Archivio mensile:Gennaio 2010

Domenica: televisione.

Queste gelide domeniche invernali invitano poco ad uscire: al massimo camminiamo un po’ attraverso la campagna nelle ore più calde (si fa per dire), andiamo a vedere come se la cavano le paperelle pattinatrici sul ghiaccio dello stagno, ma appena il sole si avvicina all’orizzonte, ci barrichiamo in casa.

Anche se durante la settimana il televisore è un elegante, sottilissimo monolito nero che serve quasi unicamente per ripescare nella memoria vecchi film, alla domenica pomeriggio, dopo il tributo dovuto al campionato di calcio, quello giocato, ma anche quello parlato, anzi urlato, mi sistemo sul divano per la mia trasmissione televisiva preferita: “Per un Pugno di Libri”.

Si tratta di un programma garbato e divertente con alcuni ingredienti vincenti: un gioco senza patemi fra due squadre di studenti su un libro, un po’ di cultura, ma senza pesantezze, le recensioni argute di Piero Dorfles, il tutto tenuto insieme dalla divertita ironia di Neri Marcorè.

Mi piace trascorrere questa oretta davanti al teleschermo: è un’occasione per sentir parlare di libri in modo intelligente e per trovare qualche spunto per nuove letture.

Sigle.

Dopo aver finalmente stilato il P.E.P. (o forse sarebbe meglio dire il P.E.I) relativo agli allievi DSA, dopo aver finito di aggiornare il P.O.F., dopo aver inviato il questionario di verifica del corso per l’uso della LIM nell’area TIC dell’Indire, francamente mi scappa di lanciare un disperato S.O.S.

E poi mi lamento se i miei neuroni proclamano lo sciopero!

Ho visto l’acqua respirare.

Ieri sera sugli scaffali dell’ipermercato (peraltro piuttosto deserto: sarà per colpa della crisi?) ho visto “l’acqua che respira”.

Si tratta di una nuova bevanda di moda, acqua addizionata con ossigeno (per carità niente a che fare con l’acqua ossigenata) in bottigliette tonde, eleganti come flaconi di profumo, che contengono poco più di un bicchiere di liquido.

Sullo stesso scaffale, poco più in là c’erano bottiglie molto glamour di acque minerali da degustazione (le etichette recitano “da degustare con pesce e carni bianche” etc.).

Le caratteristiche comuni sono dosi omeopatiche e prezzi da Barolo d’annata, ma questo non sembra spaventare i consumatori, visto che le scorte erano quasi esaurite.

Visto che le mie finanze non mi permettono tali raffinatezze ho deciso che ovvierò in modo molto semplice: una bella scarpinata a duemila metri e un  bicchierone di acqua di fonte.

Sprizzottolo

Il primo amore.

C’è una città che amo quasi come quella in cui sono nata ed è Firenze.

Ben inteso mi piacciono tantissimo anche Roma e Venezia, ma Firenze ha una marcia in più, almeno per quanto mi riguarda, perchè nutro nei suoi confronti un sentimento molto simile a quello che mi lega al primo amore, è un sentimento che resta sopito magari per anni, ma si risveglia intatto quando vedo un’immagine, o sento qualche parola pronunciata con quella cadenza tanto particolare, o assisto alla televisione ad una performance di Benigni.

Firenze è stata la meta della mia prima gita scolastica, quando frequentavo la terza media, e di innumerevoli altre vissute prima da studente e poi da insegnante e ogni volta ha mantenuto intatto il suo incanto.

Firenze è la città che ho mostrato orgogliosa, quasi fosse un gioiello di famiglia, alla mia amica polacca, che studiava architettura e ha soggiornato per qualche mese a casa mia per conoscere il patrimonio artistico del nostro Paese.

Quando scendo dal treno ed esco dalla stazione, per immergermi nel centro storico forse più famoso del mondo, vengo immediatamente colta da una sorta di sindrome di Stendhal che non mi abbandona fino alla partenza, quando, dal treno in movimento, scorgo per l’ultima volta la cupola di Santa Maria del Fiore.

Un amore così grande ogni tanto va assecondato, per questo motivo, nei giorni di chiusura per il carnevale, ho deciso di concedermi una breve vacanza, così, prima dell’esperienza del viaggio d’istruzione (o distruzione) a Praga, avrò un’occasione per riscoprire questa stupenda città.

(Se qualche lettore fiorentino volesse passarmi qualche dritta….)

Carissima Liliana.

Carissima Liliana,

Vorrei ringraziarti per la forza indomita della tua testimonianza che senza retorica, senza sentimentalismi ha il potere di evocare l’orrore e la speranza, la morte e la vita.

Il tuo racconto evoca gli spettri di un passato che molti vorrebbero dimenticare, che altri vorrebbero negare, ma la tua voce è ferma e inesorabile, i tuoi occhi sono asciutti e le tue parole hanno l’incredibile potenza della verità.

