Archivio mensile:Novembre 2007

Il cielo d’inverno.

Guardo il cielo attraverso i vetri, sì lo so che siamo ancora in autunno, ma fa così freddo che ormai sembra già inverno e il cielo è livido, biancastro, striato di macchie di luce, un cielo opaco e gelido, un cielo basso e spesso che sembra pesare sul mondo.

L’aria non è limpida, ma velata, mi sembra quasi di avere le lenti appannate, i colori s’impastano in un unico grigiore uniforme e non riesco a distinguere i particolari del paesaggio: tetti, alberi spogli, strade si confondono in un un’unica visione omogenea e senza contrasti.

Lo so che non è ancora inverno, ma questo è già un cielo nevoso, che il sole non riesce a ferire, è un cielo incombente ed inquieto.

Eppure, più su, tra le mie montagne, in giornate come questa, velate e nebbiose in pianura, si aprono squarci di azzurro intenso, di un azzurro che in estate è difficile trovare.

Se guardo la valle vedo una coltre compatta di nubi, un mare tempestoso che copre città e campagne, cancellandone l’esistenza, è un mondo scomparso, inghiottito da nulla e dal silenzio, ma qui le cime, coperte di neve, si stagliano nitide nel cielo sereno e la luna, bianchissima ed evanescente, si affaccia timida dalla cresta del monte.

In giornate come questa la nostalgia delle mie montagne diventa quasi dolorosamente palpabile.

Luna sul Resegone

Aprire gli occhi.

C’è stupore e preoccupazione per l’allarme lanciato dal ministro Amato nei giorni scorsi, ma chi, come me, lavora quotidianamente a contato con i preadolescenti, ha smesso di stupirsi anche se continua a preoccuparsi.

Tempo fa, in un post abbastanza recente, ho attirato l’attenzione sul un libro, per certi versi sconvolgente, che descrive dal di dentro il mondo dei dodicenni, del quale l’autrice, attingendo ai forum, alle chat e ai blog restituisce un’immagine inquietante.

Non è il caso, come si è fatto di recente, di demonizzare la rete, internet è solo un mezzo per far emergere un disagio che esisterebbe comunque: i nostri ragazzi sono soli, spesso in balia di se stessi, purtroppo senza regole, perché succede che il mondo adulto, impreparato ad affrontare il problema, abdichi al dovere di educare, i nostri ragazzi sono bombardati da falsi modelli, da proposte di stili di vita estremi, dove conta l’apparire, dove il successo è legato alla bellezza, alla ricchezza, dove chi grida di più ha ragione.

Spesso si sentono inadeguati ad affrontare il mondo artificiale che è loro proposto e allora c’è lo sballo, c’è il sesso, ci sono i disturbi alimentari, c’è la violenza: è un continuo tentativo di spostare in là il limite, di abbattere ogni tabù, di affermare la propria esistenza, non importa come.

E’ indispensabile rimboccarsi le maniche e ricominciare a dialogare con questi ragazzi, non per giudicare, ma per capire, non per costringere, ma per guidare, prima di tutto con l’esempio di una vita ancorata a quei valori di cui ci riempiamo la bocca, ma che spesso non condividiamo.

I ragazzi sono lì, vedono l’incoerenza, la giudicano e si comportano di conseguenza.

Sognare ad occhi aperti.

Ogni tanto mi piace sognare e in cima alle mie fantasie oniriche ci sono due oscuri oggetti del desiderio, solo apparentemente modesti, due monolocali o (volendo esagerare) due bilocali, non necessariamente vasti, non necessariamente lussuosi, ma dalla collocazione assolutamente affascinante.

Il primo, alla faccia dell’I.C.I. e delle rendite catastali, si trova a Venezia, possibilmente a Castello o nel Ghetto, si affaccia su un canale laterale, dalle finestre aperte, nella bella stagione, entra il caratteristico odore della città e la luce, riflessa dal movimento dell’acqua, disegna arabeschi sulle pareti.

Non intendo abitare a Venezia, probabilmente, ma mi intriga l’idea di arrivarci, di tanto in tanto, di aprire una porta che si spalanca su uno spazio mio, di assaporare il gusto di vivere in questa città unica al mondo, non come ospite di un week end, perché Venezia è bella con il sole e con la pioggia, ma è assolutamente eccezionale con l’acqua alta o quando si leva la nebbia leggera che avvolge le antiche architetture.

L’altro sogno, squisitamente immobiliare, è una mansarda a Parigi, con una finestre aperta sui tetti come quella da dove il topolino Remy, il piccolo protagonista di Ratatuille, contempla, acquattato nel suo guantone da forno, il panorama della città illuminata.

Sogno troppo in grande?

Probabilmente sì, ma se quando si sogna non ci si abbandona alla fantasia, che gusto c’è?

Venezia Rio secondario

Murphy aveva ragione.

