Archivio mensile:Gennaio 2008

M’illumino di meno 2008

Anche quest’anno ho deciso di aderire all’iniziativa di Caterpillar , giunta ormai alla quarta edizione, volta a promuovere il risparmio energetico.

Il prossimo 15 febbraio, il giorno precedente l’anniversario dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, a partire dalle 18 siamo tutti invitati a spegnere le luci e tutti i dispositivi elettrici non indispensabili per cercare di risparmiare un po’ di energia e di risorse.

Evidentemente questo è un gesto simbolico, ma penso che ogni giorno dovremmo impegnarci in comportamenti virtuosi volti alla salvaguardia dell’ambiente e alla limitazione degli sprechi delle fonti non rinnovabili.

Da parte mia mi sto già muovendo in questo senso, almeno in casa mia, lampadine a basso consumo e elettrodomestici nuovi hanno, a poco a poco, sostituito quelli vecchi ed obsoleti, almeno dal punto di vista del consumo.

Inoltre, nella casa in montagna, abbiamo deciso un piano di interventi, distribuiti su diversi anni, finalizzati a rendere l’intero condominio un po’ più virtuoso sia per quanto riguarda gli sprechi di risorse, sia per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico (ci sembrava un controsenso avere la casa in mezzo ai boschi ed ammorbare l’aria con gas maleodoranti ed inquinanti).

Per ora abbiamo isolato i solai, abbiamo istallato, sui termosifoni, le termovalvole con i misuratori di calore (in modo da riscaldare gli ambienti alle temperature giuste e solo quando l’appartamento è abitato) e abbiamo istallato bruciatore e caldaia a metano, a basso tenore di emissioni e ad alto rendimento.

Nei prossimi anni pensiamo di sostituire tutti i serramenti (istallando i doppi vetri) e di incamiciare l’intero fabbricato con un “cappotto” isolante in modo da limitare la dispersione di calore, da ultimo vorremmo posizionare sui tetti dei pannelli solari per produrre acqua calda.

Sicuramente si tratta di interventi costosi che, a lungo termine, porteranno ad un concreto risparmio di risorse (già nel primo anno abbiamo osservato un crollo verticale dei consumi rispetto agli anni precedenti) e a un miglioramento della qualità dell’aria.

pascolo

L’importanza del bicchiere mezzo pieno.

E’ importante essere ottimisti, imparare a vedere il famoso bicchiere mezzo pieno, se non altro si vive meglio, di conseguenza è consigliabile imparare a cogliere ciò che di bello ci succede (o ciò che di brutto non ci succede).

Ogni tanto ci sfiora una buona notizia per esempio come quella dell’asteroide che ha sfiorato il nostro pianeta (tranquilli, per un asteroide che ci manca ce n’è almeno una dozzina che ci tiene al centro del mirino, ma non oggi, per ora la fine del mondo è rimandata).

Allora brindiamo pure, basta fare attenzione a non svuotare il famoso bicchiere.

E che dire della crisi di governo e dell’incertezza del futuro?

Voteremo subito? Voteremo fra un anno? Governo tecnico? Governo delle riforme? Governo no? Sondaggi fantasiosi, proposte e passi indietro, cambiamenti di parere e di umore a tempo di record, partiti nati e defunti nello spazio di un battito di ciglia.

In questo quadro politico incerto, che qualcuno si ostina a descrivere a tinte fosche, ho letto un post che mi ha sollevato lo spirito e mi ha permesso di vedere il famoso bicchiere ancora pienotto: lo ripropongo perchè mi sembra geniale.

Dialogo nel buio.

E’ difficile comprendere cosa provi una persona che vive nel buio, da quando mia madre, due anni fa, è diventata cieca spesso la scruto per cercare di capire quale sia la sua percezione della realtà, ma è veramente arduo riuscire a condividere la sua esperienza.

