Archivio mensile:Gennaio 2016

Note, parole ed emozioni.

L’emozione è palpabile nel salone gremito per il “Concerto della memoria”, un’emozione profonda, un’emozione buona che aiuta a dare forma concreta a  pensieri e memoria.

Sistemo i fogli sul leggio, do un’ultima occhiata al testo e poi, nella penombra della sala, nel silenzio che cala improvviso cerco dentro di me la forza di un’emozione per poter restituire le parole nella loro forza evocativa, perché non si perdano nell’aria, perché risuonino nelle menti e nei cuori di chi ascolta.

Sento una scarica di adrenalina, le mie mani, aggrappate al leggio, tremano un po’, ma la mia voce esce sicura, profonda poi le parole finiscono, per un attimo la loro eco vibra ancora nell’aria e poi si leva, consolatoria e rassicurante, la musica e l’emozione si stempera, cullata dalla melodia.

Non è facile “fare memoria” senza cadere nell’eccessiva enfasi o nella vuota retorica, bisogna lasciarsi guidare dalle emozioni, senza abbandonarsi troppo ad esse, bisogna permettere alla ragione di rimanere vigile, bisogna permettere ai pensieri di farsi strada sul filo delle emozioni nelle menti spesso distratte o avvezze a cercare di dimenticare.

“Fare memoria” diventa così un modo per conoscere, per capire, per condividere.

Moggio autunno;

Parole che scaldano il cuore.

E’ una strana coincidenza, ma negli ultimi giorni, proprio quando mi sentivo un po’ più stanca e un po’ in crisi, mi è capitato di incontrare qualche studente vecchio e nuovo, ragazzi ormai adulti che magari non vedevo da tanto tempo, persone con cui ho condiviso tre anni della mia e della loro vita e che popolano i miei ricordi.

Si è trattato spesso di brevi incontri, di un gesto affettuoso, di un abbraccio, di una frase “giusta” scritta fra le righe di un social network, di un sorriso pieno di una “vecchia” complicità, di parole, forse solo di parole, ma così ricche di sentimento da scaldare il cuore.

E così mi illudo di aver attraversato le loro vite lasciando almeno un’esile traccia, come un’orma lieve sulla neve, come una sottile filo di ragnatela, una traccia che magari non si vede neppure, ma a me piace pensare che c’è .

E’ incredibile, ma proprio quando il mio lavoro mi lascia un po’ stordita, proprio quando ho l’impressione che non tutto vada per il verso giusto, arriva una boccata d’aria, un pieno di energia che mi danno la carica e mi spingono ad entrare in classe con la voglia di ricominciare ogni giorno.

Trezzo sull'Adda

 

Perché tacere?

In occasione del “Giorno della Memoria” mi capita di discutere sull’opportunità o meno di presentare ai ragazzi testimonianze storiche molto dure, talvolta crude, perché certi racconti, certe immagini potrebbero urtare la loro sensibilità, potrebbero indurre ad un’eccessiva tristezza, a dolore, a paura.

Io penso che ai ragazzi si possa raccontare tutto, con delicatezza, senza emotività, tenendo sempre presente che “questo è stato” perché la storia spesso impartisce lezioni difficili, ma necessarie, perché “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo“.

Non possiamo pensare di riuscire a tenerli al riparo dalle brutture del mondo.

Certo le testimonianze della shoah ci insegnano che l’uomo può essere malvagio, crudele, egoista, ma ci raccontano anche storie di dignità, di amore, di altruismo, ci raccontano l’abisso della morte, e la forza della vita, ci raccontano la miseria e la grandezza dell’uomo.

Sta a noi adulti prenderli per mano, rassicurarli, accompagnarli in un cammino di conoscenza e di emozioni che non può lasciarli indifferenti, ma che li aiuta a diventare grandi.

Mauthausen

Sant’Eustorgio.

