Archivio mensile:Agosto 2013

Feriae Augusti.

Ferragosto è passato tranquillo, in casa, in famiglia piacevolmente ozioso, senza complicazioni, senza abbuffate pantagrueliche, ma con un po’ di serena gioia di stare insieme.

In valle la giornata è stata variabile, ma le nubi che ogni tanto si addensavano oscure hanno graziato i numerosi gitanti spersi nei boschi da dove si levava, qua e là, il fumo delle grigliate.

Ferragosto…

Moggio

La civiltà dei sentimenti.

L’ennesimo tragico episodio di un adolescente che si toglie la vita ha scatenato una ridda di commenti sull’esigenza, che molti politici considerano improcrastinabile, di una legge contro l’omofobia.

I molti che invece sono contrari sostengono che una legge non servirà a risolvere la situazione di chi è non accolto, discriminato, emarginato per il suo orientamento sessuale.

Mentre il dibattito continua nulla cambia e soprattutto non cambia il fatto che gli adolescenti sono fragili, indifesi, spesso soli nella loro paura di non essere accettati dagli altri, dal gruppo dei pari, dai compagni di scuola dalla famiglia.

Una legge contro l’omofobia, come le misure contro il femminicidio e la discriminazione razziale, non basta certo a modificare i pensieri della gente, non serve a educare a sentimenti di accoglienza, ma è un indicatore, deve far riflettere sul fatto che certi comportamenti non possono, non devono e non saranno più tollerati.

Chi è contrario sostiene che l’uguaglianza tra i cittadini è già ampiamente prevista dalla Costituzione e tanto deve bastare.

La cronaca quotidiana ci dice che, evidentemente, non basta, che la legge deve sottolineare con più forza quali comportamenti sono giusti e quali sbagliati.

Un cammino di civiltà del diritto può partire anche da una legge: chi ha comportamenti omofobi probabilmente continuerà a comportarsi nello stesso modo, ma saprà che non ci saranno indulgenze o strizzatine d’occhio complici.

Il cammino di un popolo verso la civiltà passa, tuttavia, attraverso una profonda rivoluzione culturale che nessuna legge può imporre, passa attraverso l’educazione a scuola e, prima di tutto, in famiglia, passa attraverso il rafforzamento dell’idea che l’altro, per quanto “diverso” deve essere rispettato prima che accettato.

Se una  legge può contribuire ad attirare l’attenzione sull’idea che il rispetto degli altri è un valore assoluto, allora ben venga anche una legge.

 

Questi fantasmi.

Vi sono luoghi ed edifici che, per qualche motivo, si ammantano di un fascino particolare che li rende attraenti per l’atmosfera di mistero che li circonda: spesso si tratta di luoghi isolati, vecchie case lasciate in abbandono, costruzioni iniziate e mai finite, luoghi legati a fatti di sangue veri o presunti (su cui fioriscono terrificanti leggende metropolitane e racconti con cui spaventare i bambini).

Sono luoghi che esercitano su chi si avvicina un’attrazione che è strettamente legata con il brivido, anzi l’attrazione spesso consiste nella sottile vena di disagio che procurano e così restano sempre più abbandonati, oggetto di curiosità e preda della più devastante incuria.

In Valsassina, a Cortenova, c’è un edificio così: Villa De Vecchi.

Si tratta della residenza estiva di un patriota milanese che amava queste montagne e che, nella prima metà dell’800 fece costruire questa villa un po’ isolata, dalle forme graziose ed eleganti.

Alla morte del proprietario  (probabilmente per mancanza di eredi che se ne prendessero cura) venne lasciata in stato di abbandono  per essa iniziò una rovina praticamente irreversibile.

Oggi la villa è ancora lì, in mezzo ad una natura lussureggiante che ha preso il sopravvento sulle opere dell”uomo, circondata da un alone di mistero che ha attirato anche l’attenzione di siti stranieri specializzati in case fantasma, ma nella sua evidente rovina si può leggere ancora la grazia e la bellezza che dovevano caratterizzarla nei tempi andati.

Sarebbe bello poter recuperare questo edificio.

Cortenova

Considerazioni (estive) sull’IMU.

Dato per scontato che il PdL ha fatto dell’IMU una bandiera  da brandire in campagna elettorale (e da continuare a brandire come una spada di Damocle sospesa sulla sopravvivenza del Governo) vorrei condividere qualche considerazione sulla tassa e sugli effetti della sua abolizione.