Qualche anno fa era stata allestita a Milano, nello spazio espositivo di Palazzo Reale, una mostra intitolata “Dialogo nel buio” che permetteva di svolgere un percorso in una serie di ambienti, completamente al buio, con il solo ausilio di un bastone e la guida di un accompagnatore non vedente.

L’avevo visitata con un po’ di riluttanza, ben conoscendo la mia inclinazione alla claustrofobia, infatti, in non poche occasioni, mi ero sentita a disagio sia per la percezione distorta delle distanze, sia per la forzata limitazione dei movimenti: mi muovevo a tentoni con grandi difficoltà, incerta e insicura e cercavo di seguire la voce dell’accompagnatore che mi sembrava (ed in realtà era) l’unico punto di riferimento a cui aggrapparmi, visto che non riuscivo a fidarmi delle mie capacità di riconoscere oggetti ed ostacoli con il tatto.

Cercando informazioni in rete sulle opportunità per i non vedenti ho scoperto che l’ Istituto dei ciechi di Milano ha allestito una mostra analoga (che credo sia permanente): a quanto ho capito si può visitarla individualmente ed accompagnare le scolaresche.

Forse la mia situazione familiare mi rende particolarmente sensibile a queste tematiche, ma credo che sia una esperienza interessante per tutti.

Cinquant’anni di Lego.

Cinquant’anni fa, in una fabbrica danese di Billund, venivano alla luce i primi mattoncini destinati ad avere un incredibile successo in tutto il mondo, tanto da essere considerati il giocattolo del secolo.

Ricordo le prime confezioni entrate in casa mia come regalo natalizio per mio fratello, che si era sempre rifiutato categoricamente di avvitare le sbarrette di Meccano (per una strana ingiustizia in casa mia le “costruzioni” di legno, di metallo o di plastica erano considerate un gioco da maschi), ricordo delle scatole minuscole con pochi pezzetti bianchi, rossi o blu semplicissimi, senza tanti orpelli che richiedevano incredibili sforzi di fantasia per creare qualcosa che assomigliasse anche solo vagamente alla realtà.

Non c’erano ancora omini agghindati da vigile del fuoco o da cavaliere medievale, motori, ruote dentate, mattoncini multicolori, tetti spioventi, pneumatici di ogni misura: c’erano solo mattoncini “da uno”, “da due”, “da quattro” o “da sei” con i quali inventarsi incredibili combinazioni.

Mio fratello costruiva funivie, tirando gugliate di lana attraverso tutto l’appartamento, poi appendeva le pesantissime precarie cabine ai fili che regolarmente si spezzavano provocando l’immediata distruzione del manufatto con conseguente diaspora dei mattoncini sotto tutti i mobili.

Oppure creava incredibili aerei, di dimensioni mostruose, che regolarmente si aprivano in due, vittime di inevitabili cedimenti strutturali, lasciandolo in preda a un profondo scoramento.

A poco a poco la sua collezione divenne imponente, poi, quando mio fratello crebbe, i mattoncini finirono chiusi in alcuni fustini di detersivo nel ripostiglio e lì rimasero fino a quando mio figlio non raggiunse l’età della ragione (quella in cui si capisce che il Lego non va inghiottito, ma assemblato) e allora furono riesumati e divennero la base su cui costruire un impero.

Ricordo camerette invase da mattoncini colorati (che si infilavano dappertutto) e il caratteristico rumore dei pezzetti di plastica sparpagliati sul pavimento nella spesso vana ricerca del tassello mancante.

In fondo è anche grazie al Lego che i ragazzi di casa sono diventati degli adulti pazienti e fantasiosi.

Auschwitz e la memoria.

Non amo molto gli anniversari, “il giorno di…”, un po’ come se, per una giornata ci mettessimo la coscienza a posto ricordando un’ingiustizia, rivendicando un diritto e così, per il resto dell’anno, si tira dritto senza guardare in faccia a nessuno.