“Se qualcosa può andare storto, lo farà” recita la prima legge di Murphy e devo riconoscere che, nonostante il mio incrollabile ottimismo e la mia fiducia nelle “magnifiche sorti progressive”, c’è del vero, o almeno c’è del vero per quanto riguarda casa mia.

In alternativa posso pensare di vivere in una casa infestata (in questo caso dovrei chiamare un esorcista), ma non è una situazione più rassicurante.

Tutto comincia alla mattina con il telefono che fa i gargarismi, prende la linea ma si produce in una serie di versacci che non promette nulla di buono e non permette di capire nulla, nemmeno se dall’altra parte della linea all’apparecchio c’è un uomo o una donna, mi munisco del cellulare, che logicamente è quasi scarico (quando non lo è?) e contatto una collega con la quale, teoricamente, dovrei avere un fruttuoso scambio di opinioni, ci accordiamo per scambiarci idee e file via internet.

Accendo il portatile nuovo di pacca così wireless che mi permette di connettermi dalla cucina, così mentre butto la pasta e apparecchio la tavola tengo d’occhio la posta, mi sento tanto casalinga 2.0, ma la tecnologia non mi sostiene e la connessione salta, controllo il pc nello studio e scopro che l’adsl è defunta.

Segnalo il guasto (anzi per essere precisi “i guasti”) e ricevo calorose rassicurazioni: “stiamo lavorando per voi”.

Nel pomeriggio la connessione va e viene e non mi permette di lavorare, provo di nuovo col telefono: non fa più i gargarismi, adesso è completamente muto (segnalo il cambiamento e ricevo le solite rassicurazioni).

Per ingannare il tempo decido di stirare un po’ e scopro che il ferro da stiro, supertecnologico e autopulente, si è intasato di calcare che manco le grotte di Postumia, logicamente la prima passata lascia un’avveniristica scia sulla maglietta nera, passo circa un’ora nella non facile impresa di eliminare le concrezioni dolomitiche dal ferro e dall’indumento.

Tradita dalla tecnologia o colpita duramente dalla sfortuna? Preferisco non addentrarmi nell’inutile analisi: contro la legge di Murphy non c’è scampo.

Aggiornamento: a mezzogiorno la connessione va a corrente alternata, mentre il telefono è sempre muto, il gestore mi ha comunicato che il guasto verrà riparato entro mercoledì (!!). Se dovessi sparire non mi sono data alla latitanza, ma, come diceva il Manzoni, ” credete che non s’è fatto apposta”. ;-):

Per completare l’opera a scuola la macchinetta del caffè è defunta!

Quattro passi.

Passeggio veloce, nelle prime ore del pomeriggio, teoricamente quelle più tiepide della giornata, ma una cortina di nuvole ventose vela il cielo e l’aria è gelida, caccio le mani in tasca e allungo il passo, le case del paese si diradano, la stradina si perde nella campagna e l’aria, senza più ostacoli, soffia sempre più fredda.

Al laghetto non c’è nessuno, solo i germani e le gallinelle d’acqua si muovono svelti sul pelo dell’acqua, ogni tanto il mio passaggio provoca un decollo dettato dal panico, sulla superficie dello stagno, appena increspata, si disegnano le scie.

Se non facesse tanto freddo mi siederei sulla panchina a contemplare i colori spenti di questo preludio d’inverno e starei qui a godermi l’insolita pace della campagna silenziosa.

Mi piace questa pace, mi piace il silenzio rotto solo da un brivido d’aria sull’acqua, mi piace quest’atmosfera strana dipinta di colori, che non sono colori, ma toni di grigio spalmati sul mondo.

In un angolo in ombra scopro una sottile parvenza di ghiaccio.

Le foppe in autunno

Tempo di calendari.

Stiamo entrando nel periodo “caldo” dei calendari: le edicole e le librerie si riempiono di proposte, in carta patinata, per affrontare attrezzati il nuovo anno, tutti sembrano prometterci un futuro colorato e felice, si tratta quasi di un rito indispensabile per esorcizzare il vago timore per ciò che ci attende e che non possiamo immaginare.

L’attesa ottimistica del futuro, il rimpianto del passato, anche se doloroso, sono temi fondamentali nella poetica del Leopardi il quale, nelle “Operette morali”, nel “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere“, riflette proprio sull’abitudine degli uomini di proiettarsi fiduciosamente in avanti, nonostante le esperienze negative del passato:

Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.

Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?…

Il calendario dunque diventa il nostro passaporto per un futuro felice, sicuramente migliore del passato, ci aiuta a sperare che l’anno che verrà ci porterà meno tribolazioni e più serenità.

C’è qualcuno, però, che ci invita a guardare avanti senza dimenticare ciò che è stato: per questo motivo penso che quest’anno acquisterò il calendario di “Amnesty International” dedicato alla Birmania, per continuare a ricordare le traversie di quel lontano paese proprio ora che i riflettori dell’attenzione mondiale sembrano spenti.

Il Cenacolo.

