Archivio mensile:Marzo 2008

Primo giorno di primavera.

Il primo giorno di primavera sulle mie montagne è nuvoloso e freddino, con una spruzzata di neve in serata, più che Pasqua sembra Natale, solo che mancano le luminarie e la neve ricopre i fiori che, copiosi e coloratissimi, punteggiano di mille colori i prati.

Camminando lungo il sentiero si incontrano fazzoletti di verde ricoperti di crochi bianchi e viola, più in là eleganti campanellini, oltre una balza erbosa è la volta egli anemoni e poi gli ellebori ormai sfioriti e, dappertutto, macchie di primule splendenti.

Le specie si raggruppano e mutano a seconda dell’esposizione al sole, della qualità del terreno, delle correnti d’aria che scendono dalle cime o salgono tiepide dalla valle, ma dovunque sono fiori a perdita d’occhio.

Il bosco è pieno di fruscii, di cinguettii armoniosi, ogni tanto in lontananza risuona l’insistente rumore del picchio e il canto continuo dei torrenti gonfiati dal disgelo.

Dappertutto c’è un profumo di risveglio che mette allegria anche se la porta dell’inverno non è ancora chiusa del tutto e, di tanto in tanto, il freddo cerca di farsi sentire.

campanellino

Per cortesia, ascoltatela.

Mi deprime in modo incredibile la pubblicità di un celebre prosciutto nella quale una cliente, dopo essersi disciplinatamente munita dell’apposito numeretto, chiede semplicemente “due etti di prosciutto crudo” tralasciando di citare la marca e viene bellamente ignorata dall’ineffabile salumiere che continua a servire altre clienti le quali, evidentemente, sono al corrente della “parola d’ordine”.

Per quanto la cliente si sbracci, canticchi, saltelli, si produca in ogni possibile acrobazia per attirare l’attenzione del commesso non riesce ad ottenere lo scopo che si è prefissa, portarsi a casa due etti di prosciutto crudo e basta e se ne resta lì attonita, con l’autostima crollata sotto la suola delle scarpe, nella vana speranza che qualcuno l’ascolti.

Ogni tanto mi chiedo come reagirei io nella stessa situazione, sicuramente mi arrabbierei non poco, me ne andrei sbattendo la porta e, probabilmente, non tornerei più in quel negozio.

Vacanza!

Il suono dell’ultima campanella del pomeriggio segna l’inizio ufficiale delle vacanze pasquali, i ragazzi scendono le scale a velocità doppia del solito, sono contenti, è il caso di dirlo, come pasque.

Io mi trascino in aula professori, chiudo il registro e i libri nel cassetto, sempre inesorabilmente strapieno, e mi lascio alle spalle le ultime frenetiche settimane di lavoro.

Ho già preparato le verifiche e le fotocopie per la prossima settimana, ho corretto tutto quello che dovevo correggere, mi lascio alle spalle i rappresentanti delle case editrici che, ormai da qualche settimana, stazionano nell’edificio, piazzati nei punti strategici, in agguato, di solito li schivo con gentilezza, ripeto sino alla noia che, essendo in prima, non ho alcuna intenzione ci cambiare i testi anche perché, scandalo inaudito, da quest’anno, nelle prime, non abbiamo proprio fatto acquistare l’antologia e, per il prossimo ciclo, accarezziamo sempre più concretamente l’idea di non acquistare nemmeno il testo di grammatica, e addirittura di sostituire i libri con qualcosa di più leggero, più tecnologico e magari meno pesante e cartaceo.

Il costo dei libri di testo è veramente un grosso problema per le famiglie, il peso della cultura è un subdolo attentato alle spine dorsali in formazione, da qui il proliferare dei carrellini, quindi penso che sia indispensabile studiare delle soluzioni alternative.

Ma per ora sono in vacanza e come diceva saggiamente Rossella O’Hara “non voglio pensarci oggi, ci penserò domani, domani è un altro giorno” ora voglio solo pensare a riposarmi un po’ tra le mie montagne.

sodadura

Visto che il sistema funziona….

Qualche tempo fa ho scritto due post per raccontare di un’esperienza che mi sembrava interessante: Kiva, ovvero il microprestito d’onore online.

In sostanza si tratta di un’associazione che mette in contatto persone che hanno bisogno di una mano per avviare una piccola impresa, per acquistare merci, per ristrutturare un negozio e altre persone che, con una cifra di modeste dimensioni (solitamente $ 25) contribuiscono al finanziamento.

