Archivio mensile:Febbraio 2007

punto It.

Si fa un gran parlare nella blogosfera del logo del “Sistema Italia” e del portale “Italia.it”, entrambi costati una vagonata di quattrini, entrambi (per usare un gentile eufemismo) “inadeguati”.

Partiamo dal logo: lascio a voi giudicare ma, a mio modesto parere, è brutto (non riesco a trovare un aggettivo più originale, vista la quantità di espressioni negative presente nella blogosfera).


Questo “coso” pare sia costato 80.000 euro ed è stato disegnato dalla Landor, che a suo tempo si è aggiudicata l’appalto, per inciso noto che il paese del design ha commissionato ad un’agenzia d’oltreoceano il logo che dovrebbe rappresentarlo, fa un po’ ridere che uno dei simboli del “made in Italy” sia “made in U.S.A.” (e non si tratta solo di sciovinismo).

Poi, che dire?, la figura verde non assomiglia ad una “T” e non assomiglia allo “stivale” al massimo ricorda il naso della maschera veneziana della peste (e sono buona), il verde, nella bandiera, sta a sinistra, mancano all’appello due isolette fondamentali per il nostro turismo (che fine hanno fatto Sicilia e Sardegna?).

Insomma, parafrasando i pacifisti d’oltreoceano “not in my name”, non mi sento rappresentata da questo logo (per quanto possa valere il mio parere).

Parliamo invece del portale: in breve per i dettagli squisitamente tecnici vi rimando a Kromeboy, per quello che posso capire io è lento e vecchio.

Domanda: non era proprio possibile trovare in Italia qualcuno che fosse in grado di far meglio? (anche perchè mi sembra difficile fare peggio).

In fila per due.

Ho già avuto occasione di raccontare i miei primi anni di scuola costellati di penne e pennini, di grembiulini bianchi e grandi fiocchi e di maestre dallo sguardo dolce, ma dall’espressione severa.

I miei ricordi, per nulla sbiaditi, mi sembrano lontanissimi come la preistoria se confrontati alla scuola di oggi e all’atteggiamento degli scolari e certe volte mi chiedo come fosse possibile che delle “normali” bambine di sei anni riuscissero a stare ferme, zitte e concentrate durante le ore di lezione e come mai la nostra maestra non dovesse mai alzare la voce per attirare la nostra attenzione.

A metà mattina c’era l’intervallo che consisteva nell’andare in fila per due, a passo di marcia, lungo il corridoio che conduceva ai servizi: non si sentivano le nostre voci, ma il nostro passo cadenzato e gli ordini militareschi della maestra (uno, due, uno , due, passo!).

L’unica libertà che ci veniva concessa consisteva nel segnare il passo con forza tale da far tremare i vetri, mentre ci muovevamo in sincrono perfetto, con un allineamento da parata…e tutto questo benchè io non abbia frequentato un’accademia militare.

Arrivate davanti alla porta dei servizi ci fermavamo in fila, entravamo nei bagni a due a due, andavamo al gabinetto anche se non era strettamente necessario (dopo non sarebbe stato più possibile farlo per il resto della mattina), ci lavavamo le mani, qualche volta dovevamo inghiottire delle pastiglie enormi, che la maestra si guardava bene dallo spiegarci cosa fossero, e ci allineavamo dall’altra parte del corridoio dove consumavamo (in piedi come cavalli) la merenda, poi tornavamo in classe sempre marciando.

Tutti gli spostamenti (peraltro rarissimi) all’interno della scuola avvenivano a passo di marcia: ogni tanto avevamo la lezione di canto corale, la maestra ci guidava in un’aula dove una anziana signora era seduta al pianoforte, ci schieravamo su una gradinata e poi, ad una ad una, la pianista ci faceva uscire dai ranghi e ci faceva cantare un accordo, penso per decidere dove posizionarci nel coro, io ero timidissima e mi vergognavo come una ladra a cantare da sola davanti a tutti, ma ho l’impressione che allora non si badasse molto alla psicologia infantile e, comunque, sono sopravvissuta anche a questo.

