Te lo ricordi quel muro?

La prima volta che vidi Berlino fu nell’agosto del 1971, avevo diciotto anni e la convinzione un po’ ingenua che la mia generazione avrebbe cambiato il mondo: lo dicevano le canzoni che cantavamo e gli slogan che urlavamo nelle piazze.

Il muro che attraversava la città mi colpì come uno schiaffo, non sopportavo quella striscia di cemento che, allora attraversava Berlino come una ferita, non sopportavo le strade che si interrompevano all’improvviso contro la barriera invalicabile, non sopportavo neppure l’allegra vivacità un po’ posticcia della parte occidentale della città.

Attraversare il muro implicava una lunga attesa per i controlli minuziosi, quanto inutili, dei nostri documenti e dei nostri effetti personali, quasi una punizione inflitta alla nostra curiosità di vedere il mondo dall’altra parte.

E dall’altra parte il mondo era grigio e vuoto, le strade e gli edifici dai colori spenti davano l’impressione di essere scivolati in uno specchio oscuro.

Conoscemmo dei giovani berlinesi, così simili a noi, in fondo cantavamo le stesse canzoni e vestivamo indumenti quasi uguali, ma così diversi nei modi di progettare il futuro.

Quando alla sera ci accompagnavano alla frontiera (perché i visti scadevano a mezzanotte) i loro occhi si perdevano dietro i nostri passi, c’era una tristezza un po’ rassegnata e non si trattava solo della tristezza della separazione, ma della consapevolezza che la loro strada si fermava lì contro quel muro che sembrava eterno e invalicabile.

Poi il muro crollò, il 9 novembre 1989, trascinato giù dal moto irrefrenabile della storia.

Io guardavo le immagini alla televisione e pensavo a loro, alla loro gioia, ma anche al loro improvviso smarrimento di fronte ad un mondo nuovo.

Oggi uno di quei giovani, ormai sessantenne come me, ogni tanto capita a casa mia nelle sue interminabili scorribande attraverso l’Italia che adora, e, davanti ad un bicchiere di buon vino, chiacchieriamo fino a tarda notte delle paure e delle speranze di oggi e di allora e di quel muro che tante sofferenze ha provocato e che oggi è solo una pagina dei libri di storia.

Passaporto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.