E’ una bella passeggiata dal Duomo: si percorre via Torino, sempre animata, piena di vetrine, assordata dallo sferragliare dei tram, poi si passa il Carrobbio e si prosegue verso Porta Ticinese passando davanti alle sempre sorprendenti colonne di San Lorenzo, ci vogliono circa dieci minuti se si cammina di buon passo, un po’ di più se ci si lascia incantare dai negozi e dalle architetture e poi, giunti quasi in vista della porta, sulla destra si allarga uno spiazzo alberato.

Lì sorge la basilica di Sant’Eustorgio, bellissima ed austera, proprio lì dove, secondo una leggenda antichissima, il carro trainato da un bue e da un lupo, che da Costantinopoli portava le spoglie dei Magi donate dall’imperatore al giovane vescovo Eustorgio, si ruppe e non fu più possibile andare oltre e trasportare le reliquie in Santa Tecla.

E fu così che il vescovo decise di fondare in quel luogo la basilica che avrebbe ospitato le spoglie dei Magi (fino al trafugamento ad opera del Barbarossa che le portò a Colonia) e che avrebbe portato il suo nome.

Nella parte absidale della chiesa sorge la Cappella Portinari, un edificio a pianta centrale e composto da due spazi a pianta quadrata sormontati da cupole che rappresenta la più evidente testimonianza della contaminazione con l’architettura rinascimentale fiorentina nella Milano del quindicesimo secolo.

Sulle pareti sono dipinte le storie della vita di San Pietro Martire, capolavoro di Vincenzo Foppa, mentre al centro sorge l’incredibile arca del santo, opera autografa di Giovanni di Balduccio in marmo di Carrara.

Nella cappella, per un attimo, si ha l’impressione di essere trasportati nella Firenze del ‘400 e si resta lì, incantati, a contemplare le immagini e le sculture.

Milano - Sant'Eustorgio

 

 

Madri e figlie.

Ha una brutta tosse, la mia mamma, e il medico le ha diagnosticato una bronchite che per lei, quasi novantenne, non è certo una passeggiata.

I suoi occhi, che ormai non vedono più da tanti anni, sembrano cercarmi, con lo sguardo che non è più uno sguardo segue la mia voce, un po’ spaventata, un po’ intimidita.

Le prendo la mano, che trema piccolissima nella mia, la stringo con delicatezza e intanto le accarezzo i capelli e lei sembra tranquillizzarsi almeno un po’.

E mi vengono in mente le volte, le infinite volte, in cui mi è stata vicina quando ero una bambina delicata, quando l’ago di una siringa mi faceva paura, o mi spaventava persino il camice di un medico e lei era sempre lì, pronta a rassicurarmi con un sorriso, pronta a donarmi un po’ della sua forza e del suo coraggio che, solo ora lo capisco, forse erano più simulati che reali, ma allora ci credevo e mi tranquillizzavano.

Ora è lei ad avere bisogno di me ed io, in questo gioco dei ruoli a parti invertite, io  dovrei avere la forza e il coraggio di una madre, ma sono ancora e sempre una figlia, una figlia grande, certo, ma pur sempre una figlia.

VERONA
 

La torre del sole.

A Brembate, da alcuni anni, sorge la Torre del Sole, un osservatorio astronomico che ospita anche un modernissimo laboratorio solare.

Nel 2003, quando fu decisa la dismissione dell’ormai troppo limitato serbatoio idrico, che sarebbe stato sostituito da una più capiente cisterna sotterranea, invece di procedere alla demolizione della torre, come era avvenuto in molti comuni, l’amministrazione comunale della cittadina, su consiglio di un gruppo di astrofili, accettò di convertire la struttura in una torre solare.

Un osservatorio solare, infatti, richiede una cupola alla sommità di una torre molto alta che permetta di ospitare un telescopio solare che richiede, per poter offrire immagini dettagliate del disco del sole, una distanza focale molto elevata, tutte le torri solari esistenti al mondo ricordano, nella forma, le torri piezometriche che punteggiavano, un tempo, i nostri paesi grandi e piccoli: per questo motivo il progetto prese forma e fu realizzata la torre solare di Brembate che, grazie a un sistema di specchi che riflettono l’immagine del nostro astro, permette un’osservazione molto precisa della superficie del sole, oltre all’osservazione notturna del cielo.