L’altra lezione straordinaria, con cadenza più o meno mensile, era quella di ginnastica (non si chiamava psicomotricità…a quei tempi): la maestra ci conduceva, sempre a passo di marcia, in un locale abbastanza vasto e spoglio dove c’erano dei tappetini e un’asse di equilibrio (che a me sembrava altissima), ci faceva percorrere due volte la trave e poi ci riportava in classe.

Come sia cresciuta normalmente, nonostante questa ferrea disciplina, è ancora un mistero…vero è che, appena ho potuto, ho cominciato a ribellarmi e non ho smesso di essere uno spirito ribelle neanche adesso.

Ricordi di notte.

Quando ho mal di schiena, come ormai mi capita abbastanza spesso, l’unico rimedio è dormire sul mio materasso rigido, almeno alla mattina mi sveglio riposata e un po’ più dritta.

In questi casi ripenso a tutte le volte nelle quali, nell’età inconsapevole della giovinezza, ho dormito nei posti più impensati, pensando che non ci sarebbero state mai conseguenze (ah! il senso di onnipotenza dei giovani).

Come diceva il poeta “…pentirommi e spesso ma sconsolato volgerommi indietro” : effettivamente ogni tanto mi volgo indietro, ma devo dire che il rimpianto non fa parte delle mie sensazioni, almeno non in questo caso: se dovessi tornare indietro (ma tanto non succede) rifarei esattamente tutto.

Ho dormito, praticamente seduta su una “due cavalli”, nel cuore della Spagna per aspettare l’alba sui mulini a vento di Don Chisciotte e lo spettacolo incredibile delle prime luci del giorno sulle piccole costruzioni in cima alla collina mi ha ripagato ampiamente di tanta improba fatica.

Ho dormito sdraiata per terra nel corridoio di un treno strapieno che viaggiava verso Varsavia, ma l’alternativa era non partire, e Varsavia meritava qualche sacrificio.

Ho dormito sulla spiaggia freddissima del Baltico, vicino a un fuoco che stentava a decollare, mentre qualcuno si ostinava a suonare “Light my fire” senza riuscire ad imbroccare gli accordi, ma per solidarietà sono rimasta lì tutta la notte.

Ho dormito in tenda in alta montagna, durante la notte di San Lorenzo, per vedere le stelle cadenti senza inquinamento luminoso, sicuramente ho visto le stelle, sicuramente ho espresso dei desideri, ma non ricordo più se si sono realizzati.

Forse viste adesso, col senno di poi, con la saggezza dell’età matura, erano vere e proprie sciocchezze, ma sono ricordi che scaldano il cuore, sono le piccole “stupidate” che rendono la giovinezza l’età splendida che è: non mi pento di averle fatte…forse mi pentirei del contrario.

Montagna, se questo non è amore…

Gli ultimi post, mi sono accorta, sono piuttosto “montuosi”, forse è il caso di fornire qualche spiegazione su questa mia particolare predilezione per la montagna che, immagino, non sarà sfuggita a chi legge questo blog.

Ho cominciato a frequentare la Valsassina fin da bambina: ero piccolissima quando il medico di famiglia consigliò i miei genitori di combattere la mia gracilità non con dei medicinali, ma facendomi cambiare aria perché, evidentemente, il mio fisico delicato non sopportava l’afa di Milano nei mesi estivi.

La Valsassina, che si allunga poco sopra Lecco, offriva ed offre degli indubbi vantaggi: la vicinanza con Milano, l’altitudine non elevatissima, il clima fresco; per questi motivi i miei genitori affrontarono l’allora non indifferente impegno economico di regalarmi due mesi di vacanze che dovevano servirmi per stare bene per il resto dell’anno.

