Archivio mensile:Maggio 2008

In mensa.

Quest’anno il mio orario di servizio prevede due turni di mensa e devo dire che stare a tavola con i ragazzi è sempre istruttivo infatti è un buon punto di osservazione per studiare i disordini alimentari degli adolescenti.

La nostra mensa funziona come un self service, i ragazzi si incolonnano in modo abbastanza ordinato e intanto danno un’occhiata ai cibi che sono stati preparati per loro: solitamente richiedono razioni abbondanti di pasta e rifiutano sdegnati la verdura così, quando arrivo io, alla fine della fila, le cuoche mi aspettano al varco con un piatto di dimensioni colossali di zucchine, patate, fagiolini o insalata (a qualcuno la verdura la devono pur rifilare).

Mentre io mangio lentamente, cercando di masticare bene tutti i bocconi, loro si abbuffano per poter correre a fare il bis, così ingollano una razione doppia (se non addirittura tripla) di pasta il che procura una sonnolenza post-prandiale che non aiuta certo l’apprendimento.

I miei ragazzini sono di prima media e hanno una voracità da cuccioli, ma, via via che aumenta l’età, compaiono i primi problemi e bisogna occuparsi, in modo discreto, ma attento, delle ragazzine di terza che tendono a mangiare sempre meno, portano al tavolo piatti con razioni microscopiche, girano a lungo la forchetta nel piatto, bevono acqua a ripetizione, e finiscono per riconsegnare il vassoio quasi intonso.

Nei casi più preoccupanti contattiamo in tempi brevissimi i genitori i quali, in genere, tendono a rifiutare di vedere il problema, ma talvolta, almeno ai nostri occhi allenati a vedere tanti comportamenti diversi, i problemi ci sono per davvero e, in qualche caso, sono sfociati in episodi di anoressia.

Spesso si tratta di ragazzine che, in prima media, erano rotondette e pian piano si assottigliano fino a diventare filiformi e poi decisamente magrissime, forse perchè non accettano il loro aspetto, forse perchè qualcuno le ha prese in giro, forse perchè nella loro mente è scattato qualcosa che le porta a rifiutare il cibo.

Spesso i nostri ragazzi, a tavola, hanno comportamenti sbagliati, mangiano troppo o troppo poco, mangiano solo alcuni cibi, senza variazioni, all’intervallo disdegnano la frutta (che pure viene offerta ogni giorno dal servizio mensa) per abbuffarsi di patatine e merendine, sono molto conservatori, non accettano di provare alimenti nuovi, che non conoscono: anche a tavola è fondamentale l’abilità dei genitori di stabilire delle regole, a nulla servono i nostri discorsi di educazione alimentare senza il supporto delle famiglie, ma, purtroppo, darsi delle regole e rispettarle è scomodo, faticoso e può causare conflitti e allora molti genitori decidono di lasciar perdere.

Educare i figli richiede molte competenze e tanta, tanta pazienza.

Couscous

Giornalismo di razza.

Se ne va in pensione Bob Woodwar, il giornalista del “Washington Post” che con il collega Carl Bernstein nel 1972 scoprì lo scandalo Watergate che portò all’impeachment del presidente Nixon nel 1974.

I due cronisti, che sono praticamente diventati un mito del giornalismo, hanno rappresentato, per la mia generazione il potere della stampa libera, la forza dell’inchiesta che ricerca i fatti e li porta alla luce senza lasciarsi intimidire, anche se, nella ricerca della verità, capita di inciampare in personaggi di calibro sempre più grosso, fino ad arrivare al massimo livello.

In realtà nell’immaginario collettivo i due protagonisti hanno il viso di Robert Redford e di Dustin Hoffman, gli interpreti del film “Tutti gli uomini del presidente” che, ripercorrendo il libro scritto dai due cronisti, racconta l’inchiesta giornalistica in modo magistrale.

Negli ultimi anni, tuttavia, Woodward era caduto in disgrazia per aver taciuto il proprio ruolo di rilievo nel Ciagate, accusato dai colleghi di insabbiare gli scoop per poi utilizzare le informazioni nei suoi libri, accusato dall’opinione pubblica di collusione col potere.

