Archivio mensile:Marzo 2013

Tempi duri per i profeti (e per le marmotte).

Ha sbagliato la previsione e adesso rischia la pelle (e la pelliccia) la povera bestiola incaricata di pronosticare l’arrivo della primavera (un po’ come succede da noi, con controverse interpretazioni,  alla festa della “Candelora“).

Altro che tepori precoci, sul New England è caduto più di un metro di neve e molti guardano alla tana dell’incauto roditore con fare minaccioso.

Propongo che qualche paesetto delle nostre montagne offra asilo politico alla povera bestiola: noi, in genere, siamo più teneri con chi fa previsioni sbagliate e , soprattutto, tendiamo a dimenticarcele.

Val Biandino 2010

Giocare per capire.

L’Unar ha messo in rete un gioco, che proprio gioco non è, nel quale è quasi impossibile vincere (almeno io ci ho provato diverse volte, ma ho sempre perso).

Si tratta di provare a vivere un mese da migranti: si può scegliere tra tre profili diversi, tre storie diverse, una giovane ucraina, un ragazzo tunisino e un giovane senegalese e cercare di tirare la  fine del mese facendo le scelte giuste per superare imprevisti, difficoltà, discriminazioni.

Il gioco (se di gioco si può parlare) si intitola “Nei miei panni” ed è stato creato dall’Unar in collaborazione con Caterpillar AM, i profili sono di fantasia, ma si basano su dati statistici reali e dovrebbero spingerci alla riflessione sulla condizione dei migranti.

Forse giocando potremo capire che la condizione dei migranti, purtroppo, non è un gioco.

Pareti di vetro.

Posso comprendere il fastidio e il disappunto di molti eletti del M5S nei confronti dei giornalisti: il loro comportamento, i gesti, le parole, le riunioni in streaming, i tweet, i post su facebook e sui blog personali sono passati al vaglio in cerca non solo della “notizia”, ma anche del passo falso, della frase sbagliata, dello “scoop”.

Mi verrebbe da dire: “è la vita, bellezza”.

Non ci si può atteggiare a “duri e puri” (ammesso che i Parlamentari M5S l’abbiano fatto) e attendersi da parte della stampa, con la quale non si vuole neanche parlare, un atteggiamento condiscendente, se non amichevole.

Ho sentito in un video una signora eletta (non so se alla Camera o al Senato) lamentarsi per l’insistenza dei giornalisti e ribadire con tono quasi incredulo “Io sono una persona normale!”.

Purtroppo per lei (e per tutti i suoi colleghi di qualsiasi partito) fare politica attiva, avere un incarico elettivo (anche quello di consigliere di condominio) significa automaticamente non essere più “persone normali”, significa dover rispondere agli elettori, che pensano di poterti tirare per la giacchetta in qualsiasi momento, significa essere sottoposti a giudizi e critiche talvolta impietosi, significa trovarsi in una casa con le pareti di vetro.

E chi sta in una casa di vetro deve guardarsi bene dal tirare sassi.

Vimercate

La freccia del Sud.

Si è spento Pietro Mennea, lo sportivo che ci ha portato nell’Olimpo dell’atletica, in quello spazio dove fioriscono talenti puri e dove noi italiani non avevamo mai osato sperare di giungere.

Veniva da Barletta e per questo e per la sua velocità si guadagnò il soprannome di “Freccia del Sud”, vinse l’oro olimpico a Mosca sui 200 metri e il suo record mondiale durò a lungo (ed è ancora record europeo).

Era forte, determinato, non sempre “simpatico” e comunicativo, non era un “superman” come spesso lo sono gli atleti della velocità, ma ci ha fatto sognare.

Grazie per quel sogno.

Serrande abbassate.

Ormai da mesi, girando per le vie di città grandi e piccole, si può vedere il triste spettacolo delle numerose serrande abbassate, con le vetrine polverose in stato di abbandono, i vetri opachi, gli scaffali, che si scorgono nella penombra del negozio, vuoti.

