Archivio mensile:Agosto 2013

Se fossi in vena di cattiverie.

Il Presidente Napolitano ha nominato oggi quattro senatori a vita, quattro persone che con il loro lavoro e il loro talento hanno veramente portato lustro al Paese.

Qualcuno ha avuto da eccepire sull’opportunità di nominare quattro senatori in un momento di crisi economica, qualcuno ha eccepito sulla scelta dei nomi affermando che ci sarebbero state persone (in particolare una persona) più degna e indicata per questo ruolo.

Personalmente conosco e apprezzo il lavoro dei neo senatori e penso che siano veramente rappresentativi della creatività e del genio italiani.

Se fossi in vena di cattiverie direi che il Presidente ha operato la scelta nominando il numero massimo di senatori che gli compete proprio per evitare di trovarsi a nominarne altri in futuro (magari un po’ contro voglia).

Un celebre senatore a vita (mancato qualche mese fa) affermava che a pensar male si fa peccato, ma spesso si coglie nel segno.

Fa riflettere.

Partirà a novembre, su Rai3, il nuovo, ennesimo talent, questa volta non dedicato a futuri cantanti, ballerini, acrobati (e compagnia cantando), ma agli aspiranti scrittori.

Il vincitore vedrà la propria opera pubblicata (in cartaceo e digitale) da Bompiani e presentata al prossimo Salone del Libro di Torino.

Pare che le adesioni alle selezioni siano state numerosissime a dimostrazione che nel profondo moltissimi pensano di avere storie da raccontare, moltissimi credono di avere nel cassetto il romanzo che il mondo (ancora inconsapevole) aspetta, moltissimi ritengono di avere del talento.

Gli italiani sono tutti un po’ scrittori.

Quanto poi a leggere: è un altro paio di maniche.

 

 

Alpeggio.

Intorno all’abitato di Premana, in fondo alla Valsassina, le pendici delle montagne sono punteggiate di piccoli gruppi di case, gli alpeggi o, per meglio dire, “i munt”.

Forni, Vegessa, Casarsa, Barconcelli, Chiarino, Piancalada, Premaniga, Solino, Deleguaggio, Rasga, Caprecolo, Fraina, sono alcuni fra i più grandi, ma il territorio ne conta più di un centinaio, sui monti le famiglie godevano il diritto di pascolare e di erigere una baita ed erano responsabili dell’uso e del mantenimento delle terre, delle attrezzature e dei luoghi della vita comune, la fontana, i sentieri.

Indissolubilmente legato alla tradizione dell’alpeggio era ed è il rito del “past”, anticamente pranzo comune al quale partecipavano tutti gli alpigiani di un determinato alpeggio.

Il past suggellava la fine del periodo della monticazione  e aveva una funzione di compensazione: serviva a rafforzare le amicizie e ad appianare le eventuali liti e incomprensioni generate dalla vita e dal lavoro in comune.

Il “past” consisteva in un risotto cotto nei pentoloni del latte e dopo il pranzo frugale la festa continuava con canti e allegria.

Oggi il “past” ha un po’ perso la sua funzione originaria, non è più riservato solo agli appartenenti all’alpeggio, ma è aperto anche agli ospiti che provengono da tutta la valle e serve a finanziare un’opera comunitaria o un’iniziativa.

Di questa tradizione antica, di questo mondo perduto sono rimasti gli alpeggi, piccoli nuclei abitati lindi e ordinati che, visti da lontano, ricordano tanto un presepe.

Premana

 

Siete pronti?

Ogni tanto mi torna in mente la terza che ho appena lasciato, i ragazzini con i quali ho condiviso tre anni di vita e che, ormai, sono entrati di diritto nel mio archivio del cuore, tra i tanti ragazzi che ho visto crescere.

Visto che esistono i social network durante i mesi estivi ho seguito le loro avventure, le vacanze in luoghi più o meno esotici (l’Irlanda per qualcuno e, finalmente, gli Stati Uniti per qualche altro ) le amicizie e gli amori nati e finiti (o eterni… chi può dirlo?).

Tra una decina di giorni cominceranno una nuova vita, andranno in scuole fuori dal paese, avranno nuovi compagni, dovranno studiare nuove materie e, immagino, che saranno un po’ in ansia.

Io so che sono ragazzi in gamba , spesso più in gamba di quanto loro stessi non immaginino, so anche che incontreranno degli ostacoli, ma che hanno le capacità per affrontarli e superarli l’importante è che non si facciano prendere dal panico e lavorino con la serietà di cui sono capaci.

Ehi dico a voi, ragazzi, siete pronti a volare?

 

Incompiuta.

Sulle pendici del monte Barro, proprio di fronte a Lecco, c’è una chiesa incompiuta veramente affascinante: uno di quegli edifici che sembrano raccontare una storia silenziosa di grandezza e di abbandono.

Si tratta della chiesa di S. Michele, costruita tra il 1718 e il 1752 sul sito di un chiesetta di età longobarda dedicata al santo (al quale i Longobardi erano particolarmente devoti), che rappresenta un  esempio di architettura barocca lombarda rimasto incompiuto, a pianta ottagonale e a croce greca.

