Archivi giornalieri: 27 Gennaio 2008

Auschwitz e la memoria.

Non amo molto gli anniversari, “il giorno di…”, un po’ come se, per una giornata ci mettessimo la coscienza a posto ricordando un’ingiustizia, rivendicando un diritto e così, per il resto dell’anno, si tira dritto senza guardare in faccia a nessuno.

Mi piacerebbe veramente che certi avvenimenti venissero ricordati ogni giorno, ma forse non è possibile, allora va bene che ci sia una giornata particolare, come questo “giorno della memoria“, in cui soffermarsi a riflettere.

Meditate che questo è stato” ammoniva dolorosamente Primo Levi, ma per meditare è necessario ricordare e per ricordare è indispensabile conoscere.

Ho visitato Auschwitz due volte, la prima avevo vent’anni e avevo promesso a me stessa che non sarei mai più tornata, la seconda aveva vent’anni mio figlio e ricordo che, benchè ormai trascorresse le vacanze con gli amici da diverso tempo, mi aveva chiesto di andare in Polonia insieme.

Ad Auschwitz si tocca con mano l’orrore e la scientificità dello sterminio, si comprende come nulla fosse improvvisato, ma tutto diabolicamente pianificato: l’atmosfera è grigia, le poche baracche riattate sono desolanti, il binario che attraversa la torre e non va da nessuna parte è angosciante, come angoscianti sono i resti dei camini e la terra irrimediabilmente grigia di cenere.

E poi, nel museo, si percorre l’interminabile teoria delle vetrine con i cumuli di valigie, di scarpe, di vestiti, di occhiali, di arti artificiali, di capelli per fare coperte, di barattoli vuoti di zyklon-b , accuratamente impilati e registrati fino a quando si giunge alla saletta dove c’è una piccola bacheca con il contenuto di una valigia.

Quando arrivo lì, davanti alla banalità dell’orrore, vengo colta da un improvviso smarrimento e comincio a piangere senza ritegno, davanti a me sono allineati, in bell’ordine, gli oggetti che solitamente, quando parto per un viaggio, anch’io metto in valigia: lo spazzolino da denti, il sapone, il pettine, il necessario per pulire velocemente indumenti e scarpe, una penna, un taccuino su cui scrivere pochi appunti, oggetti assolutamente normali che ci dicono che il proprietario pensava di partire per un viaggio, magari difficile, ma non senza ritorno.

Quei pochi semplici oggetti rappresentano per me il simbolo dello sterminio di uomini, donne e bambini colpevoli solo, come ama ripetere Liliana Segre, “di essere nati“.

auschwitz