Prendevamo in affitto un minuscolo monolocale soleggiato, partivamo da Milano alla fine di giugno, con un taxi (allora mio padre non aveva un’automobile, ma un simpatico “guzzino”), sul tettuccio dell’auto veniva caricato un enorme baule, di quelli verdi con le cerniere dorate, nel quale mia madre stivava i vestiti e la biancheria da casa e giungevamo a destinazione dopo un viaggio che a me pareva lunghissimo, restavamo tra i monti per più di due mesi, con mio padre che ci raggiungeva durante il week end e nei quindici giorni di ferie in Agosto, poi verso la metà di settembre si tornava in città.

Solo più tardi ho capito quanto fossi fortunata e che grosso sacrificio fosse per i miei genitori far saltar fuori dal magro bilancio familiare il denaro per permetterci una vacanza così lunga.

Facevamo lunghissime passeggiate, raggiungevamo, spesso in modo fortunoso, lontanissimi rifugi dove dovevamo forzatamente passare la notte: molti dei miei ricordi infantili sono legati a queste montagne che conosco a memoria, che amo come vecchissime amiche che ho percorso in lungo e in largo innumerevoli volte, trovando sempre qualcosa di nuovo.

Dopo la nascita di mio figlio ho deciso che sarebbe cresciuto sano e robusto solo in questa valle…la storia, evidentemente, ha i suoi corsi e ricorsi.

Qui ho imparato a non sentire la fatica, a mettermi alla prova, a rispettare l’ambiente, a stupirmi davanti a un fiore o a una roccia, a non avere paura di rischiare una arrampicata con imbrago e corda, un sentiero inciso nella roccia, a fiutare il vento per intuire i cambiamenti di clima, ad accettare il gusto amaro della sconfitta quando il maltempo, o la fatica, o il tuo fisico non in perfetta forma ti consigliano di tornare indietro e la vetta è così vicina che ti sembra di toccarla con la mano, ho imparato la gioia della vittoria e il coraggio della rinuncia.

E’ una grande scuola la montagna, ti forma il carattere mettendo sulla tua strada continui ostacoli da superare….certo non è una vita facile, ma ti aiuta a conoscerti meglio e a non prenderti tanto sul serio.

pizzo dei tre signori agost

Premana

Tra i numerosi paesi della Valsassina ce n’è uno un po’ particolare, situato in fondo alla valle: quando la strada scende di nuovo verso il lago bisogna deviare a destra, verso la montagna e si sale fino a scorgere Premana appoggiata sul fianco impervio del monte.

E’ un paese molto caratteristico, con le case che sembrano crescere una sull’altra, collegate da viuzze parallele strettissime unite fra loro da scale e portici.

La gente ha mantenuto le tradizioni antiche, nei giorni di festa le donne portano ancora il costume (ol morél) elegantissimo e sobrio, gli uomini lavorano ancora il ferro: le lame di Premana sono conosciute in tutto il mondo.

La tradizione della lavorazione del ferro ha origini remote, già i romani conoscevano le miniere di minerali ferrosi della Val Varrone (una delle valli che si dipartono dall’abitato) e in passato a Premana si forgiavano i “pettini” le decorazioni che ornano la prua delle gondole veneziane.

La storia di questo comune, che non ha visto lo spopolamento che di solito caratterizza le località di montagna, dove la vita è dura e il lavoro poco remunerativo, è documentata in un piccolo ma ricchissimo museo etnografico, dove sono rappresentati la vita, il lavoro e i costumi degli abitanti.

Ma la caratteristica di Premana sono gli alpeggi: piccoli villaggi di cascine e stalle, situate in quota, dove, un tempo, si saliva con le mucche nella stagione estiva, per sfruttare i pascoli alti.

