Archivio mensile:Aprile 2007

Punti di vista.

Quando si deve spiegare a dei ragazzini quanto sia importante vedere la realtà da diverse visuali e quanto sia fondamentale, per la comprensione dell’altro, assumerne il punto di vista, o almeno prendere coscienza della sua esistenza ci si trova di fronte ad un muro di gomma.

I ragazzini sono, in genere, abbastanza “assolutisti” e faticano parecchio a calarsi nei panni di un altro e a cercare di capire che possono esistere diverse verità a seconda dei diversi modi di interpretare la realtà, spesso per gli adolescenti o è tutto bianco, o è tutto nero, la zona grigia non esiste.

Si può usare il metodo del professor Keating: salire in piedi sulla cattedra ed invitare gli allievi a fare la stessa cosa, per imparare a guardare il mondo dall’alto; peccato che poi si debbano fare i conti con l’ira funesta del personale incaricato di fare le pulizie dell’aula (se ci fate caso nel film “L’attimo fuggente” non si fa menzione al personale addetto alle pulizie, eppure la cattedra doveva essere inguardabile dopo che una ventina di baldi giovanotti, provenienti dal cortile, vi avevano camminato in lungo e in largo, ma forse il personale del New England, ai tempi, non era sufficientemente sindacalizzato).

Anche per una questione anagrafica, a causa della quale mi risulta estremamente difficile inerpicarmi sugli arredi dell’aula, io preferisco affrontare il discorso leggendo un brano che si trova su quasi tutte le antologie della scuola media, nella sezione fantascienza: “La Sentinella” di Fredric Brown.

E’ un racconto brevissimo, una paginetta scarsa, nel quale è descritto un soldato che fa la guardia su un asteroide sperduto, lontano centinaia di anni luce, è stanco, avvilito, affamato e impaurito, quando vede avvicinarsi il nemico, un alieno viscido e mostruoso, lo fredda non senza provare una sconvolgente ripugnanza per il suo aspetto.

Il finale, però, è denso di significato e colpisce il lettore come un pugno nello stomaco, lasciandolo quasi senza fiato ed è proprio questa sensazione che permette ai ragazzi di intuire cosa significhi “veramente” capire il punto di vista dell’altro, cosa significhi mettersi nei panni di qualcuno per il quale la realtà è interpretabile in modo diametralmente opposto.

Questo è il motivo per il quale la lettura del racconto mi sembra un metodo più pratico di quello del professor Keating per raggiungere lo stesso scopo.

Se non avete mai letto il racconto e non sapete come va a finire non aspettatevi che ve lo sveli io…posso solo dirvi che il Maggiordomo non ha nessuna responsabilità!

Oh Cracovia!

Cracovia è una città bellissima, con un centro storico molto elegante e raffinato ed è una delle città Europee che amo di più, forse perchè ad essa sono legati ricordi ed affetti molto forti.

A Cracovia abita Hanna, una “ragazza” di cinquantaquattro anni, come me, con la quale ho condiviso alcuni dei momenti più belli della mia vita.

Quando avevamo vent’anni (praticamente una vita fa) lei abitò a casa mia per quattro mesi, dall’estate a Natale, allora studiava architettura ed era innamorata dell’arte italiana, ne approfittammo per viaggiare insieme e per me fu l’occasione per riscoprire le bellezze del mio paese, che le mostravo orgogliosa come fossero gioielli di famiglia.

Ricordo ancora il suo stupore a Venezia, Firenze e Roma, ma anche a Milano dove, oltre ai tesori del patrimonio rinascimentale, scoprimmo insieme le nuove tendenze dell’architettura contemporanea che il suo sguardo d’intenditrice mi faceva scoprire, mettendone in luce le caratteristiche più originali e innovative.

Alla fine della lunga vacanza tornò in Polonia e per lunghissimi anni restammo in contatto solo telefonico, ci spedimmo rispettivamente le foto dei matrimoni e dei figli, ma non trovammo più il modo di incontrarci fino a qualche anno fa quando decisi di tornare a Cracovia.