E’ una ben triste parabola discendente, da leggendario paladino dell’informazione, da campione del giornalismo d’assalto a mesto pensionato impastoiato in una rete di reticenze e di silenzi.

[Si veda anche qui.]

Temporali di maggio.

Tra il primo Consiglio dei Ministri (a Napoli come promesso in campagna elettorale) per affrontare il problema dei rifiuti, i decreti sulla sicurezza (identificata quasi esclusivamente con la lotta all’immigrazione clandestina), i primi teneri vagiti di qualche neoministro i giornali, e anche i telegiornali, si soffermano con dovizia di particolari sul clima, su questo maggio piovoso con il suo corredo di vento e temporali.

E così parte la sequela dei luoghi comuni: la primavera è scomparsa, non esistono più le mezze stagioni, una volta sì che il mese di maggio era il mese delle rose e delle spose (e non delle esondazioni).

Ma siamo proprio sicuri che sia vero?

Forse abbiamo inventato un mese di maggio, dolce e soleggiato, che esiste solo nel limbo della memoria, un mese di maggio più della fantasia e del desiderio che della realtà, un mese di maggio che illumina una remota “isola che non c’è”.

Qualche anno fa, intervistando gli anziani sulla vita contadina, era saltata fuori una storia che contrasta non poco con i nostri sogni: quando si allevavano in casa i bachi da seta i bambini si affrettavano a raccogliere le foglie del gelso (a catà la foja) prima che iniziassero le piogge di maggio che le avrebbero rese fradice e quindi inservibili per alimentare le larve.

Maggio allora, nella saggezza popolare, era considerato il mese dei temporali (el mes di tempurai), un mese dal tempo infido, mutevole, proprio come succede in questi giorni.

Ciò non toglie che, pur riconoscendo che tutto sommato, rispetto al passato, le differenze sono spesso soltanto nella nostra percezione della realtà e del ricordo, tuttavia continuo a guardare fuori dalla finestra e aspetto fiduciosa l’arcobaleno.

Arcobaleno

Il rispetto delle regole.

Spesso sentiamo parlare di regole e di rispetto delle stesse, ma altrettanto spesso siamo molto più indulgenti con le nostre personali infrazioni, considerate veniali, che con quelle altrui.

Sono centinaia ogni giorni gli esempi di tali comportamenti, basta guardarsi intorno: si va dal permettere al proprio cane di imbrattare i marciapiedi (magari scandalizzandoci se qualcuno ci invita ad usare paletta e sacchetto) al gettare cartacce per terra, e via via fino a infrazioni dalle conseguenze più gravi come la guida dopo aver bevuto (“tanto io l’alcool lo reggo”), al mancato rispetto delle regole sul riposo per gli autisti dei pullman (ne parlavo oggi con il conducente che ci stava accompagnando a Milano, proprio mentre un’auto ci sorpassava sulla destra).

Siamo un popolo strano, convinto che le leggi siano state scritte unicamente per gli altri, come se vivessimo in una zona franca dove la legalità è “sospesa”, a nostro esclusivo uso e consumo.

Ci sforziamo di essere rispettosi solo quando corriamo il rischio concreto di una sanzione e ci sentiamo tanto in gamba quando (e succede spesso) riusciamo a farla franca.

Così mi arrabbio quando non riesco a spingere la sedia a rotelle di mia madre fuori dalla piazza del paese perchè tutti i varchi sono “logicamente” ostruiti da automobili parcheggiate in divieto di sosta e sono francamente stufa di essere considerata una stupida perché quando, nei mesi estivi, assumo una ragazza che mi aiuti ad accudirla mi preoccupo che abbia il permesso di soggiorno e la metto in regola anche se, tra t.f.r., ferie, tredicesima e contributi, è un vero e proprio salasso.

Temo che finché non ci sforzeremo di rispettare le regole non solo per timore delle sanzioni, ma per convinzione, non saremo mai veramente civili.

Bella storia.

Esattamente da un anno opera nel paese un’associazione, denominata D.U.Ca (donne e uomini di Cavenago), gestita da entusiasti volontari, che si prefigge lo scopo di offrire uno spazio di aggregazione per anziani, ma non solo, dove trascorrere un po’ di tempo libero in compagnia.

