Archivio mensile:Novembre 2007

Lo sportello del frigorifero.

Non so a casa vostra, ma da noi, se dobbiamo mettere in evidenza qualcosa, ci serviamo dello sportello del frigo.

Di solito è possibile imbattersi in liste della spesa, promemoria, fotografie, cartoline, un tempo persino nei disegni che il cucciolo di casa portava tutto fiero dalla scuola materna, il tutto ancorato con coloratissime figure magnetiche che ogni tanto, non reggendo il peso dei fogli sparsi, crollano miseramente sul pavimento.

Ecco, riprendendo il discorso di Outer, il mio tumblelog è un po’ come lo sportello del frigo (e guarda caso l’ho chiamato proprio “sul Frigo“), non è un blog, ma uno spazio dove appiccico i miei appunti, i miei promemoria, le notizie che, magari, non mi servono subito, ma vorrei poter ripescare in breve tempo, i link dei siti che mi potrebbero essere utili, le fotografie che mi piace avere a portata di mano.

Non ho neanche bisogno di calamite colorate, mi basta pigiare il tasto “share on Tumblr” e il mio appunto è già lì, incollato.

Come capita anche nella mia cucina, gli amici possono passare e dare un’occhiata, non ci sono segreti.

tumb

Più tardi lo leggerò con calma.

Raccolgo la segnalazione di xlthlx che richiama l’attenzione su un articolo apparso su “LaRepubblica” nel quale Gabriele Romagnoli esprime opinioni, a mio parere, degne di discussione.
“Nella solitudine odierna si compilano blog. L’esibizionismo spinge a metterli in rete, a disposizione di chiunque.”

Mi sono riscoperta sola ed esibizionista: a questo punto sento l’esigenza di una pausa di riflessione, quando la mia solitudine mi lascerà un po’ di tempo libero leggerò l’articolo con calma poi, se è il caso, ne riparleremo.

Domenica, maledetta domenica.

Siamo qui a parlare di nuovo di una domenica di sangue.

I commentatori sportivi, dalle varie emittenti televisive, continuano a ripetere, come un’eco infinita, la notizia della morte di un giovane tifoso e i disordini che ne sono scaturiti.

Non mi è chiara la dinamica dei fatti, non ho capito se ci sono colpe o responsabilità e da che parte stanno, ma la sostanza è che un ragazzo è morto e forse è il caso, come è capitato quando è stato ucciso il poliziotto Filippo Raciti, di sospendere le partite e fermarsi a riflettere.

Continua sembrarmi un fatto assurdo che intorno a quello che, in fin dei conti, è solo uno sport, ruoti tanta violenza.

Aggiornamento.

Shopping creativo.

Il sabato è giorno di mercato e, quando non passo il week end in montagna, visto che non lavoro, dedico qualche ora della mattinata allo shopping.

Di solito, durante la settimana, fare la spesa è un’incombenza che sbrigo molto rapidamente muovendomi velocemente tra i banchi del supermercato senza guardarmi intorno e soprattutto senza avere il tempo materiale per soffermarmi ad osservare ciò che mi circonda.

Al sabato, invece, mi prendo tutto il tempo possibile e, mentre mi aggiro tra le bancarelle del mercato e i negozi, mi dedico alla mia occupazione preferita: ascoltare le persone, osservarne i comportamenti, curiosare tra gli esseri umani.

Mi capita, di conseguenza, di cogliere battute brucianti, reazioni incredibili, frasi al limite del cabaret.

Provo a fare qualche esempio:

In farmacia entra una signora abbastanza giovane, dal passo deciso, si avvicina al banco e con voce abbastanza stentorea, comunque sufficientemente alta per essere udibile anche a “distanza di privacy” chiede un Peranaper. Il farmacista la guarda perplesso, consulta velocemente il terminale, fruga nella memoria digitale e personale, fa appello alla propria creatività ed anche alla più sfrenata fantasia, ma non riesce a capire di che diavolo di farmaco si tratti. Ormai allo stremo chiede lumi sulla malattia che dovrebbe curare poi, trasecolato, si illumina: si trattava dello Xanax.