Mi piacerebbe veramente che certi avvenimenti venissero ricordati ogni giorno, ma forse non è possibile, allora va bene che ci sia una giornata particolare, come questo “giorno della memoria“, in cui soffermarsi a riflettere.

Meditate che questo è stato” ammoniva dolorosamente Primo Levi, ma per meditare è necessario ricordare e per ricordare è indispensabile conoscere.

Ho visitato Auschwitz due volte, la prima avevo vent’anni e avevo promesso a me stessa che non sarei mai più tornata, la seconda aveva vent’anni mio figlio e ricordo che, benchè ormai trascorresse le vacanze con gli amici da diverso tempo, mi aveva chiesto di andare in Polonia insieme.

Ad Auschwitz si tocca con mano l’orrore e la scientificità dello sterminio, si comprende come nulla fosse improvvisato, ma tutto diabolicamente pianificato: l’atmosfera è grigia, le poche baracche riattate sono desolanti, il binario che attraversa la torre e non va da nessuna parte è angosciante, come angoscianti sono i resti dei camini e la terra irrimediabilmente grigia di cenere.

E poi, nel museo, si percorre l’interminabile teoria delle vetrine con i cumuli di valigie, di scarpe, di vestiti, di occhiali, di arti artificiali, di capelli per fare coperte, di barattoli vuoti di zyklon-b , accuratamente impilati e registrati fino a quando si giunge alla saletta dove c’è una piccola bacheca con il contenuto di una valigia.

Quando arrivo lì, davanti alla banalità dell’orrore, vengo colta da un improvviso smarrimento e comincio a piangere senza ritegno, davanti a me sono allineati, in bell’ordine, gli oggetti che solitamente, quando parto per un viaggio, anch’io metto in valigia: lo spazzolino da denti, il sapone, il pettine, il necessario per pulire velocemente indumenti e scarpe, una penna, un taccuino su cui scrivere pochi appunti, oggetti assolutamente normali che ci dicono che il proprietario pensava di partire per un viaggio, magari difficile, ma non senza ritorno.

Quei pochi semplici oggetti rappresentano per me il simbolo dello sterminio di uomini, donne e bambini colpevoli solo, come ama ripetere Liliana Segre, “di essere nati“.

auschwitz

Il rispetto delle istituzioni.

Mi chiedo cosa abbiano pensato i miei allievi, ai quali mi sforzo sempre di insegnare il rispetto delle istituzioni, alla vista delle invereconde immagini, trasmesse da tutti i telegiornali, del Senato della Repubblica.

Spero solo che, al ritorno dalla giornata sulla neve, fossero troppo stanchi ed eccitati per aver voglia di guardare la televisione: in caso contrario sarebbe molto difficile spiegare loro che in Parlamento siedono uomini e donne che abbiamo votato perché governino con giustizia e saggezza il nostro paese.

Forse sono un’inguaribile illusa, ma credo veramente che coloro che ci rappresentano dovrebbero essere migliori di noi e dovrebbero seriamente servire la nazione.

parlamento

La scuola torna in montagna.

Poco meno di un anno fa ho scritto un post sull’esperienza della “Scuola in Montagna” in quel di Lizzola, in alta Val Seriana: ne riparlo perchè in questi giorni nella mia scuola viene riproposta, per l’ennesima volta, l’esperienza.

Una decina di anni fa le classi soggiornavano per tre giorni tra le montagne, alternando attività di scuola di sci, sci libero, orienteering, passeggiate con le ciaspole, osservazione dell’ambiente, osservazioni astronomiche secondo un programma ben strutturato che lasciava ai ragazzi praticamente solo il tempo di mangiare, farsi una doccia e andare a dormire.

Si trattava di un’esperienza forte, un po’ diversa dalle tradizionali gite di più giorni, che solitamente hanno come meta le città d’arte, che è stata abbandonata per i più svariati motivi: qualche insegnante la considerava una gita poco “culturale” nella quale si prediligeva l’attività “fisica”, qualcuno si era stancato di tornare ogni anno nello stesso posto (anche gli insegnanti si annoiano), qualcuno non amava particolarmente la montagna.