Hanna vive nel centro storico, in una casa antica, arredata con mobili ottocenteschi tra i quali troneggia un enorme ed elaboratissimo samovar in argento, da casa sua, a piedi e in pochi minuti si raggiunge la piazza del mercato dove sorge l’antico Mercato dei Tessuti e la chiesa di Santa Maria dal cui campanile, ogni ora, un trombettiere suona l’adunata.

Questa città ha un fascino particolare, è elegante, ricca e discreta, non ostenta la sua bellezza ma la lascia scoprire, a poco a poco, a chi ha la pazienza di percorrerla a piedi a passi lenti, per gustare tutti i dettagli.

E’ una delle città dove potrei vivere….

cracovia

L’utente è momentaneamente assente…

Giornata difficile a scuola, entro in classe un po’ alterata perchè uno dei miei ragazzi si è comportato male, sono disposta a perdonare la poca voglia di studiare, la superficialità, la “stupidera”, ma non sopporto la scorrettezza e la falsità.

Esibisco un cipiglio particolarmente aggrondato, sbatto (non poso) il registro sulla cattedra, loro (i ragazzi) mi conoscono bene, dopo tre anni hanno imparato ad interpretare il mio umore, il tam tam del corridoio ha già propagato la notizia, praticamente c’è un silenzio assoluto, sanno che la mia faccia significa: “bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati”(per dirla come il Manzoni), così nessuno parla, bofonchiano un saluto di circostanza e si affrettano ad aprire i libri senza alzare lo sguardo, voglio che si capisca che ce l’ho con il mondo intero, anche con gli innocenti, mi odio per il mio atteggiamento, ma non riesco e non intendo comportarmi diversamente.

Poi comincio a spiegare, spiegare è il mio mestiere e farlo mi rilassa, mi sciolgo, l’arrabbiatura a poco a poco mi scivola via, loro, con le loro antennine, lo sentono e cominciano a muoversi, a dire mezza parola in più, a fare domande, badando bene a misurare le parole, facendo attenzione a non rompere il clima che via via diventa più disteso.

La crisi non è ancora superata, ma siamo sulla buona strada, adesso tirano fuori le loro curiosità e i loro dubbi quasi senza ritegno: la geografia dell’Africa li intriga e hanno tante domande da fare.

Poi arriva la domanda che non t’aspetti: “Prof., ma il Nilo va in salita?”.

Ammutolisco incredula, anche i ragazzi ammutoliscono, cala un gelo palpabile sulla classe, si aspettano una sfuriata, ma l’ho detto che sono disposta a perdonare molte cose: non riesco ad arrabbiarmi, mi scappa da ridere all’idea del Nilo che faticosamente arranca verso il delta (che sta su, a nord) dopo aver abbandonato l’ignota sorgente (che logicamente sta giù, al sud) per obbedire ad una geografia spicciola che prevede che i fiumi scorrano dall’alto in basso.

Sorrido e fingo di arrabbiarmi, rivolgo un grato pensiero al cervello del mio allievo, momentaneamente scollegato che mi ha permesso di superare un difficile momento di crisi.

Adesso posso ricominciare……

Sotto banco…

Quando andavo al Liceo avevo diversi modi per distrarmi durante le lezioni più noiose o durante certe interminabili interrogazioni che si protraevano magari anche per due ore: mentre gli insegnanti si adoperavano, con grande zelo, a spaccare un capello in quattro io giocavo a battaglia navale con il mio compagno seduto nel banco dietro al mio.

Non si trattava della battaglia navale classica, quella dieci per dieci per intenderci, ma di uno schema che praticamente copriva un intero foglio protocollo a quadretti, dove disegnavamo intere flotte e batterie costiere: in questo modo le partite diventavano ancora più interminabili delle interrogazioni e, alla fine della mattinata, riponevamo con cura il foglio, con il quale avremmo continuato a giocare il giorno seguente.

Era la nostra una trasgressione veniale che comunque, se scoperta, ci avrebbe procurato punizioni piuttosto severe, ragion per cui cercavamo di mimetizzare i nostri schemi tra pile di libri e quaderni e di sussurrare le coordinate dei colpi a mezza voce.

Ho l’impressione, vista la situazione col senno di poi, che i nostri insegnanti se ne fossero accorti, ma lasciassero correre perchè, in fondo, recavamo ben poco disturbo alle lezioni.

