Archivio mensile:Ottobre 2010

C’è poco da scherzare.

In questi giorni la parola d’ordine che rimbalza su tutti i media, nella rete e nelle chiacchiere da bar è “bunga bunga”, la notizia, con tutto il corollario inevitabile di approfondimenti, parodie, commenti, prese di distanza e quant’altro ha avuto un effetto dirompente che ha oscurato persino il delitto di Avetrana (il che è tutto dire).

La rete ha visto in brevissimo tempo scoppiare un florilegio di tormentoni, canzoncine rielaborate, commenti sarcastici che, inevitabilmente, fanno sorridere.

Non vorrei sembrare moralista, ma a me pare che ci sia poco da ridere perchè ho l’impressione che anche questo sia l’ennesimo “scoop” finalizzato a distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi del paese, da un’economia stagnante, dalla disoccupazione in crescita, dalla sanità in ginocchio, dalla scuola allo sbando, da una credibilità internazionale sempre meno credibile.

Delitti e scandali sono ormai i nostri “circenses“… del “panem” ci preoccuperemo in un secondo tempo.

Parole che non si usano più.

Il quotidiano “Avvenire” richiama l’attenzione sul “decoro” che dovrebbe essere un dovere del premier.

La parola in questione mi ha colpito perché è una espressione che non sentivo da tanto tempo, soprattutto se riferita al mondo della politica o dell’economia.

Il significato, alla lettera, suona come “complesso di valori e atteggiamenti ritenuti confacenti a una vita dignitosa, riservata, corretta” ed è per questo motivo che mi sembra una parola ormai desueta: a chi interessa, infatti, in un’epoca segnata dalla massima esposizione mediatica, a chi interessa, dicevo, una vita dignitosa, riservata e corretta?

Chi ancora considera valori da conservare e proteggere la dignità, la riservatezza e la correttezza?

Al massimo oggi il “decoro” è quello delle piastrelle del bagno.

Compensazioni.

Quando sono stanca, quando mi sento esausta perché la giornata è stata lunga e difficile, quando sono triste (ma, talvolta, anche quando sono allegra), quando sono infreddolita, quando mi annoio perché la televisione trasmette l’ennesima partita sento nascere dentro di me un’esigenza, che ben presto si trasforma in un impulso irrefrenabile, e mi metto alla ricerca di un pezzo di cioccolato.

In genere mi va bene tutto (non sono razzista),  va bene una tavoletta di cioccolato al latte, con le nocciole, con le mandorle, va bene il cioccolato bianco, ma anche (e soprattutto) quello fondente nero nero, van bene i cioccolatini, van bene le scorzette di arancia ricoperte da una glassa amarissima, va bene anche il budino o una fetta di torta, ma, potendo scegliere adoro un quadrotto di cioccolato di Modica, secco e quasi ruvido, che si scioglie lentamente rilasciando tutte le sue delizie e il suo gusto essenziale ed antico.

Mi piace scorrere con lo sguardo i banconi delle pasticcerie pregustando i sapori e gli aromi, mi sono persa a Salisburgo al cospetto di piramidi di Mozartkugeln o a Vienna davanti alle vetrine di Demel popolate di figure di cioccolato, mi sono lasciata catturare persino dal fascino arcano del film “Chocolat

Qualcuno sostiene che aiuti a curare persino la depressione, per quanto mi riguarda non posso che essere d’accordo.

Mostrò ciò che potea la lingua nostra.

Quando ero bambina e frequentavo la scuola elementare ogni anno si ripeteva il piccolo rito dell’iscrizione alla “Società Dante Alighieri” e io ricordo che mi veniva consegnata una tessera in cartoncino con l’immagine del sommo poeta e questa frase che, probabilmente, stentavo a comprendere.

La “Società Dante Alighieri” fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci aveva ed ha lo scopo di diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo un po’ come il “British Council” per l’inglese o il “Goethe Institut” per il tedesco, ma, a differenza delle titolate consorellei, la nostra istituzione può contare su un budget veramente esiguo che, con la finanziaria, è stato ulteriormente e drasticamente ridotto.

E’ evidente che in periodi di ristrettezze economiche bisogna operare dei tagli, anche dolorosi, seguendo uno schema di priorità, ma è un peccato mettere a rischio una struttura che sta lavorando bene visto che, soprattutto negli Stati Uniti, si registra una crescita consistente dei corsi di lingua italiana.

Anche la “Società Dante Alighieri” contribuisce, da sempre, ad esportare nel mondo un’immagine lusinghiera del nostro Paese e della nostra cultura e forse è il caso di non lasciarla morire.

Firenze

Viaggiatori del tempo.

Oggi è tornato sui grandi schermi, in occasione del venticinquesimo anniversario, uno dei film, a mio parere, più mitici degli anni ottanta: “Ritorno al futuro“.

Nella prima pellicola della celebre trilogia Marty McFly (un Michael J. Fox dall’aspetto adolescenziale) si ritrova nel passato dove rischia di interferire con la storia della sua famiglia e di compromettere la sua stessa esistenza.

La narrazione affronta il tema non banale delle mille possibili variabili che possono modificare in mille modi il nostro futuro e tratta un argomento caro a molti scrittori di fantascienza: quello del viaggio nel tempo.

