Nostalgia, nostalgia canaglia.

Chiedete ad un ragazzino di oggi cosa lega una penna ad una audiocassetta, se il ragazzino è sveglio vi dirà, tutto orgoglioso, che la penna serve per scrivere il titolo sull’etichetta adesiva.

Noi, i vecchi (trentenni inclusi), sappiamo benissimo che la penna serve a riavvolgere il nastro quando le testine del mangianastri (o del woalkman per i più giovani) combinano un disastro riducendo il prezioso supporto magnetico ad un artistico pizzo macramè.

Come spiegare le ambasce in cui ci gettava il drammatico evento a ragazzini abituati a vivere, correre, studiare con gli auricolari di un ipod nelle orecchie?

Ogni tanto, ritrovando in un cassetto i reperti archeologici di un passato morto e sepolto, mi viene una gran botta di nostalgia: nostalgia per la cannuccia di legno e il pennino (che si spuntava così facilmente) e per la boccetta d’inchiostro che si riempiva di “pelucchi” che disegnavano allegri ghirigori sul foglio.

Nostalgia per la bambola con gli occhi di vetro azzurro, un po’ sbarrati, che si chiudevano quando la si faceva sdraiare e che, se opportunamente e innaturalmente ribaltata, diceva “mamma” con una vocina lamentosa e un po’ spettrale.

Nostalgia per la gonna a pieghe e i calzettoni (portati fino alla quarta ginnasio) e per il grembiule nero che, comunque, copriva tutto.

Nostalgia per il mangiadischi dai colori flou, pesantissimo (per via delle sei pile torcia), portatile, ma solo per modo di dire, che permetteva di ascoltare i delicatissimi 45 giri.

Come si fa ad avere nostalgia per  oggetti così scomodi?

Forse è solo nostalgia dell’età passata, di un’età che, adesso, sappiamo essere stata felice (allora era l’età ingrata) e del passato che, in quanto tale, è infinitamente più rassicurante del presente.

Forse.

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