Archivio mensile:Aprile 2008

La fiera dei sogni.

Nel bar tabaccheria, che ormai non è più fumoso, perchè non si fuma più nei locali pubblici, c’è tutto un fermento, tra una discussione sull’ultima partita, sull’ultimo rigore regalato o negato, tra un caffè e un Campari è tutto un affannarsi a grattare, con una monetina, i tagliandi della lotteria istantanea, meglio conosciuti come “Gratta e vinci”.

Ho l’impressione, e temo che sia un po’ più di un’impressione, che il numero dei biglietti venduti sia inversamente proporzionale alla mancanza di denaro di cui tantissimi ormai si lamentano così come credo di poter affermare che, a confronto delle tradizionali lotterie nazionali, questa forma di azzardo, dalla risposta immediata, sia di gran lunga la preferita.

Così mi capita di vedere persone, dall’aspetto non particolarmente opulento, acquistare un numero esagerato di tagliandi e non solo di costo basso, spesso infatti non si tratta di biglietti da due euro, ma da cinque e dieci euro, nella speranza di fare il “colpaccio”, quello che ti sistema per tutta la vita o, per lo meno, te la cambia in modo significativo.

Anni fa, nella Romania appena uscita dalla dittatura, avevo visto in vendita dei “gratta e vinci” particolarissimi: in palio non c’erano cifre in contanti, ma appartamenti, automobili (la mitica Dacia) ed elettrodomestici, anche lì la gente faceva la fila per acquistarli ed anche lì avevo avuto l’impressione che fosse un modo per acquistare un sogno, quello di una vita meno grama.

Mi piacerebbe che le persone che si affidano all’azzardo per cambiare la loro esistenza si rendessero conto che, a parte rare e fortunatissime eccezioni, l’unico sistema sicuro per vincere è non giocare.

Biscotti stantii.

Quando ero piccola, più o meno fino ai dieci anni, abitavo a Milano, nel quartiere dell’Isola Garibaldi, che allora era una specie di paese, dove più o meno si conoscevano tutti: nello stesso quartiere abitava da sempre la mia nonna paterna e i miei zii che tra quelle vie e quelle case erano cresciuti, avevano conosciuto i relativi consorti, si erano sposati ed erano restati a vivere.

Andavamo a messa nella stessa chiesa, il Sacro Volto, dove c’era il Patronato Sant’Antonio fondato da don Eugenio Bussa, il sacerdote e grande educatore che durante la guerra aveva contribuito a salvare la vita a tanti ebrei (tanto da ricevere il riconoscimento di un albero con il suo nome allo Yad Vashem).

Andavamo a fare la spesa negli stessi negozi, non c’erano i supermercati allora, drogheria, salumeria e panetteria erano allineate lungo la strada, andavo con mia madre a mangiare la panna montata cosparsa di cannella nella latteria in piazza Tito Minniti dove c’era anche l’edicola, andavamo a comprare quaderni e pennini nella stessa cartoleria.

Si andava al cinema tutti insieme, era l’epoca dei “filmoni” americani, quelli che duravano ore: ricordo una estenuante proiezione del Gigante con James Dean già entrato nel mito.

Ogni tanto la mia nonna mi portava in visita da una sua amica, durante il percorso mi ripeteva di comportarmi bene, di stare tranquilla (ero una bambina vivacissima), di non sporcare il vestitino elegante che la mamma mi aveva fatto indossare per l’occasione.

Ricordo vagamente un salotto in penombra, con un tavolo lucido lucido con un grande centrino di pizzo e l’odore e il sapore dei biscotti un po’ stantii che la gentile ospite ci offriva accompagnati, per quanto riguardava mia nonna, da un bicchierino di Vermut o di Marsala dove io, di nascosto, intingevo i miei biscotti per sentire il gusto, un po’ clandestino, del liquore, mi piaceva stare lì, in quell’atmosfera tranquilla, cullata dai sussurri dei pettegolezzi delle due anziane signore.

Ogni tanto mi viene voglia di tornare tra le vie del mio vecchio quartiere alla ricerca dei suoni e degli ambienti della mia infanzia, ma poi mi frena la paura di trovarlo completamente diverso come spesso succede quando ci si affida ai ricordi.

Historia magistra vitae.

Mala tempora currunt (…e ci risiamo col latino, oggi è una giornata così): ha fatto il giro della blogosfera la gaffe del manager che incitava a fare “come Napoleone a Wateloo”, e pensare che io mi arrabbio con i miei ragazzi se parlano, a proposito della prima guerra mondiale, del generale Cameron Diaz, ma si sa studiare la storia costa fatica e poi, diciamocelo, la storia non è “produttiva” non favorisce la “crescita”, non serve a rallentare il costo del barile di greggio o a vendere un prodotto.