Oggi gli alpeggi (o Alpi, come le chiamano qui) non sono stati abbandonati, le casette sono state riattate e sono abitate, soprattutto nei mesi estivi, quasi esclusivamente da premanesi, in mezzo ai piccoli abitati, che sembrano fondali da presepe, c’è sempre una fontana di acqua freschissima e una croce di legno.

La gente è dura e schiva, come la montagna, ma se il turista non è invasivo e rispetta la riservatezza del luogo, viene accolto con cordialità: mi è capitato spesso, durante le mie camminate, di fermarmi presso una fonte e di ritrovarmi a scambiare quattro chiacchiere con gli abitanti o ad assaggiare una fetta di dolce di mele o un pezzetto di formaggio offerto con spontaneità e cortesia.

In estate ogni alpeggio celebra il rito del “past”: si tratta di un pasto collettivo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, che consiste in un piatto di riso in brodo di carne lessata (un tempo di pecora) seguito da una razione (“part”, sufficiente per quattro persone) di carne e verdure.

Dopo il pranzo è il momento dei canti tradizionali, che ricordano, per la loro particolare polivocalità, i cori sardi.

Tutte queste particolari caratteristiche, unitamente alla impervia bellezza delle montagne circostanti fanno di Premana una meta non banale per una gita: come spesso accade l’Italia dei piccoli centri nasconde gioielli che nulla hanno da invidiare alle celebratissime città d’arte, è la dimostrazione che il nostro paese riserva, ad ogni piè sospinto, occasioni per conoscere luoghi veramente unici per bellezza e tradizioni.

alpeggio

A casa, finalmente.

Sì, finalmente a casa, perché quando non sono fra le mie montagne mi sento in esilio: lontano da qui c’è la fatica della vita quotidiana, lo smog, il rumore, lontano da qui c’è una sottile insoddisfazione, c’è la sensazione che qualcosa manchi, anche se non sempre riesco a capire cosa sia.

Quando torno tra le mie montagne (…e capita abbastanza spesso comunque) mi sembra di tornare bambina, apro la porta, spalanco le persiane del salone, giusto per avere un po’ di luce, e giro per tutte le stanze, ne osservo tutti i particolari, come per sincerarmi che nulla sia cambiato.

E’ un momento tutto mio, non ho bisogno di compagnia, perché devo riappropriarmi del mio ambiente, dei colori e delle forme di tutto ciò che mi è caro.

Mi rendo conto che è un comportamento un po’ infantile, non a caso anche quando ero bambina mi comportavo così, ma è una specie di rito che si ripete ogni volta con pochissime varianti, intanto ne approfitto per spalancare le finestre, aprire l’acqua, regolare i termosifoni e compiere tutte le piccole azioni che permettono alla casa di ripartire.

Poi, di solito, mi preparo un caffè, non particolarmente buono, visto che la caffettiera è rimasta inattiva abbastanza a lungo, e vado sul balcone ad osservare lo stato dei miei fiori che sono rimasti senza cure a lungo, osservo con tenerezza una vecchia radice che ho coperto di terriccio e riempito di piantine di roccia che, a poco a poco, hanno attecchito e ora crescono rigogliose adattandosi alle asperità del legno.

Mi accendo una sigaretta e, finalmente, sorseggiando il caffè comincio a fare l’inventario delle mie montagne e del bosco che si allarga davanti a me, con le sue forme e i suoi colori ogni volta diversi.

Di solito compare uno degli scoiattoli che, tutto l’anno, giocano sui rami, saltando dal ciliegio al castagno per poi correre lungo il tronco dell’abete proprio davanti a me: sono animali timorosi, stanno a debita distanza, ma non smettono di inseguirsi agili e velocissimi.

Quando rientro in casa sono pronta a ricominciare la mia vita quotidiana, ma le batterie sono già ricaricate.

scoiattolo

Z-list

Ho scoperto, con piacere (è inutile dirlo) di essere stata citata nella Z-list di Mylife che riprende l’iniziativa di Luca volta a dare visibilità ai piccoli blog di qualità.

