Archivio mensile:Luglio 2013

Ronda di notte.

Mi ha colpito la notizia di una ragazzina francese di quindici che, durante una gita scolastica, si è incontrata con un giovane in albergo, è stata violentata e, dopo aver denunciato il fatto, è stata espulsa dalla scuola per non aver rispettato la regola di non uscire dalle camere dopo le ventidue.

E’ vero, la ragazzina si è comportata con leggerezza, ma alle ragazzine (e ai ragazzini) soprattutto in gita scolastica, succede di violare le regole, anzi è proprio durante la gita e il soggiorno in albergo per alcune notti che gli studenti si sentono in dovere di trasgredire forse perchè, per la prima volta, si sentono grandi, lontani dal controllo dei genitori e degli adulti, autonomi.

Succede, succede spesso e gli insegnanti lo sanno, per questo mi chiedo: dove stavano gli insegnanti che avevano il dovere della custodia dei minori?

Ho spesso accompagnato gruppi di ragazzini in viaggio e, innanzitutto, ho sempre cercato di soggiornare in strutture di piccole dimensioni (dove fossimo gli unici ospiti) o di richiedere camere posizionate in un unico corridoio, con un solo accesso, facilmente controllabili e possibilmente senza balconi (i ragazzini in gita sviluppano incredibili doti di equilibrismo).

E poi, prese tutte le precauzioni del caso, si attua la “ronda di notte” : dopo essersi imbottiti di caffè ci si posiziona nei punti strategici e si passa lì praticamente tutta la notte in modo da scoraggiare avventurose sortite notturne.

Per questo motivo le gite scolastiche sono divertenti solo per i ragazzini: di giorno si trotta per musei e monumenti e di notte si vigila.

Dopo tanti anni mi è un po’ passata la voglia (perchè l’età avanza, la responsabilità è immensa e il compenso, se c’è, è irrisorio).

Lezioni.

Grazie Vincenzo, ci hai insegnato che la vita può essere bella, anche quando incontriamo l’incubo e l’orrore, ci hai insegnato che il fondo di umanità che resta comunque in tutti noi, anche quando c’è chi cerca di annullarlo, può permetterci di vivere con dignità e amore.

Non riesco a vedere “La vita è bella” perchè anche le scene più leggere e sorridenti mi provocano un dolore acuto, ma ritengo che sia un capolavoro e che il suo valore vada al di là della stesura della sceneggiatura (seppur ispirata e geniale).

Il suo valore sta nel riuscire a donare una speranza.

Barriere.

In questi giorni di vacanza ci dedichiamo a tranquille passeggiate in paese e, come scrivevo nel post di ieri, a qualche giro sul lago usufruendo della Carta  regionale di Trasporto (che la Regione Lombardia fornisce gratuitamente alle persone affette da gravi disabilità e ad un accompagnatore).

Si tratta di un piccolo privilegio del quale sicuramente mio marito avrebbe preferito fare a meno, ma, visto che c’è, tanto val servirsene per raggiungere Lecco e, da lì, spostarsi lungo le sponde del Lario con i treni regionali che, per fortuna, sono abbastanza frequenti.

Purtroppo però, c’è un “però”: per chi ha difficoltà di deambulazione e per chi è costretto su una sedia a rotelle, le stazioni e i vagoni stessi oppongono ostacoli praticamente insormontabili, i binari interni sono raggiungibili solo per mezzo di scale, le vetture hanno gradini altissimi.

Mio marito cammina con qualche difficoltà, pur senza ausili particolari, ma quando deve affrontare la scaletta di un vagone o salire e scendere velocemente le scale di una stazione (perchè il treno viene spostato di binario all’ultimo momento) sono guai.

Mi rendo conto che dobbiamo ancora fare tanta strada nella direzione dell’abbattimento delle barriere architettoniche, ma un Paese civile non può ignorare le persone anziane, le persone disabili o anche le giovani mamme che intendono spostarsi con un mezzo pubblico portando un bambino su un braccio e il passeggino sull’altro.