Gli antichi la definivano “magistra vitae“, ma, appunto, erano antichi, non avevano a che fare col villaggio globale, con il mercato, con i paesi emergenti (al massimo avevano qualche scaramuccia coi Cartaginesi, coi Parti e con i Daci) e potevano permettersi il lusso di dedicare ad essa una vita di studi e di ricerche.

Oggi temo che siano in molti a considerare la storia (e la storiografia) una disciplina non strettamente necessaria, quasi un abbellimento culturale, qualcosa che si può conoscere superficialmente, tanto non ti cambia la vita, qualcosa che si può manipolare a proprio uso e consumo, magari si può citare qualche aneddoto raffazzonato qua e là, tanto per dare l’impressione di essere colti.

Ma la Storia resta lì, testimone muta del nostro passato, ci ammonisce, ci indica gli errori commessi e illumina il nostro futuro: per questo mi piace studiare la storia, per questo mi piace insegnarla.

milano Garibaldi

Quasi quasi.

Dpo una settimana di problemi ospedalieri e violenti sbalzi di clima che mi hanno messa k.o. mi guardo allo specchio e la mia autostima piomba sotto le suole: ho un colorito da far spavento, le occhiaie come se non dormissi da un mese e, in generale, l’aspetto di uno che è stato investito da un camion e non se n’è nemmeno accorto.

Come sempre, quando lo specchio delle mie brame rimanda un’immagine deprimente, mi autoconvinco che dovrei fare qualcosa per il mio aspetto, sono consapevole che è inutile tentare con creme e palliativi vari (pur continuando a ripetermi che l’importante è essere belli dentro), dovrei tentare una via risolutiva, ma piuttosto che dall’estetista forse sarebbe consigliabile andare direttamente a Lourdes (…e sperare nel miracolo).

Oppure.

Già, oppure, viste le ultime affermazioni di questo scorcio di campagna elettorale (salvo rettifiche e smentite) dovrei seriamente decidere un cambiamento radicale di orientamento politico.

Se veramente le donne del centro-destra sono più belle, quasi quasi….hai visto mai che funzioni.

creme e cremine

Rischio?

Nel week end è scoppiato l’ennesimo allarme, quello delle schede ingannevoli (o presunte tali), in realtà la grafica non sembra studiata per facilitare le operazioni di voto, ma, d’altra parte, è perfettamente coerente con le disposizioni legislative vigenti (come ha affermato il ministro Amato durante la conferenza stampa).

Certo, rispetto a due anni fa, la schede elettorali risultano decisamente meno chiare, ma allora la situazione politica era completamente diversa, c’erano solo due maxi-coalizioni, oltre a tre partiti isolati, e comunque era ugualmente possibile invadere lo spazio di un simbolo vicino, tracciando la croce in modo troppo deciso.

Così c’è chi paventa irregolarità, chi minaccia sfracelli, chi chiede di ristampare le schede (alla faccia dei tagli sulla spesa pubblica e degli elettori all’estero che hanno già espresso il loro voto).

A me piacerebbe invitare tutti a dare un po’ di fiducia all’intelligenza dei cittadini, che hanno alle spalle una lunga esperienza di elezioni con schede sempre diverse, qualche volta farraginose, che sono abituati a votare, nella stessa tornata elettorale, con metodi diversi a seconda dell’assemblea da eleggere e che, quando esprimono il loro parere, sono più attenti e preparati di quanti coloro che ci governano o intendono governarci non credano.

Un’idea interessante.

L’associazione MeglioMilano, che si propone di migliorare la qualità della vita in città, ha avviato un’iniziativa veramente interessante che potrebbe diventare un modello anche per altri centri sedi di atenei (ammesso e non concesso che anche altri non ci abbiano pensato).

In sintesi si tratta di un progetto denominato “Prendi in casa uno studente“, rivolto ad anziani autosufficienti e a studenti universitari fuori sede, che risponde a due esigenze fondamentali, da una parte gli anziani hanno l’opportunità di avere un po’ di compagnia e di sentirsi utili, dall’altra gli studenti trovano un’abitazione accogliente e a basso costo.

L’associazione si occupa di curare gli abbinamenti cercando di trovare affinità di caratteri, di interessi e di abitudini, mentre, da parte sua, la Provincia di Milano mette a disposizione dei contributi per aiutare i padroni di casa a realizzare migliorie nelle abitazioni.

L’iniziativa, avviata nell’anno accademico 2004/2005, ha avuto un discreto successo e si è ripetuta negli anni seguenti, mentre per il 2008 è in progetto un allargamento ai lavoratori universitari e al personale sanitario.

finestra riflessi

Infungibile!

Leggo su LaRepubblica:

“Purtroppo ancora non si è trovato un mio sostituto che possa tenere insieme tutti i moderati, i liberali, i cattolici, i laici e i riformisti che costituiscono il Popolo delle Libertà. Sono, in una parola, ancora infungibile“.

