Di solito le stanze d’ospedale sono silenziose e in penombra, viene naturale parlare sottovoce in un ambiente ovattato fatto di lenzuoli bianchi e gocce che scendono lentamente senza far rumore.
E’ così, o almeno, così dovrebbe essere sempre.
Ma siamo in campagna elettorale, a pochi giorni dal voto, e le ragioni dell’uno e dell’altro, urlate nelle piazze o nei salotti televisivi, sono entrate anche in questo spazio solitamente protetto e così, dalla stanza vicina, arrivano le grida di un gruppetto di visitatori, parenti e amici di un malato, che incuranti di tutto litigano a voce altissima.
Il paziente, costretto per forza di cose nel suo letto, sembra non vedere l’ora che se ne vadano e lo lascino in pace o che, per lo meno, si occupino un po’ di lui.
Dalle porte lungo il corridoio si affacciano visi incuriositi e un po’ seccati dalle voci sempre più alte, fino a quando una infermiera con piglio deciso richiama all’ordine il gruppetto urlante .
Le grida si smorzano in un brontolio.
La vigilia del voto è anche questo.