A nessuno sfugge che, soprattutto negli ultimi anni, la politica si trova spesso a fare i conti con l’immagine che dà di sè che deve essere patinata, levigata, anche ammiccante, sempre sorridente e ottimista.
A nessuno sfgge che l’agone politico si è trasformato sempre più in un’operazione di marketing per cui ciò che si dice rischia di contare sempre meno di come lo si dice.
Se è l’immagine a comunicare dei contenuti (semplici ovviamente) l’immagine deve essere studiata, costruita, rassicurante, non deve avere sbavature o punti deboli.
In questa logica è comprensibile come un politico possa essere raccontato anche attraverso un libro fotografico ed è comprensibile che le immagini, se sono il mezzo per veicolare idee, debbano essere studiate, elaborate, persino ritoccate per svolgere al meglio il loro compito.
In fondo è da sempre così: basti pensare ai ritratti ufficiali dei sovrani di ogni tempo, da Ramses II a Luigi XVI alle loro immagini pacate o trionfanti offerte agli sguardi disincantati dei sudditi.
Sì perchè i sudditi, il popolo, la gente guardano le immagini, ma poi sono in grado di confrontare la vita “raccontata” con quella reale, sono in grado di capire se l’immagine è una vuota icona o se ha un significato concreto: photoshop può ritoccare un volto, non la vita reale.