La piccola distribuzione non ce la fa più, schiacciata dalle spese, dalle tasse, dalla concorrenza dei grandi centri commerciali e così chiudono anche negozi storici che un tempo erano luoghi dove scorreva la vita dei quartieri: non erano solo luoghi dove acquistare pane e companatico, ma anche luoghi d’incontro, dove scambiare due chiacchiere.

Da bambina vivevo a Milano in una via sul limitare dell’Isola, il quartiere dove si respirava un’aria di paese più che di grande città, e nel giro di poche decine di metri c’erano tutti i negozi indispensabili per procurarsi il necessario e anche il superfluo.

All’angolo si aprivano le due vetrine del cervelee (il salumiere) dove troneggiavano la forma di parmigiano, il prosciutto di Parma profumato e le vaschette con le alici piccanti, i nervetti con le cipolle, la trippa, la mostarda coloratissima e la salsa verde, il negoziante indossava sempre un camice candido stretto in vita da un grembiule, in testa portava una “bustina” dal vago sentore militare e, meraviglia delle meraviglie, dietro l’orecchio spuntava sempre un mozzicone di matita con cui scriveva velocemente il conto sulla carta oleata.

A pochi metri si apriva il negozio del fundaghee (il droghiere) un po’ più scuro, ma dal caratteristico profumo che era un misto di pepe, zafferano, caffè, cacao e detersivo, un profumo pungente che pizzicava le narici mentre gli occhi si perdevano nell’ammirazione dei vasi di caramelle colorate o dei gesti veloci e quasi ipnotici delle mani del negoziante che confezionavano abili il pacchetto dello zucchero con la carta dal caratteristico blu.

Sull’altro lato della strada l’urtulan (l’ortolano) con le cassette di frutta e verdura che ingombravano il marciapiede e il prestinee (il panettiere) con il banco traboccante del profumo del pane appena sfornato mentre una rubiconda signora pesava le “michette” con le mani e il volto spruzzati di farina.

Vicino al portone di casa mia si apriva l’antro scuro del sciustree (il carbonaio) invaso di cumuli di carbone e cataste di legna.

E poi c’erano il macellaio, il cartolaio, la merciaia, il pescivendolo, il pastaio, il lattaio che offriva anche il gelato o la panna montata spruzzata di cannella profumata.

La via dove abitavo era un microcosmo dove la gente si conosceva , si incontrava, si salutava, si rincorreva da un negozio all’altro in un clima di confidenza se non di amicizia, era un mondo che non esiste più, ma che forse, per molti versi, mi manca.

Milano

 

 

Il Parlamento ai tempi di Facebook.

Siamo stati catapultati, soprattutto dalle ultime elezioni, in un’era di Parlamento 2.0 nella quale i commenti politici, le osservazioni, le discussioni non sono più affidate alla carta stampata o ai programmi televisivi, ma esplodono immediatamente (in tempo reale, si usa dire) con un aggiornamento di stato su Facebook o con un tweet.

Trasparenza, la chiamano, ma c’è un ma, l’immediatezza non è quasi mai sinonimo di riflessione e può capitare che una frase, scritta in fretta sull’onda di una impressione momentanea, scateni una serie infinita di reazioni (non tutte razionali, non tutte improntate ad urbanità) che, a loro volta, necessitano di chiarimenti, correzioni, smentite, aggiustamenti eccetera eccetera.

Tutti (o quasi) i politici si sono adeguati al nuovo corso della comunicazione, ma i paladini indiscussi dell’uso della rete sono  evidentemente i Parlamentari a cinque stelle, particolarmente facondi e produttivi, evidentemente intenzionati a tenere i contatti molto stretti con gli elettori.

La rete, tuttavia, ha un limite che è anche la sua peculiarità, la rete non dimentica, non cancella nulla e una parola, una frase restano lì, come incisa nella pietra, rimbalzate e ripetute da infinite condivisioni.

