Archivi giornalieri: 10 Marzo 2007

Sotto il cielo di Berlino.

Sono stata a Berlino, per la prima volta, nel ’71, avevo l’incoscienza dei diciotto anni, ma nonostante l’età, mi colpì profondamente la città tagliata in due dal muro il quale, proprio allora, compiva dieci anni.

In quegli anni frequentavo l’Oratorio del mio paese e il sacerdote aveva deciso che era giusto che dei giovani brianzoli uscissero un po’ dal loro guscio, per conoscere il mondo e rendersi conto che l’orizzonte era un po’ più vasto della skyline del paesello.

Così ci trascinò attraverso la Germania, lungo il Reno, visitammo Amsterdam e i Paesi Bassi e poi ci dirigemmo a Berlino, dove avremmo conosciuto dei coetanei che vivevano dietro il muro.

Allora il nostro paese non aveva ancora riconosciuto ufficialmente la Repubblica Democratica Tedesca, non esisteva una ambasciata italiana a Berlino est, inoltre il rilascio del visto era un’operazione lunga e laboriosa.

Ricordo che era necessario adempiere ad alcune formalità, che a noi sembravano assurde: bisognava riempire dei moduli scritti rigorosamente in tedesco, russo e, per fortuna, inglese, pagare una cifra enorme di dieci marchi occidentali ed attendere, con infinita pazienza, che i nostri documenti venissero accuratamente esaminati dalla polizia di frontiera.

Poi si poteva passare, dopo una perquisizione, non sempre superficiale, delle borse e degli effetti personali, ricordandosi bene di ripassare il muro dallo stesso checkpoint (Checkpoint Charlie o Fiedrichstrasse) e, indipendentemente dall’ora di rilascio del visto, entro la mezzanotte (proprio come Cenerentola).

Berlino era una città stupenda, anche se l’odiosa ferita del muro dava una sensazione un po’ claustrofobica, c’erano splendidi palazzi, musei di incredibile ricchezza (come il Pergamonmuseum che ospita l’altare di Pergamo e la Porta di Ishtar), ma dovunque, tanto all’est quanto all’ovest, si sentiva l’opprimente presenza della spaccatura profonda che la divideva e le dava un senso di precarietà quasi angoscioso.

I ragazzi che incontrammo furono una piacevole sorpresa, tra noi parlavamo un inglese abbastanza approssimativo (supportato dalla tipica gestualità italica), ma ci intendevamo benissimo a suon di musica: ci ritrovammo a cantare le canzoni di Bob Dylan e dei Doors e scoprimmo che, tutto sommato, nonostante le differenze di educazione, nonostante le ideologie diverse, erano più le cose che ci accomunavano di quelle che ci dividevano.

Siamo restati amici e per molti anni abbiamo passato le vacanze visitando i paesi dell’est per poterci incontrare, visto che a loro era proibito varcare la “cortina di ferro”.

Questo spiega perchè, quando cadde il muro, provai una gioia particolare.