Archivio mensile:Gennaio 2011

Lo sfregio.

Leggo, con raccapriccio, che durante la rivolta in atto al Cairo la rabbia (o l’ignoranza, o la brutalità) della gente si è sfogata sui preziosi e fragilissimi reperti archeologici del Museo Egizio per eccellenza.

Ora una catena umana protegge questo retaggio antico dell’Egitto dall’infame violenza di chi pensa che , per cambiare le cose, sia veramente necessario distruggere, annientare tutto ciò che è legato al passato, anche remotissimo in cui la storia affonda le sue radici.

Era successo anche a Bagdad, al museo archeologico che conservava le testimonianze più preziose dell’antica Mesopotamia, ma al Cairo, a differenza di quanto accadde in Iraq, sono stati prima di tutto i cittadini stessi a proteggere il Museo dai saccheggiatori.

Anche le piramidi sono chiuse al pubblico e protette dall’esercito, anche la Sfinge che, da millenni, vede scorrere ai suoi piedi la storia umana con le sue miserie e le sue grandezze.

Ho orrore di chi distrugge i reperti del passato, ho orrore di chi brucia i libri e non solo perchè sono patrimonio di tutta l’umanità, ma perchè non vedo nulla di buono in chi vuole cancellare il passato con il ferro e con il fuoco.

Quando tutto sarà finito e si lavorerà per ricostruire questa nazione sarà proprio da lì, da quelle mute testimonianze di grandezza che bisognerà ripartire perchè l’Egitto è anche questo, affonda le sue fondamenta in un’epoca lontana su cui si sono stratificate, nei secoli, le vicende degli uomini e non volerlo ricordare o tentare di cancellarlo è miope e stupido.

Di parte.

Qualche giorno fa, durante una discussione sull’attuale situazione politica del nostro paese, il mio interlocutore, che sa benissimo come la penso, mi ha chiuso la bocca con la frase “E’ inutile parlare con te perchè sei di parte” quasi fosse un insulto.

Sono rimasta un momento attonita: ma certo che sono di parte (tutti lo siamo del resto), sono dalla parte della giustizia, dei diritti umani, sono dalla parte di chi è più in difficoltà, sono da parte delle persone oneste, sono dalla parte di chi cerca lavoro, sono dalla parte della scuola pubblica, sono dalla parte della dignità e della libertà di ciascuno.

Sono di parte.

E allora?

Ricordando Christa.

Venticinque anni fa, la mattina del 28 gennaio, quando da noi era pomeriggio inoltrato, la televisione ci mandò in diretta l’esplosione dello Space Shauttle Challenger, dopo pochissimi secondi dal decollo.

Ricordo ancora l’immagine di un fiore di fumo e fuoco, quasi gentile ed elegante, che si allarga sullo schermo e lo stupore e l’incredulità e lo sconcerto e, infine, l’orrore di noi che assistevamo al lancio, seduti sul divano del salotto, e quel sentirsi sbalzati all’improvviso dall’entusiasmo per l’impresa alla tragedia.

Rimasi lì, incredula e addolorata, anche perchè avevo seguito l’evento con particolare interesse: a bordo c’era per la prima volta un civile, un’insegnante di scienze e in qualche modo l’idea che una mia collega potesse fare lezione da una cattedra così insolita mi esaltava.

Mi addolorava l’idea che sulle tribune, per assistere al lancio, oltre ai suoi genitori ci fossero anche i suoi allievi, orgogliosi della loro insegnante ed entusiasti dell’idea di assistere alle sue lezioni dallo spazio.

Per questo oggi voglio ricordare Christa McAuliffe, una donna coraggiosa che faceva il mio mestiere e se n’è andata in una nuvola di fumo e fuoco venticinque anni fa.

Qui non ho visto farfalle.

Terezin è una fortezza asburgica, nella Repubblica Ceca, sita presso la città di Teresienstadt che, durante la seconda guerra mondiale, divenne il ghetto nel quale furono rinchiusi gli ebrei “privilegiati” e che si trasformò, anche in seguito alle visite della Croce Rossa,in uno strumento raffinato di propaganda.

A Terezin i bambini frequentavano in qualche modo una sorta di scuola e erano invitati a produrre scritti e disegni sulla loro condizione di bambini internati in un ghetto.

Oggi quei disegni sono esposti nella sinagoga di Praga, ingenua testimonianza di un orrore indicibile e le poesie ci toccano ancora il cuore.

L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla! 
l’ultima
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:(1) i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.


Pavel Friedmann 1921 – 1944
(morto nel campo di Auschwitz)


Terezin (Rep. Ceca)

Non chiamiamole “Olgettine”.

