Ho appena concluso la lettura di un libro, che mi aveva consigliato una collega, intitolato “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa” di Marida Lombardo Pijola, giornalista del Messaggero e vorrei consigliarne la lettura a quanti hanno a che fare con i preadolescenti, siano essi genitori, insegnanti o educatori.
Il libro presenta un’indagine spietata sull’universo dei ragazzini della scuola media, raccolto in modo fedele dai blog, dalle chat e dai forum: racconta di ragazzi dalla doppia vita, che frequentano le discoteche pomeridiane, che fanno sesso in modo disincantato e quasi meccanico, che si accostano all’anoressia e alla bulimia per cercare una risposta al male di vivere, che consumano sostanze stupefacenti e alcool per colmare il vuoto esistenziale, che si rapportano con gli altri in modo violento, che identificano la “felicità” con il successo, i soldi e i vestiti griffati, ma racconta anche di genitori distanti, indifferenti, inadeguati e parla di una scuola che non sa dare speranze e risposte.
L’ho letto d’un fiato sentendomi sprofondare in un abisso di disperazione e di degrado morale e culturale, l’ho letto cercando di immaginare i miei allievi nelle stesse situazioni e mi sono chiesta se i ragazzi che credo di conoscere, con i quali parlo di tutto, che mi fanno domande anche imbarazzanti, che mi confidano segreti inconfessabili siano veramente come sembrano o non indossino una maschera che io adulta sono incapace di vedere.
Il libro mi ha mandato in crisi, ha scosso i miei punti di riferimento, mi ha invitato a riflettere su un mondo che credevo di conoscere a fondo, per questo motivo spero che molti genitori ed insegnanti lo leggano, non per assumere nei confronti dei ragazzi atteggiamenti inquisitori che li farebbero chiudere a riccio, ma per aiutarli a capire che la realtà ha molte sfaccettature, che non tutto è come sembra e che è più che mai indispensabile accompagnare i ragazzi con attenzione, con amore e con rispetto, rispondendo alle loro richieste di aiuto da adulti consapevoli del proprio ruolo.
Non è facile, forse non siamo neppure preparati a farlo, ma è assolutamente necessario se non vogliamo rinunciare in partenza al nostro compito di educatori: è una sfida che non si può e non si deve perdere.