Archivio mensile:Maggio 2013

Senso di vuoto.

Anche Franca Rame se n’è andata, e con lei se ne va un’altra grande protagonista della storia e della cultura del nostro Paese, una donna che ha passato l’esistenza divisa tra le tavole del palcoscenico e l’impegno civile al fianco di Dario Fo, compagno inseparabile nella vita, nel lavoro e nella politica.

Ripercorrendo i primi mesi del 2013 si susseguono le scomparse di italiani illustri in tutti i campi della vita del nostro Paese, dalla scienza alla politica, dallo sport alla canzone, dall’impegno sociale al teatro o all’imprenditoria: spesso si tratta di personaggi che avevano raggiunto età ragguardevoli, ma ciò non toglie che resti un senso di vuoto.

Resta il rimpianto per dei personaggi che avevano dato molto e forse, con l’esempio e la testimonianza, poteva ancora offrire molto, ma soprattutto il senso di vuoto che provo è legato all’impressione che oggi non ci siano persone in grado di raccogliere la loro eredità morale.

Se è vero che siamo nani sulle spalle di giganti la scomparsa dei giganti rischia di farci ridiventare inesorabilmente nani.

Le ragioni dell’elettore.

In politica due più due non fanno sempre quattro (anzi succede raramente), se il voto fosse la logica conseguenza di pensieri e azioni forse sarebbe inutile andare a votare: basterebbe leggere i programmi, conoscere vita morte e miracoli dei candidati e si capirebbe subito l’esito delle elezioni.

Non sempre (anzi quasi mai) è così: milito in un partito che spesso ha dovuto fare i conti con le “apparenti” incongruenze fra i comportamenti dei candidati, i programmi dei partiti e gli esiti elettorali.

L’elettore non è “buono” se ti premia e “pessimo” se ti bastona, l’elettore vota sulla base di ciò che ha capito, o della simpatia personale, o della consapevolezza, o delle valutazioni sui diversi programmi  (oppure non vota) e non sempre è facile capire dove andrà e quali idee, quali slogan, quali parole d’ordine sposteranno un voto.

Quello che ho imparato è che non si può mai dire che “gli elettori non hanno capito”, bisogna sempre chiedersi quanto si è stati in grado di comunicare una proposta elettorale che, per quanto valida e rivoluzionaria sia, deve essere comunicata sempre in modo efficace perchè sia recepita.

Non c’è un’Italia buona e una Italia cattiva, c’è l’Italia con il suo corpo elettorale mutevole ed è compito di chi fa politica elaborare un progetto, proporlo in modo chiaro e convincente ed attendere il verdetto delle urne.

Cuore matto.

Se ne va un altro pezzetto della mia adolescenza, con Little Tony se ne va un protagonista di quella Italia degli anni sessanta che non conosceva ancora le canzoni di protesta o le poesie dei cantautori, ma aveva scoperto il  Rock’n’roll rivisitato in chiave italica.

Era l’epoca dei “musicarelli” , degli urlatori, degli abiti di scena tutti a lustrini un po’ sullo stile Elvis del quale si imitavano le movenze, i toni e l’aspetto.

Little tony è stato un professionista dignitoso e un brillante protagonista di quell’epoca che ha continuato a perpetuare non tradendo mai l’immagine del “ragazzo col ciuffo” che lo aveva caratterizzato negli anni in cui era all’apice del successo.

Nelle sue canzoni, nel suo modo di cantare che imitava  lo stile d’oltreoceano c’era n’ingenuità e una genuinità che mi mette ancora tenerezza.

O forse la tenerezza sta nelle pieghe della memoria, nel ricordo di canzoni che hanno accompagnato un’infanzia felice e il timido sbocciare di un’adolescenza che scopriva che ci si poteva anche innamorare sul ritmo del battito di un “cuore matto”.

Di crollo in crollo.

Dopo la prima giornata di voto per le elezioni amministrative in molti comuni, fra i quali Roma, si registra l’ennesima flessione dell’affluenza.

Francamente faccio fatica a comprendere come ci si possa astenere dal votare per il governo cittadino proprio nella Nazione che ha visto nascere il libero Comune, certamente le nostre città non hanno più dimensioni da medioevo, ma il Comune è e resta il “pezzo” di stato più vicino al cittadino, quello a cui ci si rivolge in tante situazioni della vita quotidiana.

L’elezione del Sindaco, soprattutto nei piccoli comuni, è forse la più semplice e la più diretta: si sceglie una persona e la sua squadra di governo e, a differenza della Presidenza del Consiglio, un minuto dopo la fine dello spoglio si sa già chi sarà la persona che guiderà la comunità per i  cinque anni seguenti.

In molti comuni non si può neppure dire che non ci sia la possibilità di scegliere: basti pensare ai diciannove candidati di Roma e alla scheda record che oggi i pochi elettori che hanno votato hanno dovuto srotolare in cabina.

Riconosco a ciascuno il diritto di non partecipare al voto, ma credo che non assumersi la responsabilità della scelta non sia una forma di protesta, ma un preoccupante disinteresse per la vita della comunità in cui si vive.

Poi lamentarsi è inutile e sterile.

I ragazzi del ’99.

Non si tratta, come a prima vista potrebbe sembrare, degli ultimi giovani chiamati nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, questi ragazzi del ’99 sono nati un secolo dopo, sono i quattordicenni di oggi, quelli che, tra pochi giorni, dovranno affrontare il primo esame della loro vita, l’esame di terza media.

I ragazzi del ’99 sono  miei allievi (quelli che, con un conteggio ottimistico basato su leggi cancellate da improvvide riforme, pensavo sarebbero stati i miei ultimi allievi) sono i ragazzini che ho visto crescere a dismisura in questi tre anni che sono volati in un soffio.