Quando non giocavo ingannavo il tempo con la lettura e credo che non fosse possibile che passassi inosservata, visto che stavo sempre al primo banco e tenevo il libro spalancato sulle ginocchia, ma forse nessun professore di Liceo ha cuore di rimproverare una ragazza intenta in questa nobile occupazione e così la passavo regolarmente liscia, d’altra parte ero una lettrice accanita, leggevo in autobus (rischiando violenti attacchi di mal d’auto), leggevo in vacanza, leggevo a tavola (scatenando le ire della famiglia), leggevo alla sera prima di addormentarmi e non mi addormentavo mai (…se il libro era particolarmente avvincente).

Posso dire che “sotto i banchi di scuola” ho conosciuto Pirandello, Svevo, Melville, Tolstoi, Wilde, Gadda, Pratolini, Moravia e tanti altri autori che difficilmente avrei conosciuto “sui banchi di scuola” : un tempo al Liceo Classico si sfiorava di striscio la letteratura del ‘900 e quella straniera era praticamente bandita.

La lettura clandestina era tanto più piacevole in quando proibita e credo che il mio insegnante di letteratura, un signore coltissimo e arguto, in fondo apprezzasse questa mia passione, tanto è vero che fu sempre molto indulgente nei confronti miei e dei miei compagni, forse comprendeva la nostra necessità di colmare i momenti di noia immergendoci in un universo diverso e sconosciuto.

cinque terre

Sarà per questo motivo che non riesco ad essere severa con i miei ragazzi?

Memoria.

Raccolgo l’invito di Sbontolo a non dimenticare i fatti di Catania che costarono la vita a Filippo Raciti, raccolgo l’invito a sollevare un’ondata di indignazione perchè nulla, di fatto, è cambiato.

Ha visto giusto un tifoso incontrato al bar, pochi giorni dopo il fatto, che si lamentava per la sospensione del Campionato, ma si consolava affermando con sicurezza che tanto il rigore sarebbe durato poco e presto si sarebbe ricominciato a giocare negli stadi, ad accapigliarsi negli studi televisivi e a tifare nello stesso modo, becero e irresponsabile.

Non credo che sia civile rassegnarsi, non credo che sia civile trincerarsi dietro gli interessi economici per causa dei quali lo “sport più bello del mondo” non può conoscere soste, se non puramente simboliche.

Anch’io invito tutti a ricordare e a tener viva la memoria anche in coloro che preferirebbero addormentarla.

Credo che sia indispensabile continuare a parlarne per non dimenticare.

Si potrebbe andare a…

Crespi d'Adda Decorazione

Una meta sicuramente insolita e abbastanza comoda, per chi come me abita in provincia di Milano (o di Bergamo), è il villaggio operaio di Crespi d’Adda.

L’abitato sorge sulla sponda bergamasca dell’Adda, su un promontorio roccioso, e si sviluppa parallelamente al corso del fiume, ha una storia piuttosto recente, rispetto ai paesi vicini, perchè è sorto praticamente dal nulla ad opera della famiglia Crespi, industriali cotonieri della fine dell’800, i quali, dopo aver costruito l’opificio, decisero di affiancargli “un villaggio operaio ideale” che potesse ospitare le maestranze.

Nel paese si respira un’atmosfera particolare: percorrendo la lunga strada, che va dal “Castello simil-medievale”, un tempo residenza della famiglia Crespi, al mausoleo faraonico che chiude l’orizzonte, si percepisce facilmente quale fosse l’idea che lo ha ispirato.

Lungo la strada, di fronte alla fabbrica, si susseguono decine di linde casette bifamiliari, costruite per ospitare gli operai e le loro famiglie, tutte dotate di un piccolo giardino, che doveva essere curato dagli operai stessi nel tempo libero.

Nel paese non manca nulla: c’è la casa del parroco e del medico, un po’ elevate rispetto alle altre abitazioni, una piazzetta col lavatoio, la chiesa, e la scuola (dove i ragazzi imparavano anche i primi rudimenti della tessitura), il teatro, l’emporio e, più isolate, le ville per i dirigenti.