Oggi, grazie anche alla giornata limpida e un po’ ventilata, è stato possibile osservare alcune macchie solari e una serie di protuberanze piuttosto pronunciate: è stata un’esperienza sicuramente unica per i ragazzi di terza media, che hanno potuto studiare dal vivo e in tempo reale dei fenomeni conosciuti solo attraverso i libri di scienze.

Brembate - Torre del sole
 

Quand la luna la fa la curuna…

Quando la luna fa la corona (ha un alone iridescente), “la nev la se muntuna”, ovvero “la neve si ammucchia”.

Quante volte ho sentito mia nonna, in serate come questa, trarre auspici dall’aspetto della luna nel cielo, auspici che considerava assolutamente sicuri.

Sono cresciuta al suono del dialetto di mia nonna, un dialetto dolce in qualche modo nobilitato dal suo marcato rotacismo (quella “erre moscia” che ho ereditato da lei), un dialetto sonoro, ricco di suoni particolari, così simili alla lingua francese, un dialetto pieno di immagini colorite, spesso intraducibili.

In casa si parlava in dialetto (il che non mi ha impedito di imparare comunque l’italiano) e anche oggi, quando devo formulare qualche concetto particolare, il dialetto è ancora il modo migliore per esprimere la pregnanza di alcune immagini.

Quando studiavo all’Università il corso su Carlo Porta, “Le charmant Carline” come lo definiva Stendhal, mi ha permesso di riscoprire il dialetto della mia città, il dialetto di mia nonna, quei suoni così familiari della mia infanzia, i suoni che ho amato e che, quando riaffiorano nei miei ricordi, ricostruiscono un mondo di relazioni e di affetti.

E, a proposito, stasera la luna ha un vistoso alone iridescente: mia nonna guarderebbe il cielo in attesa della neve.

Luna

Affascinante Guttuso.

Fino al 21 febbraio 2016 sarà possibile visitate la mostra “Renato Guttuso. Ritratti” allestita al Must di Vimercate.

Si tratta di una mostra molto interessante e significativa perchè propone un percorso attraverso ritratti e figure umane che, oltre a illustrare l’evoluzione stilistica dell’artista, evidenzia la sua abilità nel cogliere espressioni e sentimenti anche attraverso la rappresentazione di piccoli gesti, di sguardi appena accennati.

Tra le opere è particolare il ritratto di Lenin rappresentato non secondo i canoni tradizionali e un po’ trionfalistici ed epici dell’arte socialista, ma raffigurato in atteggiamento pensoso e quasi intimo.

Mi sono  piaciuti particolarmente anche “il boscaiolo”, un’opera del 1950, dove si leggono ancora tracce dell’influenza postcubista e il ritratto di Romolo Valli che, con pochi tratti, riesce a cogliere la bonaria ironia dell’attore.

E’ una mostra che merita di essere visitata e, già che ci si trova lì, è consigliabile anche dedicare un po’ di tempo al museo del territorio vimercatese in cui è allestita.

Turismo e cultura a chilometro zero.

Vimercate

 

Per una stella.

Un soldato, Pietro, parte volontario per “ritrovare” il fratello, cappellano militare, caduto sotto il fuoco nemico in Val di Ledro, dall’altra parte del confine una bambina, Rosa Anna, attende il ritorno del padre dal fronte.

In mezzo c’è la guerra, la prima guerra mondiale, con i suoi orrori, con il fango, la miseria, il disprezzo per la vita umana.

Le due vite si sfiorano, i due racconti si intrecciano con un ritmo serrato, in una scenografia spoglia, ma essenziale ed estremamente evocativa, e sono racconti di vuoti da colmare, di attese, di domande senza risposte.

Il filo conduttore è una stella alpina, il fiore delicato, ma tenace, che il padre promette alla bimba e che Pietro ritrova nel grande prato raccontato dal fratello nelle lettere dalla trincea.

La stella alpina unirà, alla fine, i destini dei due giovani.

Per una stella” è uno spettacolo teatrale emozionante ed intenso.

Stella alpina