Anch’io mi trovo un po’ in imbarazzo perchè nel mio aggregatore ci sono tantissimi blog interessanti che leggo quasi quotidianamente, ma se devo scegliere ecco i miei “preferiti”:

Spero di avere capito il meccanismo, mi scuso per aver definito “piccoli” dei blog che magari piccoli non sono e per non aver citato decine di altri blog che leggo con affetto.

Aggiungo di seguito i blog segnalati in Pandemia:

Diablog
Gaspatcho
Connesso.org
Giorgio Taverniti Blog
Tecnoetica
Yi bu-yi bu
Radiopassioni
Luca Mascaro
Andrea Martines

Rilancio la palla a tutti gli altri…e me ne vado in montagna.

Cattedrali e centri commerciali.

Bisogna essere veramente amici per sopravvivere alle vacanze insieme, non so se a voi è mai capitato, ma io ho dovuto constatare, purtroppo, che dopo aver trascorso un periodo di ferie con un gruppo di amici, spesso il rapporto ne esce incrinato, sarà forse perchè la convivenza forzata fa emergere le piccole-grandi differenze di gusti e carattere che portano, abbastanza inevitabilmentem alla rottura di un legame che mi illudevo fosse solido.

C’è una coppia di amici con i quali andiamo in vacanza abbastanza spesso, ci conosciamo da sempre, i mariti giocavano insieme da bambini, apparentemente abbiamo abitudini, gusti e interessi abbastanza simili, ma quando facciamo un viaggio insieme arriviamo a punti di rottura difficilmente sanabili, poi, per qualche anno, ce ne andiamo in vacanza da soli e tutto si aggiusta.

Quattro anni fa facemmo un viaggio (definito culturale eno-gastronomico) attraverso alcune regioni francesi che conoscevamo poco, l’itinerario comprendeva Alsazia, Lorena, Calvados, Normandia con una puntatina finale a Parigi (che non può mai mancare).

Viaggio splendido, cibo buono ed abbondante, vini notevoli, alberghi (logis de France) caratteristici e confortevoli…eppure, fin da Strasburgo cominciarono i dissapori perchè, mentre tre quarti del gruppetto (i due mariti ed io) intendevano visitare i centri storici e le cattedrali, il restante quarto aveva deciso che i “ruderi” erano noiosi e preferiva visitare i centri commerciali francesi.

Capirete che conciliare queste esigenze non era facile, soprattutto perchè nessuno di noi aveva a disposizione alcuni mesi per visitare tutto e, fatalmente, bisognava operare qualche scelta dolorosa.

Ora se io devo scegliere fra la cattedrale di Reims e un ipermercato qualsiasi non ho dubbi, vivo in Lombardia, la mia regione pullula di centri commerciali, che io, peraltro, frequento, ma solo se devo fare la spesa, altrimenti me ne astengo, mentre oserei dire che la Cattedrale dei Re è unica.

Tuttavia ogni volta c’erano discussioni a non finire, bronci, ripicche e tutto l’armamentario che contribuisce a rendere difficili i rapporti umani.

A Parigi finalmente ci dividemmo e mio marito ed io fummo liberi di visitarci tutte le chiese e i musei che volevamo, magari mangiando un panino veloce per non perdere neppure un’ora.

Sono passati quattro anni, il ricordo del viaggio è sbiadito, probabilmente ricadremo nella tentazione di fare un viaggio insieme, anche perchè, visti nel nostro ambiente…andiamo d’accordissimo.

cattedrale

Ricontiamo…per contare.

Gira sulla rete una proposta: visto che, dopo le ultime elezioni politiche si è fatto un gran parlare di brogli (come se fossero noccioline), qualcuno si è attivato per proporre un riconteggio dei voti da parte dei cittadini.