Mentre sto scrivendo loro sono in palestra al ballo di fine anno, sono bellissimi, elegantissimi ed emozionatissimi, ma soprattutto non hanno più fattezze e atteggiamenti da bambini, sono già lì, un po’ timorosi, con un piede nel futuro che, a questa età, possono solo immaginare luminoso.

Vorrei poter regalare loro un futuro stupendo, ricco di soddisfazioni e di successo, ma non dipende da me, io ho cercato di dar loro gli strumenti per affrontarlo nel migliore dei modi, adesso tocca a loro metterci tutto il coraggio, la fantasia, l’impegno di cui sono capaci.

Come disse Steve Jobs agli studenti di Stanford nel 2005, cari ragazzi: “stay hungry stay foolish“.

Banalità.

Lo so è banale parlare del tempo: il clima è l’argomento principe da usare quando non si sa di cosa parlare (ma sarebbe brutto stare zitti).

Anche i telegiornali, quando non ci sono notizie importanti (o quando lo sono troppo) aprono col meteo che, per inciso, è sempre estremo: il caldo è africano, il freddo è polare, la pioggia è torrenziale, la siccità è sahariana e, soprattutto, non esistono più le mezze stagioni.

Eppure, in questa giornata di fine maggio, mentre le nubi si squarciano a nord e vedo apparire, in tutto il loro splendore, le colline coperte di neve come neanche a gennaio, come si fa a non parlare del clima?

Se in una mattina di fine maggio le temperature si aggirano su livelli invernali (cinque gradi alle sette) si può far finta di niente?

E allora parliamo del tempo, della pioggia che non dà tregua, del freddo inusuale, parliamone pure se può consolarci, tanto sappiamo benissimo che è uno degli aspetti della vita e della natura sul quale (almeno nell’immediato) possiamo incidere pochissimo

Controcorrente.

Era un sacerdote scomodo, sempre dalla parte degli ultimi e dei diseredati, le sue parole, mai banali o scontate, spesso creavano “scandalo”, però si poteva stare ad ascoltarlo per ore.

Ora che non c’è più mi mancheranno le sue parole difficili, che chiamavano alla responsabilità personale, ma che erano piene d’amore per l’uomo.

Caro Don Andrea, che la terra ti sia lieve.

don gallo

 

Solo lo spirito di servizio.

Così rispose il magistrato Giovanni Falcone a un giornalista che gli chiedeva chi glielo facesse fare.

A pochi giorni dall’anniversario dall’attentato di Capaci che tolse la vita con cieca violenza a lui, alla moglie, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro mi piace sottolineare questo aspetto: Giovanni Falcone non era, e non voleva essere, un eroe, ma un fedele servitore dello Stato che aveva fatto dello spirito di servizio la sua  norma di vita.

Ed era lo spirito di servizio a permettergli di convivere con la paura e di continuare a svolgere con puntualità e passione il suo lavoro fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo respiro.

“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza”.

La società civile.

Ho sentito sempre più spesso, negli ultimi tempi, invocare il ricorso alla “società civile” , in contrapposizione alla “politica di professione”,  dove attingere per reperire le forze migliori su cui puntare per la gestione dello Stato e delle sue istituzioni.

Si dice spesso che la società civile ha in sè le professionalità e le competenze tali da permetterle di governare il Paese soprattutto in momenti difficili come questi.

E forse è vero.

Allora qualcuno mi spieghi perchè la scelta del ministro Idem è così sbagliata.

Visto che non si può dire che non capisca nulla di sport (quindi ha professionalità e competenza) il suo “difetto” potrebbe essere quello di non essere italiana di nascita?

O forse è perchè la neoministro è una che non le manda a dire?

 

 

Ludopatia.

“Ludopatia” è una parola che abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene, soprattutto in questa devastante crisi economica.

Credo che sia capitato a tutti di vedere nei bar, nelle tabaccherie o in locali dedicati, nugoli di persone davanti alle slot o in adorazione di uno schermo dove compaiono, ogni dieci minuti, numeri in sequenza.

A me è successo e mi sono soffermata ad osservare il ritmo allucinante con il quale le monete passano di mano, infilate in una fessura o versate alla cassa, si tratta di veri e propri piccoli patrimoni che vengono inghiottiti in un pozzo senza fondo dal quale, solo raramente, troppo raramente, una piccola parte viene restituita.

Un tempo c’erano solo i Casinò dove però la clientela era molto limitata: il numero stesso dei locali e le regole di accesso contribuivano a mettere un freno al gioco.

Oggi però si può giocare dovunque, anche a casa propria, davanti allo schermo di un computer e questa facilità di approccio al gioco d’azzardo lo ha in qualche modo sdoganato.

Per molti, purtroppo, l’azzardo è diventato una speranza e questo è molto triste perchè la difficoltà può portare le persone più deboli a non contare più sulle proprie forze, sulle proprie capacità, ma a sperare nel “colpo di fortuna” che non è mai a portata di mano e in questa ricerca si indebitano consumando anche le ultime risorse già esigue.

La ludopatia, dobbiamo rendercene conto, non è solo un comportamento anomalo, è una vera e propria malattia e, come tale, va affrontata non solo mettendo delle regole (come la proibizione del gioco per i minorenni), ma approntando strutture che permettano di curare quella che è per moltissimi una dipendenza e partendo dalla scuola.

Tutti devono fare la loro parte, soprattutto lo Stato che non può nascondersi dietro la foglia di fico della raccomandazione “gioca senza esagerare”.