Il fascino del Lario.

Di tanto in tanto, quando mi trovo qui fra i miei monti, mi piace fare un giretto sul lago giusto per vedere le mie montagne da una nuova prospettiva che le rende inusuali e quasi irriconoscibili.

In estate le sponde sono tutte un tripudio di oleandri carichi di fiori coloratissimi con le ville signorili che si specchiano nell’acqua.

La superficie del lago è solcata dalle agilissime vele e dai lenti battelli che percorrono le acque maestosi trasportando orde di turisti da una riva all’altra, da una cittadina all’altra.

Le panchine del lungolago offrono un po’ di riposo ombroso ai tanti viaggiatori, soprattutto stranieri, che sembrano persi nella contemplazione del panorama dell’acqua incastonata tra i monti.

L’imbarcadero, nella sua eleganza d’altri tempi, sembra spalancare le braccia per accogliere quanti vogliono provare l’esperienza di ammirare la bellezza del lago vista dal lago.

Per me è uno spettacolo consueto, ma mi rendo conto che, per chi viene da lontano, questo piccolo, profondo specchio d’acqua sia ricco di un fascino quasi misterioso che riesce, con la sua bellezza, a incatenare sguardi e pensieri.

Bellano - l'imbarcadero

La (cattiva) politica dell’insulto.

Si sa che i tempi cambiano, cambiano i modi di rapportarsi, cambiano i linguaggi e forse sarebbe anacronistico e un po’ ingenuo immaginare un ritorno ai linguaggi e ai modi di rapportarsi degli anni della prima Repubblica, quando i politici parlavano in “politichese”, magari si capivano a fatica, ma duellavano in punta di fioretto, senza lasciarsi tentare dalla lite, dall’insulto, dai toni sopra le righe.

Forse sarebbe auspicabile un ritorno alle vecchie, piatte, un po’ monotone “Tribune Politiche” durante le quali la contrapposizione avveniva sulle idee (e sulle ideologie), ma i politici non urlavano, rispettavano il proprio turno, cercavano di essere convincenti e non solo “simpatici”.

Non sarebbe mai successo che Moro, Fanfani, Berlinguer, Malagodi o Almirante si sognassero di paragonare un ministro (appartenente ad un partito avverso) ad un orango, probabilmente si sarebbero vergognati se una battuta del genere fosse sfuggita loro in un momento di nervosismo o di stanchezza.

Sicuramente non l’avrebbero mai usata come argomento di contesa politica.

Non so se esiste un modo per fare marcia indietro, per ritornare ad una politica dallo stile più educato (e più civile), ma credo che sia indispensabile.

 

Diciamolo ai nostri ragazzi.

Diciamolo ai nostri ragazzi quando li vediamo venire a scuola svogliati e rattristati all’idea di sedersi nel loro banco, di ascoltare le lezioni, di studiare, spieghiamo loro che non per tutti l’istruzione è un diritto acquisito, spieghiamo loro che ci sono persone, come Malala, disposte a battersi, a rischiare persino la vita per affermare il loro diritto di studiare.

Allora forse capiranno che la loro scuola non è una condanna ai lavori forzati, ma un privilegio che molti loro coetanei (e soprattutto coetanee) non hanno.

Allora sicuramente capiranno che andare a scuola può essere un gioia: la gioia di imparare, la gioia di condividere un cammino con i loro compagni, la gioia di affrancarsi dalla miseria dell’ignoranza.

Allora capiranno che devono sfruttare al massimo le opportunità che la scuola offre loro, che devono spremere i loro insegnanti come limoni per ottenere da loro tutto ciò che possono offrire.

Comunicare.

Passeggiando per le vie del paese incontro tre ragazzine, adolescenti che passeggiano insieme, probabilmente dirette verso il Centro Sportivo dove si siederanno a godersi un po’ di sole.