Poco prima del Natale 2006 avevo aderito all’iniziativa contribuendo a finanziare una simpatica signora bulgara che voleva risistemare il suo piccolo negozio, in seguito, qualche mese fa, ho avuto l’opportunità di finanziare una signora nepalese: si è trattato, in entrambi i casi, di un piccolo impegno che però, unito alla partecipazione di tante altre persone, ha contribuito ad erogare i prestiti.

Oggi il primo prestito è stato completamente restituito e mi è stato chiesto se intendevo reinvestire la cifra in un nuovo finanziamento, logicamente, visto che il sistema funziona, ho aderito di nuovo, anche in questo caso contribuendo a finanziare una donna (da questo punto di vista sono decisamente di parte).

Mi piace diffondere questa idea perché, come ho avuto già modo di dire, i prestiti d’onore aiutano concretamente salvaguardando la dignità delle persone, poiché chi li riceve può avviare un’impresa che permetterà di provvedere a se stessi e alla propria famiglia e si impegna nella restituzione del denaro che, nella maggior parte dei casi, servirà ad aiutare altri.


Kiva - loans that change lives

Distrazione.

Circola una notizia che ha il sapore di una leggenda metropolitana: il reporter informatico Steven Levy, che attualmente scrive le recensioni dei prodotti tecnologici di ultima generazione per Newsweek, si sarebbe “perso” il sottilissimo MacBook Air (l’ultimo gioiellino della Apple recentemente presentato da Steve Jobs) che doveva testare per il giornale, probabilmente il prezioso notebook, come racconta il giornalista nel suo blog, confuso fra quotidiani e riviste a causa del peso limitato e delle dimensioni esigue, è andato ignominiosamente a finire in pattumiera.

Sembra che ci sia tutta una serie di aggeggi come iPod e chiavette usb ormai così minuscoli e leggeri da rischiare di fare la stessa fine del già leggendario, e costoso, MacBook, cioè di sparire, infilarsi nelle fessure, dimenticati per sempre in qualche tasca esterna di uno zaino o, più prosaicamente, finire nel bidoncino della “frazione secca” (a casa mia tutta l’immondizia viene rigorosamente e disciplinatamente divisa).

Personalmente non posso permettermi il lusso di acquistare qualcosa di così impalpabile, visto e considerato che riesco a smarrire, almeno una volta al giorno, il mio cellulare che ha le dimensioni e il peso di un piccolo citofono.

La distrazione può essere un difetto molto costoso.

Olimpiadi.

Per gli antichi greci le Olimpiadi non erano solo gare sportive, ma un evento religioso e, anche per questa ragione, si dovevano svolgere in un clima di tregua, durante i giochi dovevano cessare tutte le inimicizie pubbliche e private e nessuno poteva essere perseguitato o molestato in nessun modo.

Anche le Olimpiadi moderne sono nate sotto il segno della pace e della comprensione fra i popoli, chiamati a misurarsi lealmente sul campo dello sport, ma la storia ci ha insegnato che spesso sono diventate occasione di violenza, come a Monaco nel ’72, vetrine in cui mostrare i muscoli al mondo, come a Berlino nel ’36, manifestazioni inquinate dal professionismo, dalle sfrenate sponsorizzazioni, dal doping, dall’ideologia: tutto sommato qualcosa di lontanissimo da ciò che il buon De Coubertin aveva in mente.

Oggi, a pochi mesi dall’apertura dei giochi olimpici di Pechino, mentre gli Stati Uniti depennano la Repubblica Popolare Cinese dalla lista nera dei paesi che violano i diritti civili, si accende la protesta dei monaci tibetani (i quali, logicamente, approfittano dei riflettori puntati sui giochi per far udire la loro voce) e di conseguenza si scatena la repressione che, purtroppo, ha una scarsissima visibilità.

Prima che l’entusiasmo sportivo si scateni e passi come una spugna su tutto quanto spero che almeno i paesi dell’Unione Europea si esprimano chiaramente nei confronti dell’occupazione del Tibet, perchè il silenzio, la reticenza possono assumere i connotati della connivenza se invece, come temo, parteciperemo allineati e coperti all’Olimpiade di Pechino io, da parte mia, attuerò un mio personalissimo boicottaggio: non guarderò nemmeno una gara.

Per ulteriori informazioni: “Amnesty International” e “Asianews

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via Manteblog

Il mio primo comizio.

Non ci posso credere: nella mia vita ho partecipato a centinaia di assemblee generali ai tempi del Liceo e dell’Università, a manifestazioni contro e a favore di un sacco di cose, a marce per la pace, a girotondi, ma non ero mai stata a un comizio (“comizio” mi sembra una parola “vecchia”, ma non so quale sinonimo possa rendere l’idea).