Io risiedo in un appartamento (del quale sono in piccola parte proprietaria e di cui mia madre è usufruttuaria) piuttosto vecchiotto per il quale lo scorso anno abbiamo pagato (calcolate tutte le detrazioni) poche decine di euro: questa considerevole cifra è stata incassata (solo in parte) dal Comune in cui risiedo e che fornisce tutti i servizi che la mia famiglia ed io utilizziamo durante l’anno.

Possiedo poi un secondo appartamento, stessa metratura stessa età, in montagna (che definire seconda casa è un po’ buffo, visto che non possiedo la prima) dove non risiedo, dove trascorro due mesi di vacanze e qualche ponte assortito e per il quale verso più di un migliaio di euro all’anno.

Ora l’abolizione dell’IMU sulla prima casa non mi cambia la vita, non mi permette di far ripartire i consumi, ma per il Comune in cui risiedo fa la differenza.

Ovviamente mi piacerebbe di più una riduzione della tassa sulla seconda (che, ripeto, è l’unica che possiedo) dove non sono residente anche perchè avrei dovuto, al momento dell’acquisto, “fingere” di spostare la residenza, ma non mi sembrava bello farlo.

Visto che per chi possiede una casa come quella in cui abito poche decine di euro non cambiano la vita vorrei capire dove sta l’appeal dell’abolizione dell’IMU.

Posso fare delle ipotesi:

Forse avvantaggia chi possiede appartamenti più lussuosi, magari siti nel centro storico di una grande città.

Forse si tratta solo di una misura vagamente demagogica: una tassa abolita (anche di pochi euro) è pur sempre una tassa abolita (e pazienza se poi aumentano l’iva e le tariffe).

Forse è interessante per quei nuclei familiari che si sono disgregati (così ogni membro della famiglia risiede in un appartamento diverso).

O forse è solo una questione di principio.

Mi piacerebbe capire.

 

Non solo shopping.

Da qualche mese è operativo a Torino un servizio che permette di richiedere e stampare i certificati di nascita e residenza direttamente al supermercato senza doversi recare negli uffici anagrafe del Comune.

E’ evidente che si tratta di una di quelle piccole (o grandi) innovazioni che serve a migliorare la vita dei cittadini che non sono più costretti a fare code e che possono richiedere i certificati in orari non di lavoro (molti supermercati sono aperti anche in orario serale e nel week end).

Siamo sempre inclini a stigmatizzare le lentezze e i bizantinismi della Pubblica Amministrazione, ma quando qualche innovazione permette di risparmiare un po’ di tempo e di mal di fegato non fa notizia: per questo motivo mi sembra opportuno parlarne anche se, non essendo una cittadina di Torino, questa pensata non mi tocca.

Mi auguro che altri comuni seguano l’esempio di Torino e mi piacerebbe sapere se la cosa funziona davvero.

(Se qualche torinese passa di qua potrebbe raccontarmi la sua esperienza?).

Finestre aperte.

La casa in montagna si affaccia su un bosco silenziosissimo, soprattutto nel mese di luglio quando gli appartamenti intorno sono ancora vuoti e la strada sull’altro versante della valle è poco frequentata.

In luglio si sentono solo cinguettii, ronzii, fruscii di brezza tra le foglie e il lontanissimo gorgogliare di un torrente (un po’ più udibile solo dopo un temporale).

Poi, con l’inizio del mese di agosto, il condominio si anima e, dalle finestre aperte, arrivano indubitabili indizi di presenze umane non sempre gradevoli.

Me ne sto seduta in salotto a leggere un libro in santa pace (con una vaga nostalgia per l’atmosfera bucolica dei primi giorni di luglio) e vengo raggiunta, nell’ordine, dai litigi della coppia di coniugi anziani dell’appartamento accanto al mio dei quali non vorrei essere così informata, dalla telefonata interminabile della vicina del piano di sopra (sul balcone c’è più campo), dalle televisioni urlanti, dai capricci dei bimbi, anch’essi urlanti e dei mille altri suoni che gli esseri umani producono nella loro esistenza quotidiana.

Certamente le finestre aperte sono un vero e proprio attentato alla privacy, ma d’altra parte, visto l’imperversare dell’ennesimo anticiclone africano, non si può mica vivere da reclusi.

Furka

 

Miniere d’oro.

In questa caldissima estate spesso scendiamo sul lago, perchè in battello fa comunque più fresco, ma soprattutto perchè il panorama è stupendo, i percorsi lungo le rive sono tranquilli e agevoli, dovunque è un tripudio di fiori e profumi.

