Archivio mensile:Ottobre 2014

L’inno nazionale.

Si deve al Presidente Carlo Azeglio Ciampi il rilancio del nostro inno nazionale che, fino al suo mandato, era decisamente snobbato perché qualcuno lo definiva “bruttino” e avrebbe preferito magari un’aria di Verdi, perché il testo non è di facilissima interpretazione (“stringiamci a coorte” pronunciato spesso come “stringiamoci a corte” ), perchè non ne conosciamo con sicurezza nemmeno il titolo: per i più si chiamerebbe “Fratelli d’Italia”, qualcuno lo definisce “l’inno di Mameli” (con chiaro riferimento al giovanissimo patriota che ne scrisse il testo con l’entusiasmo un po’ retorico dei vent’anni), pochissimi sanno che s’intitola “Il Canto degli Italiani“.

Il Presidente Ciampi, rammaricato perchè persino i nostri atleti non cantavano l’inno, cercò in molti modi di promuoverne l’esecuzione anche affidandola a grandi direttori d’orchestra e così anche noi, a poco a poco, abbiamo familiarizzato con il testo un po’ ostico e con la musica da marcetta militare.

Oggi viene cantato con trasporto in tutte le manifestazioni civili e sportive e, sarò anch’io un po’ retorica, ma non posso fare a meno di provare un brivido, soprattutto quando sottolinea una medaglia olimpica.

L’unica nota stonata (è proprio il caso di dirlo) è sentire i nostri calciatori cantare l’inno a squarciagola: per amore della musica forse si dovrebbe provvedere ad abbassare i microfoni.

Milano - Celebrazione del XXV Aprile

Domenica pomeriggio (e registro elettronico).

Fuori il tempo è grigio e non invita certo ad una passeggiata e allora me ne sto in salotto, tra una Barbara d’Urso e una partita di pallavolo (meglio direi) e, per ingannare il tempo, mi decido a compilare il registro elettronico (a un mese dall’inizio delle lezioni).

Non l’avevo fatto prima non per incuria o per pigrizia, ma semplicemente perché la password di accesso mi è stata recapitata da pochi giorni e, in attesa di un corso che ci spieghi il funzionamento dell’oggetto di là da venire, la mia indole di “smanettona” mi ha spinto ad impiegare così le lunghe ore pomeridiane.

Devo dire che la procedura è semplice, ma noiosissima per cui, dopo dieci minuti, sono stata tentata di abbandonare l’impresa, ma poi mi sono detta che più passano i giorni, più si accumulano i dati da inserire e allora tanto vale farlo subito e togliersi il pensiero.

Armata di caffè, sigarette e una dose incommensurabile di pazienza ho completato l’opera e adesso, oltre ad essermi guadagnata un allucinante mal di testa, osservo la mia opera un po’ stranita.

Se non altro, da domani, dovrò solo ricordarmi di aggiornarlo quotidianamente.

I diritti dei bambini.

Quando spiego ai miei ragazzi che la scuola è un diritto e non, come spesso pensano a torto, un gravoso dovere mi squadrano con occhiate perplesse e sorrisetti ironici.

Non si rendono conto che è una fortuna essere nati in un paese che garantisce loro il diritto all’istruzione (art. 34 della Costituzione), mentre in altri paesi questo diritto è negato.

Vi sono paesi nei quali i bambini vengono avviati al lavoro molto precocemente e vengono sfruttati e quasi ridotti in regime di schiavitù, vi sono paesi nei quali alle bambine, proprio perché bambine, è negato il diritto all’istruzione: questo vorrei che capissero i miei ragazzi e le mie ragazze quando si lasciano prendere da un po’ di svogliatezza, o lavorano con superficialità, o vivono i compiti e le lezioni come una ingiusta negazione al loro diritto ad andarsene a spasso.

Ci sono bambini al mondo per i quali andare a scuola sarebbe un privilegio prezioso.

E ci sono persone che si battono per affermare questi diritti negati come Kailash Satyarthi, l’indiano che da molti anni lotta contro la schiavitù del lavoro minorile, e Malala Yousafzai, la ragazzina pachistana ridotta quasi in fin di vita da chi non tollerava il suo impegno in difesa del diritto delle bambine a frequentare la scuola, ed è significativo che a queste due persone, che provengono da paesi tradizionalmente nemici, sia stato assegnato, a pari merito, il Premio Nobel per la Pace 2014.

Anche la motivazione del riconoscimento ci dovrebbe far riflettere:

“per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”.

Come insegnante e mamma non posso che dire grazie ad entrambi.

vecchia foto e vecchi libri
 

Solo per gioco.

Alla fanciullezza succede l’adolescenza, che tutti amano, tutti favoriscono, tutti proteggono. Ma donde viene all’adolescenza questa sua grazia? Da me (la follia) naturalmente, che le consento di vivere il meno saggiamente e quindi anche il meno affannosamente possibile.

Erasmo da Rotterdam “Elogio della follia”.

