Rompicapo.

Quelli della mia generazione credo che se lo ricordino tutti: prima che venissero alla luce i giochi elettronici uno dei passatempo più diffusi era il malefico “Gioco del Quindici” (credo che si chiamasse così).

Si trattava di una tavoletta quadrata di plastica di pochi centimetri con una cornice che racchiudeva appunto quindici tesserine (anch’esse quadrate) numerate ed allineate in quattro righe e quattro colonne; si giocava rispettando una sola regola: utilizzando lo spazio libero si doveva far scivolare le tessere in modo da disporle in ordine numerico crescente.

Anche se non ho ricordi precisi mi sembra di averci giocato spesso, utilizzando strategie sempre più raffinate per muovere le tessere in modo da preparare la strada al risultato finale: in pratica disponevo le tessere dall’uno al quattro (ovviamente si trattava delle mosse più semplici) tenendo d’occhio già l’allineamento delle tessere seguenti.

Ci voleva una buona dose di pazienza e di autostima per contrastare il senso di frustrazione che sopraggiungeva allorquando, quasi alla fine delle operazioni, la tesserina con il numero quindici si infilava in una posizione sbagliata e per spostarla da lì bisognava rivoluzionare l’ordine costruito con tanta fatica.

Provavo e riprovavo senza cedere alla tentazione di far saltar fuori dalla sua sede una tessera e di infilarla poi al posto giusto, come qualcuno preso dalla disperazione faceva, perchè una specie di “senso dell’onore” mi impediva di barare.

Era un gioco un po’ sciocco, ma che ha contribuito ad insegnarmi che per ottenere il risultato desiderato (qualunque esso sia) non si possono prendere scorciatoie e bisogna metterci pazienza e impegno.

Poi è arrivato il “Cubo di Rubik“, ma ormai ero grande e non ho voluto neanche mai provarci a risolverlo (tanto ho sempre saputo che non ce l’avrei fatta).

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