Non ho alcuna intenzione di commentare l’affermazione, lascio ad altri, se ne hanno voglia, il compito di confutarla o confermarla; ho semplicemente un attacco di orticaria ogni volta che leggo o ascolto questo aggettivo che, per l’amor di Dio, è semanticamente corretto, ma è di una bruttezza indicibile.

Sicuramente questa campagna elettorale ha, se non altro, il pregio di ampliare il bagaglio lessicale dei cittadini (il che è pur sempre un fatto positivo), ma forse insostituibile, non rimpiazzabile (che è  parimenti abbastanza bruttino) sarebbero stati più comprensibili.

Io ho un sogno.

Quarant’anni fa, il 4 Aprile 1968, moriva Martin Luther King, il leader del movimento non-violento per i diritti civili, assassinato nel Tennessee mentre si preparava a mettersi alla testa dell’ennesima marcia di protesta.

Ricordo la notizia, ascoltata alla radio, che un tempo a casa mia era sempre accesa, così come, pochi mesi dopo, avrei udito quella della morte di Robert Kennedy: un’altra morte violenta di quelli che, nell’immaginario un po’ ingenuo e idealista della mia adolescenza, erano gli eroi positivi, i modelli da imitare (come il presidente Kennedy ucciso a Dallas solo cinque anni prima).

Non ho invece ricordi diretti della marcia del 1963 e del celeberrimo discorso “I have a dream”, ero troppo piccola e l’informazione televisiva non aveva ancora reso il pianeta un villaggio globale, le immagini che ho nella mia mente sono documentari e film che, negli anni seguenti, si sono susseguiti con insistenza fino a creare una memoria dell’evento: ma ho letto e condiviso le parole di King e anche grazie a quel discorso sono come sono e penso come penso.

Ogni tanto ho la netta sensazione che siamo come nani sulle spalle di giganti, forse non abbiamo la statura morale e la forza interiore che li animava, ma, grazie a loro, possiamo guardare lontano.

Stare bene fa bene.

La tempesta, che ha sconvolto le mie giornate negli ultimi due mesi, si sta lentamente allontanando, come un temporale estivo, il cielo non è ancora limpido, ma tra le nuvole, si fa strada un raggio di sole, che sembra più caldo e più luminoso del solito, e compare l’arcobaleno.

Mio marito è ritornato dall’ospedale dove è stato sottoposto ad un delicato intervento per eliminare i tumori che erano ricomparsi proditoriamente, dopo quattro anni dalla devastante operazione precedente, nel cervelletto, con una metodica mini-invasiva abbastanza avveniristica la Gamma Knife.

La dottoressa che ci ha accompagnati in questa avventura l’ha definita un successo, noi siamo ancora un po’ increduli e con le ossa peste, come quando si passano giornate di attesa e di tensione, ma, piano piano, cominciamo a renderci conto che il peggio è passato.

Poi ci saranno di nuovo controlli e attese, ma questo è naturale in presenza di patologie simili, per ora ci sentiamo bene e l’unico segno evidente dell’intervento sono due piccoli graffi sulla fronte di mio marito e il mio sonno arretrato.

Alzo gli occhi, guardo il cielo, il sole sta tornando a risplendere e la vita ha nuovi colori e nuovi sapori.

Premana Croce

Miraggi.

In via Dante sono allineati bidoni di petrolio schiacciati dipinti di nero sui quali sono scritte le terzine dell’Inferno dantesco, un’opera di Diango Hernandez che fa parte di Miraggi: un percorso d’arte nel centro di Milano, organizzato nell’ambito del Miart 2008, che vede sculture e istallazioni, realizzate da grandi maestri italiani e stranieri, collocate nelle piazze e nelle vie più prestigiose.

Francamente faccio un po’ fatica a capire il “messaggio”dell’artista, ma mi piace l’idea che una poesia così alta sia messa lì, alla portata di tutti, dove tutti, incuriositi dalla collocazione inusuale, possono vedere, leggere e gustare le parole del Poeta (un po’ come succede con le letture dantesche di Roberto Benigni).

C’è sempre un sacco di gente in via Dante, qualcuno frettoloso non nota nemmeno i cerchi scuri, qualcuno si sofferma distrattamente, qualche genitore legge i versi ai figlioletti, che insistono a saltellare da una terzina all’altra, un gruppo di giovani, in evidente età da scuola superiore, si ferma, osserva attentamente, discute, poi uno di essi, un po’ più “colto” commenta”Sono solo aforismi”.

Aforismi? Ma roba da matti, possibile che espressioni come “Caron dimonio con gli occhi di bragia” non evochino neanche una sbiadita reminiscenza scolastica, possibile che la lettura di Dante sia scivolata via senza lasciare neppure un’eco remota?

Possibile, evidentemente.

Eppure qualcuno deve aver apprezzato la scultura infatti il primo bidone, quello con la prima terzina, la più famosa di tutte, è sparito.

divina commedia