L’edificio sorge imponente tra gli alberi, si raggiunge per una stretta viuzza che può essere percorsa, con un po’ di attenzione, anche in automobile e appare all’improvviso, dopo una curva, come una visione inattesa e imprevedibile, come imprevedibili sono le sue dimensioni, così poco usuali in un contesto dove ci si aspetterebbe di incontrare edicole e cappellette tanto care alla tradizione religiosa popolare.

Forse il suo fascino sta proprio in questo guscio vuoto, grande, ma armonioso ed elegante.

E’ un angolo della mia Lombardia che non conoscevo, ma che è stato piacevole visitare.

Galbiate - eremo di San Michele (la chiesa incompiuta)

Countdown.

E’ cominciato il conto alla rovescia, tra poco più di dieci giorni mi ritroverò seduta in Collegio Docenti a discutere di progetti, programmi, strategie e di come offrire una scuola di qualità tra tagli, riduzioni di personale, burocrazia sempre più invadente, registri elettronici (sì, no, forse), libri di testo elettronici (sì, ma più probabilmente no), P.o.f, P.e.i, D.S.A. e, novità delle novità, i fantomatici B.E.S.

Questi ultimi giorni di agosto, luminosissimi, ma non più afosi, ormai percorsi da un brivido autunnale scorrono via veloci e io mi ritrovo a cercare di riempirli all’inverosimile di immagini, di colori, di profumi che mi accompagneranno, una volta tornata a casa, nella quotidianità di casa e lavoro.

E’ la mia scorta di serenità per i giorni meno sereni.

Seduta a tavola, nella veranda di un rifugio affacciata sulle cime, mi impegno coscienziosamente a riempire gli occhi e il cuore (e lo stomaco, che non guasta mai).

Piani di Bobbio
 

 

Dante for dummies.

Di solito anch’io svolgo un po’ di compiti delle vacanze (mica solo i ragazzi, che diamine!) per preparare il lavoro per l’anno scolastico imminente (per quanto lunghe possano sembrare le vacanze l’anno scolastico è sempre imminente) e in questi giorni sto dando un’occhiata alla Divina Commedia perchè a settembre molto probabilmente mi toccherà in sorte una seconda media e un po’ di Sommo Poeta è inevitabile.

Il primo incontro con Dante per i ragazzini è sempre traumatico.

Di solito leggo ad alta voce le primissime terzine e ottengo quasi sempre la stessa richiesta: “Ce lo traduce Prof?”.

E’ difficile spiegare loro che il poema è scritto in italiano (magari un po’ stagionato, ma pur sempre italiano).

Di solito iniziamo  studiando la struttura del poema, il gioco delle allegorie, i personaggi rappresentati, la visione del mondo e poi si passa alla lettura dei testi e, a poco a poco, i ragazzi entrano nella complessità dei versi e cominciano a capirne il linguaggio.

Alla fine l’approccio con l’opera dantesca diventa una sorta di caccia al tesoro, una sfida per le loro intelligenze, difficile, certo, ma affascinante e (incredibile, ma vero) al lungo andare Dante finisce per piacere.

Tutto il trucco sta nello scegliere i testi più accattivanti, soprattutto tratti dall’Inferno, e nel proporli come un grande gioco di decodificazione, una sorta di enigma.

L’amore per la poesia dantesca verrà, alcuni anni più tardi forse, ma verrà.

 

 

Come farò?

In questa vacanza ho preso una pessima abitudine: mi sveglio in orario variabile tra le nove e le dieci e ci metto quasi un’ora a ridiventare un essere umano capace di relazionarsi con il prossimo.

In realtà non sarebbe un problema se tra due settimane non dovessi tornare a scuola e, tra meno di un mese, non dovessi entrare in classe pimpante e operativa alle otto.

Sto già studiando strategie adatte a farmi recuperare la stazione eretta in orari mattutini, ma la mia mente evidentemente ancora vacanziera non mi aiuta (figurarsi il corpo).

Mi chiedo ansiosamente come farò a riprendere gli orari di lavoro, a riaccendere i neuroni prima di mezzogiorno, a emergere da questo torpore che è prima mentale che fisico.

L’unica pensiero che mi consola (e mi rassicura un po’) è che, bene o male, ogni anno, verso la fine di agosto, mi sento così e poi, come per magia, riprendo ritmi e orari.

Sono un po’ come un vecchio cavallo del circo che quando sente la musichetta della parata (o dovrei dire la campanella?) si rimette a trottare in automatico.

Ancora agosto.

E’ ancora estate piena anche se le ore di luce si accorciano un po’ ogni giorno e il sole ogni sera sparisce dietro la Grigna con un po’ più di fretta.

Il tempo di questa vacanza tranquilla scivola via, dolcemente ma sempre più veloce e si avvicina l’ora di fare ritorno a casa, al lavoro di sempre, alla vita frenetica di sempre.

Anche le montagne qui intorno sembrano in attesa del cambiamento, le foglie sono ancora verdi sugli alberi, ma è un verde che sembra  appannato, quasi spento anche se a tratti brilla ancora nella luce del cielo sereno.

Mi piace questo momento dell’anno, mi piace questa atmosfera dai toni tenui, mi piace il silenzio che tra poco riprenderà il sopravvento dopo i suoni e i rumori delle giornate ferragostane, mi piace anche se so che sarà breve, una breve dolce parentesi tra il trionfo dell’estate e i primi brividi d’autunno.

Da una delle tante balconate accarezzo con gli occhi questa valle e mi perdo nella sua serena bellezza.

Vendrogno