Mi sposto nel negozio dove mi servo di tutto ciò che ha a che fare con l’informatica, mentre sto chiedendo informazioni sulle diverse schede grafiche, per valutarne prestazioni e compatibilità con le mie esigenze entra una signora con piglio deciso la quale, senza curarsi dei clienti presenti nel negozio chiede perentoriamente “l’inchiostro per la stampante”. Il negoziante interrompe un attimo il dibattito sulle schede video per chiedere di che stampante si tratti e liquidare in fretta la cliente. Logicamente non solo la signora non è al corrente della marca e del modello, ma si arrabbia con il negoziante perchè ha osato dimenticare quale stampante le abbia venduto almeno quattro anni fa.

Mentre la signora esce irritata (e senza inchiostro) squilla il telefono: si tratta di un altro cliente molto originale il quale, avendo acquistato il mese scorso un mouse, si crede in diritto di telefonare ogni due per tre per chiedere consulenze (logicamente gratuite) su istallazioni, virus e antivirus, masterizzazioni e quant’altro. La buffissima espressione del negoziante è sufficiente per mettermi di buonumore per il resto della giornata.

E’ ora di tornare a casa, sfioro la bancarella del fruttivendolo giusto il tmpo necessario per sentire una giovane mamma che chiede: “Un chiosco di banane”.

Decisamente è meglio di un reality.

Fuori porta.

Quando ero bambina ogni tanto i miei genitori mi portavano a fare una gita fuori porta, allora mi sembrava un’avventura (anche perchè tutti i viaggi con la vecchissima Fiat 600 con le porte controvento erano epici).

Allora Milano era più piccola e anche Chiaravalle, con la sua abbazia, sembrava una meta lontana, poi, nel tempo, mi sono abituata a considerare il campanile svettante ai margini della tangenziale, come parte integrante della città.

Chiaravalle torre campanaria

Sono tornata di recente a visitare il monastero che rivive in tanti ricordi della mia infanzia e l’ho trovato assolutamente all’altezza delle mie aspettative.

C’è ancora l’elegante campanile svettante la mitica “Ciribiciaccola” della filastrocca che mi recitava la nonna:

“Sora del campanin de Ciaravall gh’è una ciribiciaccola con cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt var pusse’e la ciribiciaccola che i soo cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt; la ciribiciaccola la ciciara i ciribiciaccolitt ciciaren ma la ciciarada de la ciribiciaccola l’è pusse’e lunga de quela de i cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt; quant i cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt voeren ciciarà con la ciribiciaccola la ciribiciaccola l’è pronta a ciciarà con i cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt ”

C’è lo splendido chiostro con il capitello angolare, l’unico originale, sopravvissuto alle devastazioni di età napoleonica, che rappresenta il nodo infinito.

C’è l’interno asimmetrico dove gli apparenti errori nell’alternarsi degli stili architettonici e della teoria delle finestre sono, in realtà, errori voluti per simboleggiare l’imperfezione umana.

Ogni tanto capita di incontrare, nel chiostro, nella cripta o su per la scala un monaco, avvolto nel suo saio, con il cappuccio alzato che cammina a passi lenti e pacati in un’atmosfera dove il tempo sembra sospeso.

Tutto sommato vale proprio la pena di fare una scappata da quelle parti.

Lezione in biblioteca.

Ogni volta che riparto dalla prima media, dopo il primo mese di scuola, mi piace fare una lezione un po’ particolare: per una volta, con i ragazzi, lascio la scuola per trascorrere qualche ora nella biblioteca del paese.

La nostra biblioteca occupa un’ala del palazzo comunale che è una villa settecentesca collocata nel centro dell’abitato, affacciata sulla piazza principale proprio di fronte alla chiesa, con sale dalle grandi finestre e soffitti affrescati con scene di caccia o illustrazioni di momenti della vita dei campi.