Olgettine” è il neologismo, mutuato dall’abitazione in via Olgettina a Milano, che è entrato di prepotenza nel vocabolario dei media e che, c’è da immaginare, presto entrerà a far parte del linguaggio comune.

Così dopo veline, meteorine, letterine e schedine balza agli onori della cronaca questa nuova falange di giovani donne dal corpo perfetto, dal volto stupendo, ma delle quali non si conosce o, in breve tempo, nessuno ricorderà il nome, quasi non avessero identità, quasi fossero allegramente intercambiabili.

Non chiamiamole olgettine: sono persone con una vita, con una personalità e con una dignità che vanno comunque rispettate.

Il colore del cibo.

Questa sera,come succede almeno due o tre volte al mese, mio figlio mi ha trascinato in un ristorante giapponese perchè, quando siamo in giro per spese, ne approfitta per mangiare il sushi (che ama), mentre io di solito mi butto su un piatto di verdura (non impazzisco per il sushi).

Le portate sono, di solito, molto colorate e allestite con vere e proprie architetture, generalmente sono piatti belli da vedere (oltre che decisamente buoni da mangiare).

Anche la tavola è apparecchiata in modo elegante ed essenziale e l’impressione che dà è di ordine e semplicità uniti ad una nota di raffinatezza.

L’ambiente è lineare, senza troppi inutili orpelli, con le luci soffuse ed una musica dalle sonorità orientali, cacciata molto in sottofondo, che non disturba la conversazione che, comunque, si svolge con toni bassi, quasi sottovoce.

L’atmosfera del locale è sobria  ed  “educata” e, di questi tempi, scusate se è poco.

Alla fine della cena ho optato per il dessert che consisteva in dolcetti tondi ricoperti di cocco e ripieni di una crema di riso al sesamo, quando ho affondato la forchetta (che provvidenzialmente mi era stata fornita) nel dolce ne è uscita una crema grigia che ricordava vagamente il bitume.

In realtà il sapore era buonissimo, ma mi sono resa conto che, nella nostra cucina, non esistono cibi di colore grigio, anzi il grigio  è un “non colore” assolutamente inadeguato a qualcosa di commestibile.

E’ strano come io riesca ad accettare i sapori più insoliti, gli accostamenti di gusto più arditi, ma mi faccia fuorviare dal colore dal cibo e se non ritrovo la tavolozza della cucina mediterranea faccio fatica ad apprezzare anche i sapori, come se i gialli, i rossi, i verdi fossero, in qualche modo, familiari e rassicuranti.

E’ proprio vero che anche l’occhio vuole la sua parte.

Sempre più vecchi, sempre più stranieri.

L’ultima fotografia della popolazione italiana fornita dall’Istat ci rappresenta una Italia con una speranza di vita che punta sempre più in alto (quasi ottant’anni per gli uomini e un po’ di più per le donne) e con una natalità sempre più bassa, incrementata solo dalle nascite di bambini di madre straniera.

Che ci piaccia o no è una situazione con la quale dobbiamo abituarci a fare i conti.

Dobbiamo cominciare a ragionare sul fatto che le nostre scuole saranno sempre più multietniche e che la “diversità” dovrà, per forza di cose, essere considerata un valore e non un ostacolo alla formazione dei ragazzi.

Dobbiamo cominciare a pensare che gli anziani sempre più numerosi avranno bisogno di una assistenza che ne salvaguardi la qualità della vita e non si basi solo sulla buona volontà dei figli e dei nipoti (sempre meno numerosi).

Se oggi un anziano può contare (e non sempre) su due o tre figli che si prendono cura di lui domani potrebbe anche succede che due genitori ultracentenari siano obbligati a ricorrere all’aiuto di un unico figlio (logicamente non più in verde età) il che apre scenari le cui conseguenze è facile immaginare.

Purtroppo se non si inverte questa tendenza, se per i giovani diventa sempre più arduo mettere su famiglia ed assumersi la responsabilità di mettere al mondo i figli, se non si prendono misure adeguate per sostenere il lavoro dei giovani e la loro possibilità di diventare indipendenti, non esiste via d’uscita.

Forse abbiamo bisogno di fare scelte coraggiose che ci aiutino a cambiare mentalità, ma per ora tutto è fermo e non si vede una rapida e radicale soluzione.

Progetto Sport.

La nostra scuola propone, da diversi anni, un Progetto Sport molto articolato che, con il passare del tempo, è andato via via modificandosi per adattarsi alle aspettative dei ragazzi e alle esigenze delle famiglie (che spesso non possono sobbarcarsi l’onere di corsi costosi).