Ascoltandoti mi sembra di vedere una ragazzina (che tu definisci sciocca) scagliata dalla quieta quotidianità di una vita tranquilla all’inferno di Auschwitz, vedo la fame, il freddo, la paura, il dolore, la stanchezza, ma anche i sogni, la speranza, la voglia di vita.

Oggi è il giorno della memoria, di quella memoria che è impressa nella tua anima e sul tuo braccio, e vorrei cogliere l’occasione per pregarti di tenere duro, di continuare a testimoniare con la tua voce ferma, con i tuoi occhi asciutti, con il tuo incredibile coraggio.

Ancora grazie.

Hic sunt leones.

La frase, stupenda nella sua semplicità, compariva nelle mappe antiche per indicare quei luoghi, in Africa e in Asia, dei quali si conosceva poco o nulla.

Le notizie frammentarie e quasi favolose che giungevano in occidente contribuivano a disegnare carte approssimative, ma fantasiose, dai particolari imprecisi e ingenui.

Poi c’è stata l’epoca degli esploratori che ha tramutato la geografia in una scienza esatta o quasi.

Le immagini aeree e satellitari ci hanno offerto dettagli sempre più minuziosi, dandoci forse l’impressione di conoscere tutto e di comprendere tutto.

A cosa serve studiare la geografia se, con un colpo d’occhio, posso vedere un territorio vasto come un continente?

Si tratta di un’illusione, vedere non significa necessariamente comprendere, le foto satellitari non ci parlano degli uomini, della loro storia, della cultura e della civiltà dei popoli, delle relazioni politiche, economiche e sociali fra paese e paese.

Non amo particolarmente insegnare la geografia, ma mi spiacerebbe  se dovesse essere sacrificata nei programmi scolastici perchè temo che verrebbe meno una importante possibilità di comprendere il mondo la fuori nel quale il gps può forse indicarci la strada, ma non le motivazioni profonde del viaggio.

Preparativi (più o meno frenetici).

praga Contrariamente a quanto i più ingenui potrebbero pensare l’evento della terza media non è la scelta della scuola superiore e nemmeno l’esame (che ogni tanto si affaccia come un incubo), l’evento è il viaggio d’istruzione, quello di più giorni che, di solito, vede come meta una città europea.

Lo so che molti potrebbero obiettare che i nostri ragazzi non conoscono neppure l’Italia e quindi è assurdo portarli all’estero, ma quando si decide il viaggio, di solito, si tiene d’occhio il portafogli e le città d’arte italiane non sono quasi mai tra le mete più economiche.

L’amministrazione comunale, inoltre, contribuisce ad abbattere i costi grazie ad un progetto concordato con la scuola: il “Progetto Memoria” che prevede mete di grande interesse storico e istituzionale.

Negli ultimi anni le nostre classi hanno visitato Salisburgo e Mauthausen, Roma e il Senato della Repubblica, Berlino, Strasburgo e il Parlamento Europeo, quest’anno invece tocca a Praga e al campo di concentramento di Terezin.

Come è logico fervono i preparativi: gli insegnanti si preoccupano di preparare i documenti necessari, il passaporto collettivo (indispensabile per minori di quindici anni) e di svolgere lavori di approfondimento su alcune  tematiche legate alla città come Kafka, la primavera di Praga, il mito del Golem, la storia di Faust.

I ragazzi, invece, hanno interessi diversi, per ora almeno, nella cima del loro pensieri c’è la composizione delle camere, ci sono lunghi ed estenuanti parlamentari per decidere con chi stare, ci sono accordi e consigli su cosa mettere in valigia, c’è la curiosità spasmodica di conoscere il nome dell’albergo che ci ospiterà (per andarlo a vedere in internet).

Prevedo che ci attende un mese lunghissimo.

Fatti un nodo al fazzoletto.

Ogni tanto questo blog svolge anche la funzione del nodo al fazzoletto di antica memoria.

Mi appunto una frase, una promessa, un articolo di giornale e dopo mesi (o anni) torno a vedere come è andata a finire, per esempio verifico se viene pronunciata, dalla stessa persona, in situazioni analoghe, una frase di senso totalmente opposto, se la promessa viene mantenuta, se la previsione espressa nell’articolo di giornale si realizza o no.

Viviamo tempi difficili nei quali la memoria collettiva (ma anche quella individuale) è assopita, nebulosa: ci sembra di ricordare un evento, un discorso, ma è difficile trovare i riferimenti e allora (almeno a me succede così) si ha l’impressione di averli solo immaginati.

Quindi prendo appunti, nodi al fazzoletto, ancoraggi della memoria, con il proposito di costruire ricordi stabili.

Per questo voglio appuntarmi la previsione dei parenti delle vittime del crollo della Casa dello Studente che temono che un’eventuale approvazione del processo breve lasci senza responsabili la morte dei loro cari.

Voglio poter tornare qui, magari tra dieci anni, e verificare.