Negli accoglienti locali, situati in una palazzina proprio nel centro del paese, ci si riunisce tutti i giorni e mentre in una stanza i signori giocano a carte o discutono del più e del meno, in una saletta tranquilla le signore sferruzzano, cuciono, ma soprattutto dipingono.

Grazie infatti alla passione di Ada Serpagli, una valente pittrice locale che ha organizzato un corso di pittura nel quale condivide le proprie conoscenze e il proprio senso artistico in modo assolutamente gratuito, al giovedì pomeriggio un agguerrito gruppetto di allievi si cimenta con matite, colori e pennelli.

Del gruppo fanno parte anche alcune entusiaste allieve, le ospiti della locale casa di riposo, che si impegnano con serietà per imparare i segreti del disegno e del colore.

In occasione della mostra organizzata per festeggiare il primo anno di vita dell’associazione è stato possibile ammirare le opere, frutto di tanta passione e impegno.

colibri

DSCF2308 D.U.CA

Il meglio di te.

L‘uomo è irragionevole, illogico, egocentrico:
non importa, amalo.
Se fai il bene, diranno che lo fai per secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi, incontrerai chi ti ostacola:
non importa, realizzali.
Il bene che fai forse domani verrà dimenticato:
non importa, fa’ il bene.
L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile:
non importa, sii onesto e sincero.
Quello che hai costruito può essere distrutto:
non importa, costruisci.
La gente che hai aiutato, forse non te ne sarà grata:
non importa, aiutala.
Da’ al mondo il meglio di te, e forse sarai preso a pedate:
non importa,
da’ il meglio di te.

Madre Teresa di Calcutta

Quando mi sento un po’ stanca di lottare contro i mulini a vento, quando vorrei piantarla di impegnarmi e vorrei tornare ad interessarmi degli affari miei (in fondo chi me lo fa fare?) rileggo queste parole e mi dico: “non importa”.

Assisi ulivi

Vite spezzate.

“Signor giudice, le ho confessato tutto. Ora posso andare a casa?” avrebbe chiesto, secondo quanto riporta laRepubblica, uno dei giovanissimi indagati dopo la confessione del brutale omicidio di Lorena Cultraro, la ragazzina, poco più che una bambina, massacrata da un gruppetto di quelli che, probabilmente, considerava amici.

In questa domanda, se quanto riferito corrisponde a verità, c’è tutta l’agghiacciante ingenuità, c’è l’incredibile incoscienza di questa terribile storia, una storia che, come pochi giorni fa, ancora una volta ci interroga tutti.

Una incoscienza di bambini mai cresciuti, mai educati al rispetto degli altri, inconsapevoli del valore della vita umana, bambini, o poco più che bambini, che solo ora, di fronte alla limitazione della libertà personale, di fronte alla prospettiva di anni e anni di carcere, forse cominciano a rendersi conto di quello che hanno fatto e forse cominciano a provare un vago sentore di pentimento, se non di rimorso.

Quanto inutile dolore in queste famiglie distrutte, in queste vite spezzate.

Mamme in attesa.

Non solo mamme, ma anche qualche papà, nonni e nonne affollano il piazzale antistante i cancelli delle scuole: quando esco, al pomeriggio, qualche minuto prima che suoni la campanella delle elementari ( saggiamente gli orari di uscita sono sfalsati di una decina di minuti per evitare ingorghi), mentre faccio lo slalom fra passeggini, biciclette e cani dal guinzaglio lungo, osservo le persone con interesse, perché le persone mi interessano sempre.

Ci sono le mamme magrebine, con i lunghi abiti che avvolgono totalmente il corpo, il volto incorniciato dal velo, raccolte in piccoli gruppi, parlano sottovoce fra loro e aspettano pazientemente: mi piacerebbe sapere di cosa parlano, quanta nostalgia per il loro paese e per la loro vita laggiù ci sia nelle loro parole.

Poco lontano un altro gruppetto discute animatamente di qualche problema scolastico: spesso il piazzale della scuola ha la funzione di un’agorà, è una vera e propria palestra di democrazia: si parla, ci si confronta animatamente, si organizzano raccolte di firme.