Come scriveva Erasmo è la follia che consente ai fanciulli e agli adolescenti di vivere meno saggiamente e meno affannosamente, senza preoccuparsi delle conseguenze della proprie azioni ed è per questo motivo che i ragazzini, fino a quattordici anni, non sono perseguibili penalmente perchè non possono essere ritenuti responsabili.

E’ compito degli adulti accompagnarli nel cammino della maturazione, aiutandoli a comprendere come discernere il giusto dall’ingiusto e a raggiungere la piena consapevolezza delle loro azioni.

Un bambino non è responsabile, ma un adulto, che può decidere in piena autonomia, che può lavorare o studiare, formarsi una famiglia, votare, un adulto è responsabile delle proprie azioni e deve essere in grado di comprenderne le conseguenze e di evitare che i propri comportamenti possano essere dannosi per sé e per gli altri.

Come è possibile, quindi, che dei giovani uomini, “per gioco”, riducano in fin di vita un ragazzino colpevole solo di aver incrociato la loro strada.

Se non comprendono, e non comprendiamo noi tutti, che non esiste che per gioco, o per divertimento, o per incoscienza si possa far del male ad un altro essere umano, se non comprendono che “l’altro” va, prima di tutto, rispettato non c’è speranza: siamo sprofondati nella più buia barbarie.

 

 

Uno sport per crescere.

Un giovanissimo giocatore del Milan, un ragazzo sedicenne a quanto si dice di grande talento, è stato punito con cinque giornate di squalifica per una frase razzista rivolta ad un avversario in una partita di alcuni mesi fa.

Immagino la costernazione del giovane giocatore: in fondo gli insulti razzisti sono tristemente frequenti sui campi di calcio, sugli spalti e per la strada.

Deve aver pensato di aver subito un’ingiustizia, di aver subito una punizione spropositata per un comportamento che, in fondo, è merce comune, spesso tollerata o recepita al massimo con un po’ di fastidio.

E’ importante, tuttavia, che comprenda il motivo della squalifica, soprattutto se si tratta di un giovane giocatore di talento, destinato ad una carriera di successi, che comprenda che praticare uno sport, anche ad alto livello, serve per crescere, per diventare un uomo, per improntare la propria vita, sul campo di calcio e fuori, a lealtà e correttezza perchè, quando sarà un giocatore di successo, possa diventare un modello positivo di sportivo e di uomo per altri ragazzini di belle speranze come lui è adesso.

Milano - Portello

 

 

Novant’anni e non sentirli.

Novant’anni fa, più o meno a quest’ora, la Radio italiana iniziava le sue trasmissioni e, da allora, ha accompagnato la vita degli italiani, anche quando “la radio” è diventata “le radio”, anche oggi che siamo bombardati da musica e parole che ci piovono addosso da tutte le parti (e con tutti i mezzi).

Per anni e per molti è stata l’unico collegamento con il mondo là fuori, pensiamo, ad esempio, all’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre del ’43, trasmesso dall’EIAR (la Rai, allora, si chiamava così), alla voce di Badoglio che proclama la cessazione delle ostilità da parte delle nostre truppe nei confronti degli anglo-americani, pur lasciando in sospeso, in modo inquietante, l’ordine di reagire agli “attacchi di qualsiasi altra provenienza”, pensiamo ai sentimenti di chi ascoltava: incredulità, forse, e gioia e speranza e turbamento.

Prima che in casa nostra entrasse un televisore (ma anche dopo) la radio era al centro delle nostre giornate e delle serate.

Ricordo mio nonno che seguiva le opere con il capo quasi attaccato all’altoparlante e il libretto posato sulle ginocchia e io, seduta vicino a lui, che a quattro anni mi innamoravo della favola di Turandot.

Ricordo “Tutto il calcio minuto per minuto“: le descrizioni mirabolanti di Nicolò Carosio e “qui Bortoluzzi a te Ameri”.

Ricordo  mia nonna che ascoltava “Ciciarem un cicinin” condotto da Liliana Feldman rigorosamente in dialetto meneghino e l’altra nonna, di temperamento più drammatico, che seguiva “Sorella Radio” la trasmissione che andava in onda da ospedali e case di cura.

E poi arrivò l’età in cui cominciai a seguire la radio in proprio e fu “Bandiera Gialla” e fu “Alto Gradimento” con le strampalate creature di Arbore e Boncompagni.

Insomma, se guardo indietro negli anni mi rendo conto che la radio è stata una compagna preziosa, una colonna sonora di tante giornate.

Buon compleanno.

radio

 

Il suono dell’acqua.

Nella gola tra le rocce, scavata dal Pioverna nel corso di quindici milioni di anni, l’acqua scorre violenta e il suo rimbombo potente ammutolisce le voci umane e gli altri suoni della natura, fa quasi paura la voce dell’acqua che cade dall’alto e s’infrange con forza contro le pareti della forra, mentre le passerelle addossate alle rocce tremano tanto da sembrare anch’esse impaurite.

E’ un’attrazione turistica la gola proprio sopra Bellano, più nota col nome evocativo di “Orrido“, un’attrazione che richiama nella cittadina sul Lario migliaia di visitatori, soprattutto dopo un temporale estivo che gonfia il salto d’acqua e ne amplifica il rombo.

