Le parole dette.

Se c’è qualcosa che amo di più che raccontare è sicuramente ascoltare qualcuno che racconta.

Sarà per questo motivo che mi appassiona il teatro di narrazione, quello di Marco Paolini, per intenderci, mi appassionano i ricordi, le divagazioni, i ritratti di personaggi tratteggiati con pochi aggettivi pregnanti.

In casa mia si è sempre raccontato molto: le mie nonne, pur nella diversità dei loro caratteri, raccontavano spesso le storie di famiglia che si intrecciavano inevitabilmente con la Storia, quella con la s maiuscola.

Mio nonno invece, parmense di nascita e innamorato del melodramma, come tantissimi suoi conterranei, mi raccontava le opere liriche, come se fossero favole e io preferivo quella che è la più favola di tutte: Turandot.

Mio padre ogni tanto usciva dal suo silenzioso riserbo e mi raccontava la guerra in Libia e il campo di concentramento in Sudafrica e io provavo un brivido sottile nel rivivere con lui le storie di paura, coraggio, dolore e amicizia che avevano attraversato la sua vita di giovane uomo poco più che ventenne.

Mi sono spesso pentita di non aver registrato i suoi racconti, perchè ora risentirei la sua voce e riuscirei a ricordare tutti quei minuti particolari che, ora che non c’è più, si sono persi per sempre.

Nella mia mente si affollano spesso ricordi non miei, rievocati da voci narranti il cui suono mi è caro perchè è il suono della mia’infanzia di bimba molto amata e ogni tanto mi sforzo di fissare sulla carta quelle parole dette per paura che scivolino via.

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