Logicamente non si tratta di ricontare le schede che, a quanto ne so, stanno in un capannone non ben localizzato (ma spero ben custodito) a fare la muffa, ma di conteggiare i voti attribuiti che dovrebbero essere reperibili (e consultabili) nei verbali di scrutinio.

Per vedere in dettaglio la proposta vi rimando al sito di Cittadini Digitali. Comunque, indipendentemente dalla parte politica di appartenenza, penso che sarebbe un bene per tutti avere le idee chiare.

Nella mia incredibile ingenuità penso che i verbali di sezione possano essere considerati attendibili: ho svolto per diverse volte il ruolo di Presidente di seggio e so per esperienza quanti e quali controlli incrociati siano stati posti dalla legge a garanzia del regolare svolgimento dello scrutinio.

Forse sono un’anima semplice, ma molte volte ho pensato, leggendo le istruzioni per i presidenti e svolgendo le operazioni durante le elezioni che, per imbrogliare, ci vorrebbero l’accordo e la congiura del silenzio di almeno sette persone (tra presidente, segretario, scrutatori e rappresentanti di lista), che spesso la pensano in modo diametralmente opposto e sono lì apposta per controllarsi a vicenda, il che mi sembra, quanto meno, improbabile.

Quindi il controllo dei singoli verbali potrebbe dare, se non la certezza, almeno dei dati scevri dai meri errori materiali, che non è poco.

Se siete interessati al problema (se per voi è un problema), potete diffondere questa iniziativa.

[via Kromeblog]

finestra e bandiera

Così è (se vi pare)

Anche se potrebbe sembrare il contrario questo non è un riferimento al blog del Signor Ponza (che, comunque, è sempre un gran bel leggere), ma proprio una citazione della famosa commedia di Pirandello.

Ne scrivo perchè Rai Trade e Fabbri Editori pubblicano, in questi giorni, una serie di dvd con le maggiori opere teatrali del celebre scrittore siciliano, nel settantesimo anniversario della morte.

Il primo dvd propone “Così è (se vi pare)” , il testo teatrale rappresentato per la prima volta nel 1917, nella messa in scena di Giorgio de Lullo, registrata per la televisione nel 1974, con la “Compagnia dei Giovani” (De Lullo, Falk, Valli, Albani) a cui si affianca l’insuperabile e insuperata coppia Morelli-Stoppa.

La commedia è in assoluto una delle mie preferite perchè tratta uno dei temi fondamentali di Pirandello cioè l’impossibilità di conoscere la realtà.

La storia è ambientata in un piccolo paese di provincia, dove tutti si fanno gli affari degli altri, tutti credono di conoscere le storie degli altri, ma, in realtà, ciascuno, partendo da un personalissimo punto di vista, si costruisce una “sua” verità, diversa dalla realtà degli altri.

E’ stato un piacere rivedere, dopo tanto tempo una apparentemente fragile, seppure gigantesca, Rina Morelli, uno spettacolare Paolo Stoppa, un ironico e magistrale Romolo Valli, una enigmatica Rossella Falk.

Si tratta logicamente di grandi attori del passato, avvezzi a calcare le tavole del palcoscenico, capaci di una recitazione intensa senza sbavature e dalla dizione perfetta: attori di razza che approdavano alla recitazione dopo una lunghissima preparazione, e non finivano in un teatro sulla scia del successo di una fiction o di un varietà televisivo.

Anche la regia è geniale: scenografia spoglia invece del classico salotto intasato di paccottiglia, giochi di ombre sul grande muro che chiude la scena, il signor Ponza, la signora Frola e la moglie appaiono senza trucco e con costumi neri di grande sobrietà in contrapposizione con gli altri personaggi truccatissimi e dagli abiti sgargianti che riecheggiano i personaggi di Grosz.

Se questa è la qualità anche degli altri dvd penso che non potrò rinunciare a “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Il berretto a sonagli”, “Enrico IV” e “Ma non è una cosa seria” (qui mi devo fermare se non voglio accendere un mutuo).