Succede così che i post della signora che non apprezza la Bindi o del signore che ritiene (visto che i politici sono “tutti uguali”) di essere stato interpellato in modo sleale da Vendola facciano il giro della rete e diventino oggetto di commenti (anche impietosi) se non di contumelie.

Quando parlo con i miei ragazzi li invito spesso a ponderare bene ciò che “postano” sui social network, perché c’è i rischio concreto (trattandosi di “social” appunto) che tutti leggano, comprendano e/o fraintendano, commentino e si formino delle opinioni che poi è difficile sradicare.

Piacere.

Forse sarà una deformazione professionale, forse sarà il ricordo delle mie primissime “aule professori” dove pochissimi colleghi mi rivolgevano la parola e, se qualcuno lo faceva, mi aggrappavo piena di gratitudine a quell’approccio, perché finalmente avevo l’impressione di non essere capitata lì per caso, ma oggi, che sono la decana del “sacro collegio” (docenti) tutte le volte che incontro un giovane collega mi avvicino con un sorriso, porgo la mano, mi presento e mi informo se posso essere utile in qualcosa.

Mi sembra un’elementare regola di convivenza civile e, devo dire, tutti i giovani colleghi mi hanno risposto con un sorriso nel quale mi sembra di scorgere un’ombra di quel sollievo che anch’io, alla loro età, avevo provato.

Posso immaginare che la signora Rosy Bindi (che, più o meno è mia coetanea) fosse animata dallo stesso spirito quando ha tentato un approccio con i giovani deputati M5S, non credo si aspettasse una particolare deferenza o che meditasse qualche orripilante “inciucio”, semplicemente penso che si trattasse di un gesto di accoglienza.

Il rifiuto di stringerle la mano non mi sembra elegante, ma forse l’eleganza non va più di moda.

Vantarsene poi mi sembra proprio spiacevole.

(Per inciso vorrei far notare che il Galateo sconsiglia l’uso di formule come “piacere” al momento della presentazione)

 

Buon giorno Italia.

Nel giorno del tuo compleanno vorrei dedicarti un saluto affettuoso, il saluto di una figlia che ti ama tanto, che ti considera bellissima, che vorrebbe vederti continuare a vivere nella pace e nella prosperità.

I tempi sono duri, lo so, ma non dobbiamo perderci d’animo, dobbiamo ricostruire il nostro vivere insieme, sotto lo stesso cielo, con la consapevolezza che non possiamo prosperare da soli, che il destino di noi tutti è un destino comune, il destino di Unità che proprio tu, in questo giorno, ci additi.

Auguri Italia.

Torino 2011

Fumate bianche.

La giornata politica ha visto l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato e, a parte qualche commento sgangherato, non si può non notare che si tratta di due persone di alto profilo che hanno lavorato con impegno e passione in ambiti non facili.

Qualcuno ha definito Laura Boldrini una “comunista esperta di profughi”, ma non mi sembra grave: nel nostro Paese non è ancora un reato essere comunisti e, dopo aver visto Deputati e Senatori esperti di ben altro, la conoscenza di una problematica così delicata mi sembra, semmai, un valore aggiunto.

Si è parlato anche di “occupazione militare” delle Camere da parte delle sinistre, ma vorrei sottolineare che nella passata legislatura furono scelti, per lo stesso ruolo, gli onorevoli Fini e Schifani che, a quanto mi sembra di ricordare (ma si sa nel nostro Paese abbiamo la memoria corta) non erano proprio “super partes”, ma appartenevano entrambi ad una parte politica ben definita (quella, per intenderci, che deteneva la maggioranza).

Penso che, per quanto riguarda gli eletti di oggi, non si tratta di persone inserite negli apparati dei partiti (i famosi professionisti della politica), ma di persone che provengono da altri ambiti e che forse sapranno dare al loro incarico un respiro più ampio e un nuovo orizzonte.