Si apre a Milano la mostra “Ultime ultime cene, tra Leonardo e Warhol” curata da Philippe Daverio con Dominique Stella, che ripropone l’interpretazione del capolavoro leonardesco che Warhol fece nel 1987, insieme ad altre opere di autori contemporanei ispirate allo stesso tema.

Sicuramente l’opera di Leonardo è una delle più intriganti, anche perché, negli ultimi anni, è stata al centro della curiosità e dell’interesse mondiale, soprattutto in seguito al best-seller di Dan Brown, che se non altro ha avuto il merito di accrescere a dismisura il fascino e la fama dell’affresco.

Ricordo di aver visto il grande dipinto, per la prima volta, da bambina: allora la televisione era neonata e in casa mia non c’erano preziosi libri con riproduzioni a colori delle opere d’arte, perciò non avevo avuto occasione di ammirare l’affresco in precedenza e ricordo di aver provato sorpresa, stupore ed emozione al cospetto di quelle immagini evanescenti fissate per sempre sulla parete.

L’emozione si è ripetuta, intatta, quando sono tornata ad ammirare il Cenacolo alcuni anni fa, dopo il lungo e faticoso lavoro di restauro: sono entrata nella sala climatizzata in punta di piedi, quasi in religioso silenzio, con gli occhi puntati sulla figura centrale di Cristo, ho camminato lentamente verso il dipinto, cercando di cogliere i particolari più minuti, poi mi sono mossa a ritroso per gustarne la bellezza nella sua totalità.

Spero di trovare il tempo per visitare la mostra e allora coglierò l’occasione per riprendere il mio muto, affettuoso dialogo con l’affresco

Come sei diventato blogger?

Napolux ha lanciato un meme interessante, il Capitano mi ha coinvolta e, una volta tanto, non mi dispiace partecipare perchè mi permette di ripensare un po’ a questa esperienza che dura da poco più di un anno.

Chi o cosa ti ha spinto a creare un blog?

Sono da sempre una frequentatrice curiosa della rete e lo scorso anno, dopo un’estate abbastanza burrascosa, durante la quale mia madre si è ammalata, mi sono ritrovata a passare molto tempo in casa e, fatalmente, dopo aver svolto il mio lavoro e le faccende domestiche (queste ultime senza molto entusiasmo), ho cominciato a leggere qualche blog e si è fatta strada in me l’idea di cominciare a scrivere, prima di tutto per fare un po’ di ordine fra i miei ricordi d’infanzia e le mie giornate di scuola, all’inizio pensavo che l’esperienza si sarebbe conclusa in breve tempo perché, per temperamento, sono piuttosto incostante e mi stanco abbastanza presto, invece il gioco mi ha preso la mano e ora il mio post quotidiano è un appuntamento irrinunciabile.

Il tuo primo post?

Si intitola “Oggi” ed è una specie di velocissima autopresentazione, un po’ timida e impacciata…poi mi sono fatta coraggio.

Il post di cui ti vergogni di più? 

Non mi vergogno di niente, se avessi scritto qualcosa di imbarazzante o particolarmente stupido probabilmente non l’avrei pubblicato.

Il post di cui sei più fiera?

Nessuno in particolare, amo molto i post nei quali mi lascio trasportare dal filo dei ricordi.

Ora passo la parola a chi ha voglia di parlare un po’ di sè.

Riciclando, riciclando.

La Vodafone ha lanciato la campagna “Vodafone Recycling Tour” per il riciclaggio e il riutilizzo dei telefonini obsoleti, esausti, antidiluviani o semplicemente passati di moda.

Alzi la mano chi, quando smette di usare un cellulare, ha mai pensato cosa farne: c’è chi l’ha infilato nel ripostiglio e se ne è dimenticato, chi l’ha regalato alla vecchia zia, chi lo usa come fermacarte, fermaporta, soprammobile o oggetto d’antiquariato, personalmente (ma sono un tipo notoriamente distratto e un po’ disordinato) avevo lasciato il mio, ormai vetusto e moribondo, su una mensola della casa in montagna, in attesa di capire dove buttarlo, e lì lo hanno trovato i ladri che se lo sono portato via, se non altro liberandomi del problema.

Invece ora è possibile riconsegnarlo e ricevere in cambio una ricarica (e la possibilità di partecipare all’estrazione di una smart fortwo cdi): i telefonini riutilizzabili saranno “rimessi a nuovo” e inviati nei paesi emergenti, mentre quelli proprio “defunti” verranno smontati per permettere il recupero dei metalli dei componenti.

Invito chiunque abbia un vecchio cellulare, che non usa più, a dare un’occhiata alle date e ai luoghi della raccolta, riconsegnandolo si eviterà di gettarlo in discarica, dove andrebbe comunque ad aumentare il volume dei rifiuti e forse, si potrà donargli una nuova vita.

(Questa campagna è stata proposta da Zzub: la prima community italiana di passaparola)