Il rombo, appunto, probabilmente in seguito ad una stagione particolarmente piovosa, ha cominciato ad infastidire qualcuno (dopo quindici milioni di anni può succedere, ogni pazienza ha un limite, in fondo) che si è rivolto all’Arpa che, a sua volta, dopo gli opportuni riscontri, ha multato il comune di Bellano, nella persona del sindaco, per aver provocato rumori molesti e superiori alla soglia di tollerabilità.

Mi chiedo come farà il sindaco a mettere il silenziatore alle cascate.

Bellano - L'Orrido

 

Milano dall’alto.

Approfittando di “Invito a Palazzo”, la manifestazione organizzata dall’Abi che permette la visita di alcune sedi di banche, siamo saliti al venticinquesimo piano della Torre Unicredit quasi all’ora del tramonto.

Inutile dire che il fascino di Milano dall’alto è incredibile: dalle grandi vetrate degli uffici (a proposito lavorare al venticinquesimo piano deve essere proprio da sballo) la città si spalanca ai nostri piedi ed è un gioco stupendo individuare i profili dei palazzi e le strade che si sfumano nella luce del crepuscolo e laggiù la mole del Duomo e la torre del Filarete, la cupola della Galleria e la torre Velasca.

Anche la piazza Gae Aulenti con i suoi riflessi d’acqua e di vetro sembra addolcire le sue linee rigorose avvolta nell’azzurro della sera imminente.

Questo è veramente un bell’angolo di Milano.

Milano - Torre  Unicredit

 

Stress.

La giornata dell’uomo moderno, ma soprattutto della donna moderna, è ricca di continue fonti di stress che, alla fine della giornata, ci lasciano esauste e un po’ esaurite.

Chi deve ricoprire, nell’arco delle ventiquattr’ore,  svariate mansioni, oltre a quelle canoniche di moglie, madre e lavoratrice, che richiedono molteplici competenze e specializzazioni come (per esempio) taxista, cuoca, infermiera, badante, consulente economico, insegnante, elettricista, psicologa, esperto informatico e angelo del focolare rischia di ritrovarsi stremato e in preda ad una dilagante frustrazione.

Come se non bastasse ci sono mille piccole situazioni quotidiane che contribuiscono ad accentuare lo stress e che, almeno per quanto mi riguarda, sembrano irrimediabilmente senza speranza:

  1. Il bucato monocolore, nonostante l’acchiappacolore che, nei momenti topici, non acchiappa (da notare che i colori sono quasi sempre tinte pastello poco adeguate agli indumenti e alla biancheria dei maschi adulti di casa)
  2. L’acqua della pasta che non bolle mai, ma soprattutto quando ho fretta
  3. Il latte nel bricco che bolle proditoriamente, deborda e inonda il piano cottura a cui aderisce con una tenacia degna di miglior causa.
  4. I calzini spaiati (ne ho una collezione)
  5. Il sale della lavastoviglie che finisce sempre quando l’utile elettrodomestico è stracarico di piatti e pentole unte.
  6. Le batterie della fotocamera che si esauriscono al cospetto di un tramonto da urlo.
  7. La inspiegabile sparizione della ricetta di quella torta che mi veniva così bene e di cui non ricordo assolutamente gli ingredienti.
  8. Le ciabatte che si imboscano quando rientro a casa con un paio di scarpe scomode.
  9. Il cellulare introvabile mentre squilla (però quando smette lo trovo subito).
  10. Le chiavi di casa che tintinnano nella borsa, ma non si lasciano afferrare.

Lo so, si tratta di piccoli inconvenienti a cui potrei rimediare con un po’ di ordine e metodo, ma forse anche questo sarebbe fonte di ulteriore stress.

panni stesi

 

Giostre.

Quest’anno per la festa patronale sono tornate le giostre in paese (in realtà tornano ogni anno, ma ultimamente erano posizionate in un’area decisamente più periferico) e la piazza del mercato, fin dalla mattina, era ingombra di camion e persone affaccendate.

Da domani la musica a tutto volume sarà la colonna sonora di quest’angolo di festa e si mischierà con gli scampanii che accompagneranno le funzioni religiose.

Un tempo l’arrivo delle giostre era un avvenimento, i ragazzini in classe non parlavano d’altro, si accordavano per passare il pomeriggio sugli autoscontri, per trovare il modo di assicurarsi qualche giro gratis ed era difficile obbligarli a stare attenti almeno fino a quando cominciavano le operazioni di smontaggio.

Ora che i ragazzi hanno ben altri divertimenti, ben altri interessi, mi chiedo se le giostre esercitino ancora il loro fascino, se sarà sufficiente un autoscontro con due ragazze a bordo per riesumare il corteggiamento un po’ ingenuo e un po’ rude, fatto di urti violenti, di risate e di grida di finta paura.

Penso che farò un giro da quelle parti per scoprire se i ragazzi sono sempre gli stessi di un tempo.

Cavenago - Giostre