Sarà perchè la proiezione del film riporta all’attenzione ipotesi suggestive, sarà perchè il viaggio nel tempo, e soprattutto nel passato, è sempre ricco di fascino, ma qualcuno ha scovato, in un film di Chaplin del 1928, l’immagine di una signora che sembra parlare con un telefono cellulare.

Subito si sono trovate spiegazioni razionali per questa strana presenza: la signora potrebbe sistemare la tesa del cappello o il bavero, oppure sarebbe intenta a regolare l’apparecchio acustico (allora già in uso).

Sta di fatto che i fotogrammi sono intriganti.

Comunque, ammesso che la signora sia una viaggiatrice del tempo, sicuramente potrebbe avere qualche problema a trovare campo.

Elezioni.

Ci sono delle giornate campali e oggi è stata una di quelle toste: si comincia con quattro ore di lezione, poi via di corsa a casa, cucino per l’allegra famigliola (oggi la badante, che ormai bada a noi tutti, aveva una visita medica).

Il tempo di inghiottire qualche boccone e accatastare i piatti nella lavastoviglie e poi si torna a scuola.

Si comincia con una riunione con le colleghe delle classi parallele per la stesura della programmazione annuale, poi si passa alla riunione dei coordinatori per chiudere in bellezza con l’assemblea per l’elezione dei rappresentanti della componente genitori nei consigli di classe.

Faccio uno sforzo per mantenermi lucida e non parlare a vuoto, ma comincio ad essere un po’ stanchina (come diceva Forrest Gump dopo mesi di corsa attraverso gli Stati Uniti).

Poi c’è ancora qualche colloquio sparso e, finalmente, verso le 20 me ne torno a casa dove mi attende di nuovo la famigliola affamata.

Se becco quello che ha definito gli insegnanti fannulloni….

Non sono sicura.

Non sono sicura che mi piaccia l’dea di fare un backup del mio cervello, quasi fosse un hard disk pieno di dati da conservare intatti.

La natura è pietosa e spesso ci aiuta a rimuovere i ricordi più dolorosi oppure si limita a ridipingere gli eventi del passato con colori diversi così noi abbiamo una percezione, spesso distorta, ma accettabile di ciò che ci ha spaventato, o preoccupato, o terrorizzato: ricordiamo, ma non ricordiamo veramente e finiamo per costruirci una realtà passata che forse non è “vera”, ma è come ci sarebbe piaciuto che fosse.

Mi rendo conto che la mia può sembrare una fuga, ma ho un’età in cui i ricordi cominciano ad affievolirsi e ad impastarsi tra loro, ma l’io che sono adesso è la somma di quelle esperienze e di quei ricordi giusti o sbagliati che siano.

Certamente ho dimenticato tante cose, nozioni che ho studiato sui libri di scuola (ogni tanto affiora un aoristo irregolare), volti e voci di persone che ho incontrato e che, forse, non sono state importanti per me, perchè, delle persone importanti, ricordo i minimi particolari: il mio file di backup è conservato gelosamente nel cuore.

Forse non sono ancora pronta per tanta tecnologia.

Diversamente.

Si fa spesso della sorridente ironia sull’espressione “diversamente abili” (si pensi al “disonesto” diventato “diversamente onesto”), ma nella formulazione c’è una profonda verità: i bambini in difficoltà non sono disabili, ma semplicemente abili in qualcosa che si differenzia de uno “standard” (quale poi?) ed è compito della scuola e della società far emergere e valorizzare queste abilità.

Certamente si tratta di bambini che richiedono un impegno “diverso”, ma che possono insegnare molto ai compagni (e agli insegnanti), rendendo la classe in cui sono inseriti una classe più ricca, dove si insegnano e si imparano competenze nuove o cadute in disuso come l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione.

Forse questi bambini “rallentano” il lavoro didattico (così come succede per i bambini stranieri), allontanando gli “altri”, quelli “abili” dal raggiungimento di uno standard (ma quale poi?) che è segno di efficacia dell’azione educativa e di efficienza.

Io spero che le affermazioni del Presidente della Provincia di Udine siano state veramente fraintese (ormai è un must) e che nessuno pensi, in nome dell’efficienza, di reintrodurre seriamente le classi differenziali.

La mia esperienza mi insegna che le classi dove è inserito un allievo “diversamente abile” sono spesso più “toste”, più disponibili, più aperte alla conoscenza e spesso le prove Invalsi, che dovrebbero certificare il raggiungimento di uno standard (sì, ma quale?) lo hanno dimostrato come, per inciso, è successo nella terza che ho appena lasciato nella quale c’erano stranieri, diversamente abili e d.s.a. e le prove d’esame hanno evidenziato i livelli di preparazione più alti dell’istituto.

Dalì.

Mercoledì scorso sono andata a visitare la mostra dedicata a Salvador Dalì a Palazzo Reale dal titolo “Il sogno si avvicina”.

Dalì mi affascina e mi rapisce: le sue opere mi attirano in un modo tutto particolare, perchè ho quasi l’impressione di restare catturata in una dimensione onirica che ha aspetti inquietanti, ma, allo stesso tempo, è bello perdersi tra forme e colori che avviluppano lo sguardo e la mente.

Dalì non è mai come sembra, non ci si può fermare ad una lettura superficiale, ma bisogna lasciarsi guidare nella fiaba.

E’ un’esperienza che consiglio a tutti.