Vi si viveva una vita ordinata e tranquilla, scandita dagli orari della fabbrica, Crespi sembra ancora oggi un piccolo paradiso, che poteva però diventare un paradiso perduto nel momento in cui l’operaio veniva licenziato, perchè oltre al posto di lavoro perdeva anche l’abitazione.

Anche da lontano il paese è particolare, perchè non ha campanile, mentre torreggiano le ciminiere, quasi ad indicare che alla religione tradizionale si sostituiva la religione del lavoro.

Per il suo impianto urbanistico, per la bellezza dei decori delle costruzioni e della fabbrica e per la sua unicità il paese è stato proclamato “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco.

In questa stagione, vista anche la vicinanza col fiume che può essere attraversato con una passerella di ferro, è particolarmente gradevole fare quattro passi tra le casette per conoscere da vicino una realtà urbanistica così particolare ed originale.

Crespi d'Adda la Chiesa

Non se ne può quasi più.

“Ma come parli?” urlava un giovane Nanni Moretti, nel film “Palombella Rossa“, rivolto ad una giornalista molto “trendy” (accidenti, ci sono cascata anch’io).

Anche a me, ogni tanto, sgorga spontaneo dal cuore questo grido di dolore soprattutto quando vedo nascere nuove mode, parole che cambiano significato in modo arbitrario, come ad esempio l’aggettivo “etnico” usato spesso a sproposito: il significato originale del termine, infatti, è “proprio di un popolo“, non si spiega quindi la strana evoluzione grazie alla quale oggi lo stesso vocabolo ha assunto il significato di “esotico”, “di lontana provenienza” o “di un altro continente” (gioiello etnico, ristorante etnico, acconciatura etnica, mobile etnico e via così…senza ritegno).

A ben vedere anche un ristorante toscano è un ristorante etnico, anche il risotto alla milanese è un piatto molto etnico, persino i pregevoli mobili prodotti dai mobilieri canturini sono mobili etnici (basta intendersi sull’etnia di riferimento).

Purtroppo la battaglia per la conservazione dell’integrità della lingua italiana è persa in partenza: giornali, televisione e pubblicità modificano ogni giorno il linguaggio, creando neologismi, mutando i significati, d’altra parte è giusto che una lingua viva evolva, ci mancherebbe altro, saremmo un po’ buffi se parlassimo tutti come Jacopone da Todi, ma a tutto c’è un limite.

Qualche anno fa, ai tempi della prima Repubblica, qualcuno creò il termine “Tangentopoli” per definire la situazione di corruzione tra mondo produttivo e mondo politico balzato all’onore (o al disonore) delle cronache: il termine ebbe fortuna perchè evocava l’immagine di una città (polis) il cui governo si basava su un sistema di tangenti.

Peccato che da allora tutti gli scandali si siano fregiati del suffisso “poli” anche se non hanno più a che fare con una città in senso stretto: Calciopoli, Vallettopoli sono termini entrati nel linguaggio comune ed universalmente accettati.

Non è consolante, ma anche gli atri non stanno meglio: negli Stati Uniti sulla scia dello scandalo Watergate (che prendeva il nome dal centro residenziale dove si era consumato il tentativo di spionaggio ai danni del partito democratico) si sono susseguiti un Irangate, un Sexgate e chissà quanti “gate” ancora.

Propongo quindi una serie di possibili scandali italiani con i quali dovremo fare i conti:

  • Monopoli: uno scandalo piccolo piccolo relativo ad un solo uomo politico
  • Metanopoli: scandalo che vede coinvolti i produttori e i distributori di metano.
  • Eliopoli: scandalo, molto ecologico, sullo sfruttamento dell’energia solare.
  • Propoli: scandalo relativo all’apicultura.
  • Paperopoli: ecco di nuovo l’aviaria.
  • Gallipoli: spaccio di pollame di dubbia provenienza
  • Necropoli: lo scandalo del “caro estinto”.
  • Tendopoli: scandalosa gestione dei campeggi.
  • Metropoli: scandalo relativo alle unità di misura.
  • Metropoli: questa volta si tratta di ferrovie sotterranee.

Qualcuno ha qualche altro scandalo da suggerire?