Il lago offre serenità al corpo e allo spirito, offre angoli pittoreschi ed ombrosi dove sedersi un attimo a contemplare le acque e i monti che si specchiano con mille riflessi, offre scorci di case coloratissime, scalette impervie e silenziose che si arrampicano tra gli edifici.

Si incontrano soprattutto stranieri, tra i quali tantissimi americani innamorati di questo specchio d’acqua, e tedeschi e inglesi seduti ai tavolini in riva al lago, appoggiati a una ringhiera di fronte al panorama, sui traghetti e sui battelli che solcano veloci le onde.

Questo pezzetto di Italia (come del resto molti altri) è la nostra miniera d’oro, una miniera elegante e luminosa che dovremmo imparare a condividere con quanti si mettono in viaggio anche da molto lontano per venire a perdersi in questa bellezza.

Ma la bellezza, purtroppo, non sempre basta, occorrono mezzi di trasporto veloci e frequenti, alberghi accoglienti e ordinati, informazioni turistiche precise (e possibilmente in tutte le lingue europee), occorre insomma un sistema di accoglienza ben organizzato che permetta ai turisti di godere di tanta bellezza nella più completa serenità.

Ricordiamo sempre che la bellezza del nostro Paese può trasformarsi nella nostra maggiore ricchezza.

Bellagio

 

Incompresi.

Scrive Beppe Severgnini, con la consueta lucidità, che il mondo ci guarda e non ci capisce, non capisce la fibrillazione in cui è caduta la società italiana in questi giorni, non capisce come si possa accettare che il consenso assicuri una sorta di immunità permanente, non capisce come una condanna definitiva possa trasformarsi, per magia, in un trampolino di lancio per nuove mirabolanti imprese.

Non ci capiscono i popoli che hanno nei loro statuti strumenti come l’impeachment o che, per una reticenza su comportamenti personali poco corretti, bruciano la carriera politica di un candidato alle massime cariche.

Non ci capiscono i popoli per i quali una scorrettezza, come aver scopiazzato una tesi di laurea, è cagione di dimissioni e di ritiro dalla vita pubblica.

Si dirà che sono esagerazioni.

Come si dirà, anche, che le condanne possono essere ingiuste (come d’altra parte sono ingiuste certe assoluzioni per vizi formali, per prescrizioni dei termini, perchè nel frattempo il reato non è più reato): succede.

Quello che conta è che una sentenza definitiva, per quanto contestabile, per quanto inaccettabile (o come si usa oggi irricevibile), è una sentenza e va applicata anche se non ci piace.

Il rifiuto di farlo è ciò che gli altri non capiscono e, francamente, anch’io ho qualche difficoltà

 

 

Quell’orologio fermo.

L’avevano aggiustato l’orologio di Bologna, che si era fermato sulle dieci e venticinque, fermato anche lui, come le ottantacinque persone che si trovavano nella stazione la mattina del 2 agosto 1980, l’avevano aggiustato, ma  la gente della città ferita ha voluto che fosse fermato di nuovo sull’ora della strage.

Perchè un orologio, bene o male, si può  sempre aggiustare, ma le persone no.

Quella mattina stavo preparando i bagagli perchè di lì a poche ore sarei partita per la Spagna, ma il pensiero corse subito agli amici che sapevo partiti di prima mattina dalla stazione di Milano per raggiungere la riviera romagnola.

Allora non c’erano i cellulari e avere notizie era praticamente impossibile.

Per tutta la giornata rimasi in ansia, fino a quando una telefonata arrivata da un albergo di Riccione mi rassicurò, ma le ore trascorse in attesa mi avevano legata a tutte quelle persone che, come me, erano in attesa di una notizia rassicurante.

E per molti, troppi, quella telefonata non arrivò mai.

Nunc est bibendum.

“Se la Cassazione conferma la condanna stasera mi ubriaco” mi ha confessato oggi pomeriggio un amico incontrato per le vie del paese all’ora del caffè pomeridiano.

Non so se adesso stia bevendo smodatamente, ma la frase mi ha ricordato il verso di Orazio che celebrava, con gioia smodata, la morte di Cleopatra.

Io non mi sento in vena di festeggiare (e francamente temo che ci sia poco da festeggiare) perchè da stasera il futuro del Governo, e di conseguenza del Paese, mi sembra un po’ più incerto.

Inoltre, a prescindere dalle questioni di carattere politico, non riesco a considerare una condanna definitiva un fatto di cui rallegrarsi, a maggior ragione se il condannato ha governato questo Paese per molti anni nell’ultimo ventennio e ha rappresentato l’Italia nel consesso internazionale.