Chiacchierano tra loro in modo distratto, con lunghi silenzi, anche perché lo sguardo è fisso sullo schermo dello smartphone e la mano digita agilissima un messaggino.

Mi stupiscono queste ragazzine che riescono, contemporaneamente, a camminare (senza guardare dove mettono i piedi), chiacchierare e scrivere e leggere sms: credo che siano il frutto di una recente evoluzione della specie.

Penso si tratti dell‘ homo digitans.

L’unico dubbio che mi resta è se riescano effettivamente a comunicare tra loro e con gli amici lontani nello stesso tempo.

A meno che non stiano dialogando tra loro via sms.

Chi può dirlo?

Lasciateci la pennichella.

A chi non è successo, almeno una volta, di assopirsi in treno o sul metro lasciando appoggiare la testa al vetro di un finestrino (soprattutto per evitare che ciondoli nel vuoto con il rischio di un doloroso risveglio per le vertebre cervicali)?

Se qualche volta vi è successo (a me capita spesso) sappiate che potrebbe, a breve, non essere più possibile: pare che si stia sperimentando una nuova forma di pubblicità, basata sulla conduzione ossea, che permetterebbe di trasmettere spot sussurrati direttamente nella testa del malcapitato che pensa di assopirsi.

Mi vedo già posare il capo contro il finestrino, giusto per riposare un po’, mentre una voce spettrale, che solo io posso sentire, mi incita all’acquisto di questo o quel prodotto obbligandomi a starmene seduta con il capo eretto, ben distante dal vetro.

Ho l’impressione che questa forma di pubblicità sia un po’ controproducente, anche perchè stento ad immaginare una tortura peggiore.

Per favore, lasciateci almeno la pennichella.

(Spero solo si tratti di una bufala ben congegnata).

Disintossicarsi almeno un po’.

Mi piace, quando sono in vacanza, concedermi i piccoli lussi che, durante l’anno scolastico, mi sono preclusi: mi piace uscire quando voglio, passeggiare lentamente, sedermi al bar (o su una panchina se l’ultimo acquazzone l’ha lasciata praticabile) a leggere il giornale, cucinare qualcosa che richieda più di un quarto d’ora del mio preziosissimo tempo, fermarmi a chiacchierare oziosamente con qualche amico (o conoscente).

Mi piace dilatare i tempi senza la schiavitù dell’orologio, e mi piace persino, con tutta questa abbondanza di tempo che mi è stata regalata, non trovare il tempo per accendere il computer.

In vacanza imparo, a poco a poco, a disintossicarmi da tutte le mie abitudini frenetiche: non casca il mondo se per sei ore non controllo la posta elettronica o non sfoglio un giornale online, non casca il mondo se non sono aggiornatissima sugli ultimi sviluppi della politica planetaria o sugli ultimi tweet di amici e parenti.

Fare i conti con una connessione non velocissima (e a traffico limitato) mi aiuta a risistemare le mie priorità: per questo motivo probabilmente questo blog non sarà aggiornato sempre puntualmente.

Mi sto disintossicando.

Abitudini.

Il ritorno nella casa in montagna è segnato da gesti ogni volta uguali che hanno la rassicurante monotonia delle buone abitudini.

Prima si fa il giro per spalancare le finestre, aprire l’acqua, il gas, riattaccare il frigorifero, controllare che le formiche non abbiano deciso di nidificare nella dispensa, poi si esce a fare un giro in paese per controllare che le montagne siano sempre le stesse e che le pietre siano ancora tutte al loro posto.

Nei primi giorni la casa (disabitata da mesi) è freddina e inospitale, poi a poco a poco comincia ad assumere un aspetto vissuto e il calore di un posto dove è piacevole vivere.

Mi fa stare bene tornare ogni volta a casa.

Culmine di San Pietro 2010