto III, scena X) di Rostand che suonava più o meno così: “Il bacio è l’apostrofo rosa tra le parole t’amo”.

La frase, a ben guardare, non significa molto e non è sicuramente tra le frasi più geniali di Rostand, ma, forse a causa della frequenza con cui compariva, credo che praticamente tutti la ricordino.

Oggi ho appreso che, per San Valentino, è stata creata una linea di cioccolatini con le frasi d’amore scritte appositamente da Fedez.

Chissà cosa ne penserebbe Rostand.

Cavenago di Brianza (prove) rosa

 

A lezione di comunicazione.

Oggi pomeriggio nella mia prima si è svolta una lezione molto particolare con un’insegnante veramente d’eccezione, una ex allieva dello scorso anno, giovanissima studentessa del liceo artistico, il tema della lezione era: come si fa una presentazione in Powerpoint.

Dopo pochi minuti passati a risolvere qualche problema tecnico la lezione ha avuto inizio con tutti i miei ragazzi ammucchiati intorno alla cattedra, armati di foglio e penna, un po’ incuriositi, un po’ divertiti.

Si è trattato di una vera e propria dissertazione sulla “teoria della comunicazione” condotta con competenza, un linguaggio tecnico al punto giusto, parecchia disinvoltura e un inatteso piglio professionale, da docente esperta.

I miei pargoli, solitamente un po’ turbolenti, seguivano con attenzione, in un silenzio quasi religioso, prendendo appunti, interessati da questa ragazzina, poco più grande di loro, affascinati dalla sua sicurezza e dalla sua abilità a comunicare.

Sono state due ore fantastiche in cui ho visto, con piacere, quanto sia maturata e sia diventata sicura di sè quella che, solo tre anni fa, era una ragazzina timida e riservata e in cui ho capito, ma non avevo dubbi, che il percorso dell’apprendimento può percorrere tante direzioni diverse e che, qualche volta, anche una vecchia insegnante come me deve avere il coraggio di mollare il timone.

Perfezione.

Siamo esseri umani impastati di fango e dolore, piccoli, spesso inadeguati, imperfetti eppure viviamo in mezzo alla perfezione della natura che ci circonda.

Spesso non ce ne accorgiamo, ma la perfezione e la bellezza sono lì, intorno a noi, quasi a ricordarci la nostra pochezza.

Ogni tanto ci capita di lasciarci rapire dalla bellezza di una foglia autunnale, accartocciata eppure così elegante con i suoi colori, le venature in evidenza, l’estrema fragilità.

Oppure ci lasciamo catturare dal profumo di un fiore che si spande intorno ai petali delicati.

Seguiamo con lo sguardo le geometrie di un fiocco di neve o le infinite forme delle nuvole estive, camminando in un bosco ci lasciamo affascinare dal canto degli uccelli o ci soffermiamo ad accarezzare la scorza rugosa di un tronco d’albero.

Quando ci accorgiamo della bellezza, per un attimo i nostri sensi si illuminano e, pur comprendendo quanto siamo piccoli, ci sembra di poter aspirare anche noi alla perfezione.

Godiamo della bellezza, delle luci, dei colori, dei profumi, dei suoni: la bellezza non potrà che renderci migliori.

Cavenago - alba