Presto saranno posizionate a Roma ben trentasei nuove “pietre d’inciampo”, i sampietrini  che ricordano le vittime della Shoa: si tratta di un modo originale (che risale al 1995 con la posa della prima pietra a Colonia) per invitare alla riflessione e al ricordo.

Qualche volta, in passato, queste mute testimonianze di un terribile periodo della storia europea sono state imbrattate o divelte, forse perchè  ricordare può dare fastidio, soprattutto a chi preferirebbe dimenticare, negare i fatti, cancellare la memoria soprattutto ora che i testimoni viventi di questa tragedia sono sempre meno numerosi.

Io spero invece che le nuove pietre restino intatte e che a tutti succeda, passando per quelle vie, di inciampare, anche solo con lo sguardo, in un nome, in una data: le pietre sono lì per dirci che non si trattava di dati statistici, ma di persona in carne ed ossa con la loro vita quotidiana simile alla nostra, con gli affetti, i desideri, le speranze, i dolori simili ai nostri.

Solo se riusciremo ad associare ogni nome ad una persona, a un volto reale (come accade sfiorando con lo sguardo le fotografie degli internati di Auschwitz) ci renderemo conto che non si tratta solo di storia, ma della vita.

E della morte di esseri umani.