Ci vorrebbe un canotto.

L’ultimo giorno di scuola è caratterizzato, soprattutto nelle terze, da un alto tasso di lacrime tanto che, cercando di sdrammatizzare, sono solita ripetere che, in previsione dell’imminente inondazione, “mi porterò il canotto”.

Di solito la mia affermazione viene accolta da qualche timido sorriso (tra le lacrime).

Ogni volta le lacrime mi stupiscono, perchè di solito per i ragazzi della mia scuola non si tratta di un vero e proprio addio, in realtà, abitando in un paesino di settemila anime, continueranno a incontrarsi e molti di loro si ritroveranno  nella stessa scuola superiore, se non addirittura nella stessa classe.

E allora?

Se non si tratta solo del dispiacere per la “perdita” dei compagni di cento battaglie, o peggio degli insegnanti, qual è la causa di tutto quel pianto?

Forse è l’idea di perdere un pezzetto di infanzia, con le sue sicurezze, l’idea di perdere un ambiente nel quale ci si sentiva protetti e sicuri, un paesaggio che la consuetudine ha reso familiare, suoni e rumori e voci sempre uguali e rassicuranti,.

Forse si tratta di abbandonare, per la prima volta, ma definitivamente, il nido e provare a volare in un cielo sconosciuto, ma non per questo irto di insidie.

Ciò che non si conosce può fare paura, ma rappresenta anche una sfida esaltante e nuovi traguardi, sconfitte e vittorie, delusioni ed entusiasmi.

C’è un mondo là fuori che aspetta i miei ragazzi, ci sono strade da percorrere, ostacoli da superare, nuove lacrime e nuovi sorrisi.

Dovrei piangere io, che resto irrimediabilmente qui.

Ma anche per me il nuovo anno, i nuovi ragazzi sono una sfida e, al solo pensiero del futuro, mi viene da sorridere.

 

 

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