Ci sono le mamme “di corsa” pronte a schizzare verso la palestra o la piscina dove depositeranno il pargolo, sempre affannate, con un occhio all’orologio e l’altro fisso sul cancello (rischiando pericolosi fenomeni di strabismo) per individuare immediatamente la prole: non è pensabile perdere tempo.

Qualcuno sta seduto in macchina, col motore acceso, poi esce di gran carriera dal parcheggio evitando per un pelo il ragazzino che volteggia come un acrobata con lo skate board tra un parafango e l’altro.

C’è la mamma un po’ ansiosa che aspetta al varco la maestra perché ha bisogno di chiarimenti e spiegazioni, c’è la mamma che si allontana con i figlioli e due pesantissimi zaini, uno per spalla, maledicendo fra sé il “peso” della cultura, c’è la signora che approfitta dell’attesa per permettere al cagnolino di casa di fare pipì (o peggio), c’è la nonna che cerca disperatamente di avere qualche resoconto sulla giornata passata a scuola da un nipotino ostinatamente reticente.

E’ proprio divertente osservare l’umanità: c’è sempre qualcosa da imparare.

Quando finisce la speranza.

E’ incredibile ed agghiacciante la notizia della ragazza di sedici anni morta perchè il genitori, confidando nelle indicazioni terapeutiche di una “guaritrice”, hanno sospeso la terapia insulinica che l’adolescente, in quanto diabetica, avrebbe dovuto seguire scrupolosamente sostituendola con una cura alternativa rivelatasi poi inefficace a mantenerla in vita.

Non voglio commentare la notizia nel dettaglio, preferisco aspettare che gli inquirenti svolgano il loro lavoro, accertando i fatti, vorrei però soffermarmi su un aspetto più generale, che mi sembra, tuttavia, molto grave.

Molto spesso, in presenza di malattie gravi, capita che ci si fidi più di guaritori ( o sedicenti tali) e di ciarlatani che della medicina ufficiale la quale, ovviamente, ha dei limiti e non può garantire la guarigione in ogni caso.

Quando la speranza si spegne, quando il futuro si oscura si è disposti a tutto, anche a investire denaro e sentimenti affidandosi a chi non merita alcuna fiducia, ma ha buon gioco perchè può fare leva su bisogni profondi, su aspettative disperate.

Non si può esorcizzare la morte e spesso non c’è rimedio al dolore e alla sofferenza, ma è mostruoso che ci siano persone che abbiano mano libera nel lucrare sulla paura.

Per la strada.

Assisi mimo elaborazione Mi piace molto soffermarmi ad osservare gli artisti di strada siano essi giocolieri, mimi, acrobati e quando mi si presenta l’occasione indugio volentieri.

Ricordo, alla fine degli anni settanta, gli ampi spazi intorno al neonato Beaubourg di Parigi letteralmente invasi da mangiatori di fuoco e fantasisti di ogni genere fra i quali spiccava un uomo in marsina, pesantemente truccato, che si muoveva con i gesti rigidi di un automa in tutto simile al robot Zed che sarebbe apparso, di lì a qualche anno, in una trasmissione di Raffaella Carrà.

Solo più recentemente i centri storici delle città d’arte italiane hanno cominciato a popolarsi di mimi che imitano, in modo quasi perfetto, delle statue: all’inizio mi soffermavo a guardarli divertita e stupita cercando di cogliere il minimo movimento, il battito di ciglia, il fremito di un muscolo che tradisse la presenza della vita, ma spesso restavo delusa perchè mi capitava d’imbattermi in veri e propri professionisti dell’immobilità .

Amo molto queste presenze silenziose e discrete che sembrano estraniarsi dal flusso dei passanti, fermissimi dove tutto è movimento, che si concedono solo un breve cenno di ringraziamento quando una monetina cade nel piattino ai loro piedi, mi piace quel loro starsene lì per ore nel caos cittadino a farsi ammirare da passanti frettolosi e turisti in cerca dello scorcio pittoresco, dell’immagine curiosa da riportarsi a casa come souvenir, personaggi muti e quasi estranei alla confusione di cui pure fanno parte.

Mi sembra un modo simpatico di raggranellare qualche soldino.