In metropolitana.

Ora che è tornata l’ora solare la sera scende presto, quasi inaspettata per i nostri occhi abituati alla luce: l’orologio segna un’ora ancora pomeridiana, ma le ombre si allungano nella luce un po’ spenta del tramonto.

La metropolitana, all’improvviso, corre nel buio e il paesaggio si confonde e si impasta, ravvivato dalle finestre illuminate, dalle teorie di fanali e, più lontano, dai bagliori di qualche centro commerciale illuminato a giorno.

Nel vagone che corre la luce è giallastra, i rari viaggiatori, infreddoliti dai primi brividi autunnali, si dedicano alle più svariate attività: c’è chi legge, chi parla ad altissima voce al telefono, chi ha lo sguardo incollato allo schermo dello smartphone e ogni tanto sorride da solo o corruga la fronte, forse turbato o divertito da una ininterrotta sequela di messaggini, chi guarda fuori con lo sguardo perso nel nulla.

I volti sono stanchi e un po’ tesi: la giornata di lavoro in città, soprattutto se si tratta di un lunedì, non passa quasi mai in modo indolore.

Io macino capitoli senza quasi alzare lo sguardo dal mio Kobo, la lettura mi assorbe e mi distrae, non mi curo di guardare i nomi delle fermate, tanto so che la mia è l’ultima e un lieve rallentamento dovuto all’ennesimo lavoro in corso mi avviserà dell’arrivo imminente.

Con gesti misurati ripongo in borsa l’ebook reader e gli occhiali e mi avvio con passi lenti alle porte scorrevoli: il viaggio anche oggi è finito.

Milano metrò
 

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