E così, visto che Veltroni ha deciso di visitare tutti i capoluoghi di provincia, anche quello fresco fresco vicino a casa mia, cioè Monza, ho deciso che era il caso di partecipare.

Sabato 15 marzo, ore 14, lo spazio antistante la splendida Villa Reale si va lentamente riempiendo di gente armata di bandiere e di cartelli verdi con la scritta “Si può fare” a caratteri cubitali, l’impianto stereo diffonde brani come “I feel good” e “Respect” che, almeno a quelli della mia generazione, mettono voglia di muovere i piedi.

Ci sono un sacco di ragazzi e ragazze, alla faccia della generazione disimpegnata votata all’antipolitica, ci sono anziani, ci sono signore di mezza età in tailleur e giro di perle, ci sono quelli che sono venuti in bicicletta, risolvendo così il problema del parcheggio.

Alle 14.30, mentre il cielo non sa decidersi tra la pioggia e una timida schiarita, parte la canzone di Jovanotti “Mi fido di te” e arriva Veltroni che si fa strada verso il palco stringendo mani e ricambiando saluti e sorrisi.

Comincia il comizio, il discorso è chiaro, i concetti sono chiari, l’oratore parte dalla bellezza della location per esaltare la ricchezza del patrimonio artistico e paesaggistico italiano che può e deve diventare un punto di forza del rilancio della economia nazionale poi descrive il modello di paese che si vuole costruire: un paese che dia le opportunità per realizzare i propri sogni, ma non abbandoni chi è in difficoltà, un paese nel quale nessuno “resti solo”, un paese di cittadini responsabili e solidali.

Non è un discorso “contro”, ma è un discorso “per”, nel quale non si parla degli avversari politici, se non “pacatamente” (come direbbe Crozza), nel quale si richiamano grandi modelli ispiratori, uomini che hanno lavorato per il cambiamento e che hanno pagato con la vita il loro impegno: Martin Luther King, Robert Kennedy, Olof Palme e Iitzhak Rabin, poi, sulle note dell’Inno di Mameli, cantato in coro, la riunione si conclude.

Veltroni esce pressato da una folla entusiasta, la gente, piano piano, riavvolge le bandiere e si avvia verso i cancelli, anch’io mi allontano, con un’impressione strana dentro, una nuova voglia di fare, un desiderio di impegno: l’impressione che anche il nostro paese ce la può fare.

Yes we can.

monza 15 marzo

Stupore.

Sembra incredibile, lo so benissimo, ma alla mia non tenera età mi stupisco spesso di aver conservato la capacità di stupirmi come quando ero bambina: mi incanto davanti ad un cielo stellato, come davanti ad una nevicata, mi emoziono davanti ad un panorama o davanti ad un piccolo fiore primaverile.

Quando mi sveglio e guardo dalla finestra, mi concedo qualche minuto per assaporare la gioia di una nuova giornata, spingo lo sguardo fino all’orizzonte, mi riempio gli occhi di luce e sono ponta a ripartire.

Per quanto possa essere difficile e duro affrontare i piccoli grandi problemi quotidiani mi basta un fiore, mi basta immergermi nella sua incredibile armonia, nella sua eleganza, nella perfezione delle forme e dei colori per trovare gioia e ricaricare le batterie: quando ho la possibilità di interiorizzare tanta bellezza mi sento pi viva e più forte.

La natura che mi circonda è veramente meravigliosa.

fioree rosa

Profumo di caffè.

Una delle città che amo è Vienna, mi piace perchè ha un’atmosfera da gran dama decaduta, capitale di un impero del quale conserva ancora, negli alberghi e nei ristoranti, un’acuta nostalgia simboleggiata dai ritratti dell’imperatore Francesco Giuseppe e dell’amatissima Sissi appesi in bella vista alle pareti.

Amo i parchi di Vienna dove succede di starsene seduti su una panchina, immersi nel verde, circondati dalla musica vivace, ma struggente di un valzer di Strauss.

Amo aggirarmi lungo la lunga teoria di stanze della Hofburg o di Schonbrunn con l’impressione di respirare il profumo della storia, fissato eternamente negli echi che si inseguono lungo gli eleganti corridoi.

Ma ciò che amo di più è sedermi in un caffè elegante del centro, luccicante di stoviglie raffinate, gettare un’occhiata ad un giornale, debitamente infilato su un lungo bastone, ancorato con una sottile catenella, sorseggiare un caffè caldo e profumato, così diverso dal nostro espresso, assaggiando una fetta di torta dai colori fantasiosi e dalle barocche volute di panna montata o fragrante di cioccolato scuro sotto lo sguardo indulgente e discreto di una silenziosa kellerine vestita di nero, con il grembiule immacolato.