Per questi motivi da alcuni anni si è optato per una diversa organizzazione: come ho scritto un anno fa si parte verso le undici e si scia nel pomeriggio, poi, in serata, si torna alla base.

Così come è strutturata l’attività è ancora molto coinvolgente e interessante per i ragazzi, ma presenta alcuni indiscutibili svantaggi: innanzitutto ci si deve sobbarcare una trasferta non brevissima ripetuta per tre giorni, si perde molto tempo per noleggiare i materiali (che ogni giorno vengono utilizzati da ragazzi differenti e quindi adattati ogni volta), si scia nel pomeriggio quando, soprattutto in questa stagione, le piste entrano nella zona d’ombra e quindi diventano decisamente freddine.

Mi piacerebbe che si tornasse alle modalità antiche, anche perché la permanenza in un luogo tranquillo, dove non c’è traffico e i pericoli sono molto limitati è decisamente rilassante, almeno dal punto di vista degli insegnanti accompagnatori, ma non sempre si può avere tutto e allora…accontentiamoci (almeno per ora).

campo scuola

Make my Day Award.

Ringrazio calorosamente Gallinavecchia e Raffa che hanno nominato questo mio spazio per il “Make my Day Award”: inutile dire che mi ha fatto piacere.

Mi fa piacere che qualcuno, passando di qui, si trovi bene, trovi qualche attimo di serenità e magari di riflessione: ho cercato di arredare l’ambiente in modo che sia accogliente e tranquillo e permetta, a chi passa di qui, di sentirsi a casa (un po’ come ho fatto con le case un po’ meno virtuali dove passo la mia vita quotidiana e le mie vacanze).

Per quanto riguarda le nomination faccio riferimento al mio blogroll dove ho elencato solo i blog che leggo con piacere e dove mi trovo bene (…e ne mancano parecchi…dovreste vedere il mio aggregatore!).

Intanto approfitto per ringraziare Gianluca che, simpaticamente, mi ha dato una mano.

C’è una poesia…

C’è una poesia che ho studiato quando ero in terza media (praticamente una vita fa) e che ha influenzato il mio modo di essere e di pensare, si tratta di una lirica di un poeta cinese, uno dei più grandi, vissuto nell’VIII secolo durante la dinastia Tang: Li Po.

Non riesco a immaginare dove la mia insegnante di allora, che non brillava certo per l’originalità delle scelte, dopo tanti brani poetici di Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci e Pascoli avesse scovato questo testo, sicuramente non era nella nostra antologia, tanto che dovette dettarcelo.

La lirica mi ha sempre affascinato perchè descrive un personaggio sereno e libero, lontano da “discorsi e discordie”, completamente estraneo ai giochi di potere che ha il privilegio di vivere a contatto con la natura, tra montagne incantate, rigenerato dalla purezza dell’acqua di fonte, accarezzato da un vento profumato di resina.

Nell’invidia del poeta ho sempre letto il rimpianto per la vita semplice, il desiderio cocente del cambiamento insieme alla paura del cambiamento e spesso mi sono identificata nei suoi sentimenti.

    A Tan Chiu

    L’amico mio dimora
    In alto sui monti dell’Est;
    Gli è cara la bellezza
    Delle valli e dei monti.
    Nella stagione verde
    Giace nei boschi vuoti;
    E dorme ancora quando
    Il sole alto risplende.
    Un vento di pineta
    Gl’impolvera maniche e manto;
    Un ruscello ghiaioso
    Gli terge il cuore e l’udito.
    T’invidio! Tu che lontano
    Da discorsi e discordie
    Hai la testa appoggiata
    A un guanciale di nuvole azzurre.

 

Quanta tranquillità in quel “guanciale di nuvole azzurre” su cui posare il capo.

trasparenze