  • Fonopoli: scandalo relativo a un progetto mai terminato. (suggerito dal Signor Ponza)
  • Calciopoli:grave scandalo pediatrico relativo agli ematomi su gambe e ginocchia (di Capitan Mutanda…willy ti ho beccato)

Piccole donne crescono.

Me le vedo davanti ogni mattina, le mie piccole donne, sono cresciute in questi tre anni, me le ricordo un po’ timide, all’inizio della prima media, tutte in gruppo per farsi coraggio ed esorcizzare la presenza un po’ ingombrante dei maschi.

Sono cresciute a poco a poco, hanno imparato a tener testa ai compagni, a guardare fisso negli occhi, a rispondere con tono deciso e non con le vocine sussurranti di tre anni fa, che si spegnevano in un soffio.

Adesso vanno in estasi per Scamarcio, leggono i libri di Moccia e si offendono quando le chiamo le mie “mocciose”, sanno di essere graziose, ma fanno finta di non crederci, o forse non ci credono davvero e quando si guardano allo specchio vorrebbero vedere un’immagine diversa o più semplicemente vorrebbero essere solo rassicurate.

Quelle di sei anni fa impazzivano per Di Caprio ed andavano in pellegrinaggio al cinema per rivedere, alcune per la sesta volta, quel tremendo polpettone di “Titanic” e guai a cercare di smontare i loro miti, anche loro si guardavano allo specchio e si vedevano goffe e bruttine.

Certi sentimenti, certi comportamenti sono un po’ come la varicella, c’è un’età canonica in cui ci si innamora di qualche divo del cinema o della musica o di qualche ragazzo più grande, magari un amico dei fratelli maggiori e non c’è proprio niente d fare, basta aspettare che passi.

Le capisco, anch’io, più o meno alla loro età, ero andata in crisi alla notizia dello scioglimento dei Beatles, ero inconsolabile, avevo strappato i poster dal muro della mia stanza perchè mi sentivo delusa e tradita e comunque, come si può notare, sono sopravvissuta a tanta devastazione.

Ogni tanto, in classe leggiamo una poesia d’amore e io vedo i loro occhi farsi più attenti, anche se cercano di sembrare indifferenti, mentre i maschi le sbeffeggiano, ma forse solo per nascondere il loro imbarazzo.

Che età favolosa, quella delle mie ragazze, l’età in cui ci si può ancora permettere il lusso di essere innamorate dell’amore, l’età in cui si è come delle farfalle leggiadre e delicate, pronte a spiccare il volo.

farfallina

Rientri.

Oggi si torna a scuola, sì lo so che in un sacco di altre scuole si è cominciato ieri, ma c’è l’autonomia e ci sono i calendari regionali, così non ho più certezze.

Se al telegiornale dicono “domani riaprono le scuole” di solito vengo presa dal panico, ho l’incubo di dimenticarmi le date e che dalla segreteria mi telefonino per scoprire dove sono dispersa (in realtà, di solito, sono molto precisa e puntuale, ma sono anche un’inguaribile insicura e il panico è panico).

So già che facce troverò, che scuse troverò, so già che dovrò lottare per catturare l’attenzione di una quarantina di occhi spersi fuori dalla finestra a cercare l’estate, fuori ci sono i prati, i fiori, le corse in bicicletta, i pomeriggi al parchetto, dentro il grigio dell’aula (per inciso i muri sono verdi, ma il grigiore è intrinseco nel concetto di aula scolastica).

Non ho assegnato compiti per le vacanze, non lo faccio mai, non lo faccio più da quando sono stata mamma di uno studente e mi sono rovinata le vacanze nel vano tentativo di catturarlo per fargli svolgere quintalate di compiti, tra alti lai e copiose ingiurie.

Quindi i miei ragazzi, almeno per quanto mi riguarda, dovrebbero ritornare in classe per nulla affaticati, pimpanti e desiderosi di chiudere bene questo anno scolastico,

Ormai il calendario (stavolta quello nazionale) segna poco meno di due mesi di scuola, è una tirata sola, a parte quell’ultimo ponte (quello del primo maggio)…prati smeraldini e temperature estive permettendo dovremmo riuscire a sopravvivere.

ciliegio