Di solito occupo la sala dove sono sistemati i libri più adatti ai ragazzi e, dopo aver scelto alcuni libri a caso (la scelta è però accuratamente preparata in precedenza), leggo alcune pagine, generalmente le più significative, nel tentativo, che spesso ha successo, di spingere i miei allievi a continuare autonomamente la lettura.

Mi sembra importante la lezione in biblioteca perchè credo che i ragazzi debbano toccare i libri liberamente, sfogliarli, soppesarli, leggerne qualche frase, farsi un’idea della trama: in una parola i ragazzi devono avere la possibilità di scoprire che i libri non mordono, non sono degli oggetti misteriosi, ma possono diventare degli amici fidati e dei compagni preziosi nel tempo libero, devono poter accorgersi che la lettura non è un penoso dovere, ma un piacere che dona gioia, emozione, fantasia.

Siamo già a novembre: penso che sia ora di andare a dare un’occhiata da vicino alla biblioteca.

riflessi

La difficoltà di essere “bravi ragazzi”.

Riprendo solo ora la notizia, apparsa sulla stampa e nei telegiornali, del ragazzo di Ischia che si è suicidato in seguito a presunti episodi di “bullismo” nei suoi confronti.

Ho voluto riflettere con calma sulla vicenda ed approfondire il discorso avviato a proposito di un caso, purtroppo tragicamente analogo, capitato lo scorso anno a Torino.

Allora avevo insistito sulla necessità di educare alla diversità, oggi vorrei invece focalizzare l’attenzione su un aspetto diverso, ma complementare.

Essere “bravi ragazzi” è difficile e impopolare, essere studiosi, o “secchioni”, come si dice in gergo, non paga: stranamente in un mondo che ha fatto della performance e del successo una “religione” il successo scolastico, i voti alti, il profitto ineccepibile non sembrano degni di considerazione.

Sarà forse perchè il buon rendimento scolastico si ottiene solo con l’applicazione e lo studio sistematico, con l’attenzione in classe ed il rispetto per il lavoro proprio e altrui che sono merce rara al giorno d’oggi.

Succede che chi decide di studiare in modo serio, magari per aprirsi la strada per svolgere, da adulto, una professione gratificante, sia visto come uno “sfigato” che “perde” sui libri il tempo che gli altri passano a divertirsi, al quale non interessa una carriera da “tronista” o da “velina” (per le quali, si sa, servono poco talento e preparazione quasi nulla).

Penso che il compito della famiglia e della scuola sia proprio quello di fortificare chi ha inclinazioni e comportamenti positivi, di sostenere chi, in un mondo con i valori così scombinati, si sente irrimediabilmente diverso ed escluso, perchè un adolescente che si sente diverso ed escluso è terribilmente solo, non ha un gruppo di riferimento, uno specchio in cui riflettere la sua immagine e compiacersene e la solitudine può portare, in un momento di fragilità, alla disperazione.

Memoria corta.

In questi giorni il ritorno in televisione (ma non in Rai) di Luttazzi ha fatto tornare alla memoria di molti “l’editto bulgaro” che coinvolse, in maniera brutale, anche un giornalista della statura morale di Biagi.

Mi piace ricordarlo…

via dioblog 

Ci mancherà.

E’ morto un galantuomo e un grande giornalista, viene a mancare, con la sua scomparsa, una voce libera, indipendente, mai banale e talvolta ironica, viene a mancare la sua lucidità e la geniale abilità di tratteggiare un personaggio o una situazione con poche parole mai stonate.

Enzo Biagi era coetaneo di mio padre e riconoscevo in lui la stessa sorridente pacatezza, la saggezza di chi ha visto tanto mondo e sa parlarne in modo distaccato, ma non indifferente, la profonda onestà intellettuale.

Mi dispiace come quando viene a mancare una persona cara.