L’ultimo assetto prevede per le prime un corso di due giorni di vela a Dervio, nell’alto Lario, per le seconde un corso di due giorni di sci, snowboard e attività sulla neve in quel di Lizzola in val Seriana e per le terze un corso di un giorno di canottaggio all’idroscalo.

Così oggi mi ritrovo a scrivere, un po’ indolenzita, di ritorno da due giornate splendide, ma freddissime, passate sulla neve.

L’organizzazione prevede tempi serrati: si arriva, vengono assegnate le stanze e subito dopo si passa al noleggio delle attrezzature; dopo aver fornito tutti i ragazzi di sci, scarponi, tavola e casco i pargoli vengono presi in consegna dai maestri di sci i quali, dopo averli divisi per livelli, li portano sulla neve.

Dopo la lezione e un po’ di sci libero c’è solo il tempo di rientrare per il pranzo, rilassarsi un attimo e ripartire per una lezione pratica sui “Pericoli della montagna” con discese lungo pendii ghiacciati (assicurati con corda e moschettoni), percorsi accidentati lungo un gelido ruscello, ponti sospesi e carrucole per attraversare il corso d’acqua.

Vorrei far notare che anche l’anziana prof. di italiano si è appesa (per la gioia di grandi e piccini) ad un cavo ed ha attraversato (in modo non molto dignitoso) il ruscello.

Dopo circa due ore si ritorna in albergo per una doccia e cambio veloce e poi tutti a cena, ma non è finita qui, c’è ancora il giro con le fiaccole per il paese.

La notte è passata insolitamente tranquilla perchè i giovani virgulti sono crollati di schianto.

Il giorno seguente, dopo una sveglia faticosa e una colazione divorata, è di nuovo il momento di due ore di lezione seguite  da un po’ di sci libero.

Dopo il pranzo, dopo aver richiuso la valigia e sgomberato le camere, si passa alla lezione sulle valanghe con l’esercitazione pratica della ricerca di due ragazzi sepolti sotto la neve da parte di un cane intelligentissimo.

Mentre sul paese calano le prime ombre è il momento di tornare, i ragazzi sono stanchissimi, ma felici come delle pasque, non vedono l’ora di raccontare tutto ai genitori.

Sicuramente si è trattato di due giornate intense nelle quali si sono messi alla prova, hanno superato qualche paura e hanno fatto esperienze insolite e molto forti.

Difficilmente dimenticheranno.

Quando è meglio tacere.

Non riesco a scrivere, in questi giorni, perchè mi infastidisce concentrarmi sull’ennesimo “affaire” che sta sconvolgendo il mondo politico del nostro paese.

Forse, in fondo in fondo, spero che si tratti di una enorme montatura perchè, in caso contrario, si tratterebbe di un incredibile colpo alla dignità delle istituzioni dello Stato.

Ho sempre sostenuto che una persona deve essere considerata innocente fino a prova contraria, quindi mi auguro che su questa storia cali presto il riserbo, ma spero che si faccia chiarezza in tempi brevi, perchè le illazioni, le indiscrezioni, le rivelazioni clamorose fanno male prima di tutto a tutti noi.

Nel frattempo, tuttavia, sarebbe auspicabile che qualcuno si preoccupasse di guidare il  Paese che deve affrontare sfide e problemi che richiederebbero una dedizione totale.

Non possiamo permetterci, ancora una volta, di incartarci sull’ennesimo scandalo.

Il Pomofiore.

E’ ricominciata “La Corrida” (almeno a giudicare dagli spot pubblicitari), la trasmissione condotta quest’anno dal simpatico Flavio Insinna che raccoglie il testimone di un cordiale Jerry Scotti e di un garbatissimo (e compianto) Corrado.

Non amo molto i “dilettanti allo sbaraglio” e non tanto perchè  pensi che non sia legittimo mettersi alla prova davanti ad un pubblico, ma perchè mi infastidisce il tono irridente che accompagna le esibizioni più disastrose, che pure sono indispensabili al funzionamento dello spettacolo.

Il programma nasce per la radio e approda alla televisione alla metà degli anni ottanta anche se, nelle televisioni locali agli arbori, c’era stato un precedente che aveva più o meno lo stesso meccanismo: “Il Pomofiore“.

La trasmissione, presentata prima da Enzo Tortora e poi da Lucio Flauto ed andata in onda su Telealtomilanese e su Antenna 3 Lombardia sulla fine degli anni settanta.

Anche in questo caso si trattava di esibizioni canore (dall’esito quanto mai incerto e aleatorio) che venivano seguite, a seconda del gradimento, dal lancio da parte del pubblico di un fiore o di un pomodoro (da cui il titolo del programma).

Se non altro la manifestazione del gradimento tramite il lancio di oggetti aveva il pregio di essere inequivocabile e inappellabile.