Archivi giornalieri: 30 Maggio 2007

La prima volta.

Come si fa a non ricordare la prima volta: il senso di euforia e insieme di smarrimento, l’impressione profonda di trovarsi in una situazione tante volte immaginata, ma mai vissuta, qualcosa di cui hai sentito parlare, ma che in realtà non conosci e, anche se ti sei preparata, hai letto ciò che c’era da leggere, hai ascoltato attentamente i racconti di chi ci è passato prima, riesci solo vagamente a intuire, capisci che cambierà radicalmente la tua vita, ma hai il timore del cambiamento.

Avevo ventitré anni quando, stringendo fra le mani la nomina del preside, mi sono trovata faccia a faccia con la mia prima classe: insegnante precaria quant’altri mai, titolare di una supplenza di quindici giorni, non ancora laureata (perchè negli anni settanta, in Lombardia, c’era posto anche per chi stava ancora frequentando l’Università, soprattutto per le supplenze brevi).

Il primo impatto col mondo della scuola è stata la vista di un ragazzino che arrivava dal fondo del corridoio, con un taglio profondo nel braccio (aveva appena sfondato il vetro della porta dei bagni: allora nella scuola la sicurezza era un optional).

Mi ero presentata puntuale, con un batticuore da far paura e mi ritrovavo catapultata in un film di Dario Argento: per qualche minuto mi sono chiesta se quella era proprio la professione che intendevo intraprendere, mi sono sentita in trappola, spaventata, dubbiosa, con una voglia irrefrenabile di scappare.

Non sono scappata e non sono scappata neppure davanti a una classe di ventisette ragazzini pronti a mangiarsi la supplente in insalata, ho inalberato il cipiglio delle grandi occasioni, ho spiegato per due ore senza mai sedermi (non mi siedo mai neanche adesso), ho imparato i nomi a memoria a tempo di record, ho intuito quali ragazzi avrei potuto “tirare dalla mia parte” per farmi aiutare nella gestione della classe: in pratica ho capito quasi subito che quello era proprio il mio mestiere.

Poi la supplenza, per quelle strane alchimie che capitano, a volte, nella scuola italiana, è durata per tutto l’anno, rinnovata di volta in volta ogni due settimane e, nonostante gli inevitabili errori causati dall’inesperienza, ho portato la classe agli esami.

Ogni tanto li incontro ancora quei ragazzi, mi vogliono un bene dell’anima anche ora che sono dei quarantenni padri e madri di famiglia: qualcuno è diventato architetto, qualcuno medico o farmacista, qualcuno avvocato, ma anche chi non è arrivato all’università è riuscito a realizzarsi nel proprio lavoro o nell’impegno sociale e politico.

Oggi non si entra più così impreparati nelle classi, oggi gli insegnanti sono dotati di strumenti adatti allo svolgimento della professione e, probabilmente, procedono molto meno di me per tentativi ed errori, ma io so che è grazie a quella “leggendaria” prima volta che ho imparato il mio mestiere e quando incontro i miei ragazzi di allora provo ancora una gratitudine immensa per quanto mi hanno insegnato.