Il tribunale mediatico si è già espresso, almeno a giudicare dalle invettive orribilmente violente che ho letto nei commenti fioriti sui social network o in calce agli articoli dei giornali online.
C’è un presunto assassino (e vorrei sottolineare la parola “presunto”), ci sono alcune famiglie devastate dal dolore, ci sono le risposte banali a domande banali (per i vicini di casa tutti siamo “persone normali”) e poi le chiacchiere televisive, la curiosità un po’ morbosa celata dietro la compassione: insomma c’è tutto il peggio che gli atroci delitti degli ultimi anni hanno scatenato.
Ho spesso ripetuto che non sopporto i processi televisivi, la spettacolarizzazione dell’orrore, le case di Cogne, i vicini di Erba, i fidanzati di Garlasco, gli zii di Avetrana e penso che molti, come me, ne farebbero volentieri a meno, ma sembra che sia impossibile lasciare che le indagini e la giustizia facciano il loro corso nel silenzio, come, in fondo, sarebbe giusto e auspicabile.
Oggi è in atto un linciaggio morale nei confronti di una persona che potrebbe anche non essere colpevole, che non può essere giudicata colpevole se non dopo tre gradi di giudizio e che, sicuramente, non deve dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Ad altri spetta l’onere della prova.