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Formaggio bruno, mora bianca, salmone, merluzzo e gamberetti.

E’ da molto tempo e da molti viaggi che ho deciso che non devo più acquistare souvenir, a meno che non si tratti di qualcosa di commestibile o di indossabile.

Anche durante il mio recente viaggio alle isole Lofoten sono rimasta rigorosamente fedele al mio intento e, dopo aver assaggiato alcuni piatti locali (soprattutto a colazione) ho riportato a casa con me i sapori del mio viaggio.

Innanzitutto c’è il formaggio bruno (quello di solo latte vaccino si risponde all’impronunciabile nome di Fløtemysost), che propriamente formaggio non è, infatti viene preparato facendo bollire il siero del latte fino a quando gli zuccheri non caramellano fornendogli un sapore dolce e una consistenza cremosa, oltre a un colore particolare dalle tonalità marroni più o meno accentuate.

Poi c’è il salmone al naturale, affumicato, alla piastra che a colazione dà una vera e propria sferzata di energia e ha un sapore che a poco a che vedere col salmone che ci troviamo a consumare alle nostre latitudino.

Anche i gamberetti sono una vera squisitezza, mentre il pesce più pescato è sicuramente il merluzzo che, messo sulle rastrelliere a seccare, diventa lo stoccafisso, ma che si può trovare confezionato in lattine di patè dal gusto deciso.

Per finire c’è la confettura di mora bianca (non si tratta di un ossimoro ma della “polar berry”) un frutto simile alle nostre more molto aromatico.

Portare sulla mia tavola questi cibi inusuali mi permette di risvegliare, anche attaverso il gusto, il ricordo di un viaggio che ha lasciato dentro di me un’impronta profonda.

Reine.

E’ una vera e propria perla, un villaggio che sorge su di un promontorio ai piedi di montagne che scendono a strapiombo nell’acqua, abitato da poche centinaia di persone.

Reine si trova quasi all’estremità dell’isola di Moskenesøya, nell’arcipelago delle Lofoten, a nord del circolo polare artico ed è una cittadina di pescatori che si è tramutata in un’attrazione turistica sia per la bellezza della sua posizione, sia per il colore vivace dei suoi rorbuer, le case dei rematori, diventate col tempo alloggi accoglienti per i turisti che, in numero sempre crescente, si spingono fino a queste latitudini.

Le casette rosse, che sembrano uscite dal disegno di un bambino, devono il loro colore all’uso antico e ormai dimenticato di dipingerle mescolando olio di pesce e sangue di bovini con lo scopo di proteggere le assi di legno, con cui sono costruite, dalle interperie.

Reine - Isole Lofoten (Norvegia)

Reine - Isole Lofoten (Norvegia)

Tutto ciò di cui avevo bisogno.

Un viaggio resta nel cuore non solo perché permette di visitare luoghi nuovi o ritrovati, ma soprattutto perché in qualche caso (ed è veramente un dono) il viaggio risponde ad un bisogno sconosciuto, ad un desiderio inespresso.

Quando sono partita per le isole Lofoten neppure lo sapevo, ma dentro di me c’era un desiderio di quiete, di silenzio e di bellezza che, per una magica alchimia, il viaggio ha appagato lasciandomi in uno stato di grazia che raramente ho avuto la fortuna di vivere.

Ho amato la luce, i colori, il silenzio rotto solo dal canto delle onde, le strade vuote, la magica danza dell’aurora boreale, il ritmo mai frenetico del nostro andare.

Questo viaggio in cima al mondo è stato un dono anche per la buona compagnia, le relazioni che sono nate quasi spontaneamente, la facilità dei rapporti interpersonali.

E’ stato tutto così vicino alla perfezione che ho quasi l’impressione di aver vissuto in un sogno.

Isole Lofoten (Norvegia)

La luce del Nord.

Del viaggio in Norvegia mi resta soprattutto la sensazione di essere avvolta in un mondo di luce: la luce del giorno che, grazie al cielo senza una nuvola che ci ha accompagnato alle Lofoten, sembra esplodere dopo i mesi di buio e la luce della notte, quella dell’aurora boreale, che si accende e danza nel cielo.

Come descrivere la luce?

Non trovo le parole per raccontare i monti coperti di neve candida che si riflettono a specchio nell’acqua quieta dei fiordi o i villaggi di pescatori, con le casette rosse che regalano un felice contrappunto all’azzurro del cielo e al blu cobalto dell’acqua.

Anche l’aria, frizzante e pullita, sembra luminosa e sembra impensabile credere che solo pochi mesi fa tutto questo mondo fosse avvolto dal buio dell’inverno, accarezzato dalla timida luce di un sole che sembra non voler staccarsi dalla linea dell’orizzonte.

Le Lofoten mi hanno lasciato queste impressioni, questi colori, questa sensazione di un mondo dove l’uomo si muove rispettosamente in punta di piedi come se non volesse turbarne l’armonia.

Å Lofoten (Norvegia)

Un’altra valigia, un nuovo viaggio.

E così sono di nuovo in partenza, di nuovo ho tirato fuori la valigia color fucsia (così sgargiante da essere subito riconoscibile allo sbarco) ammaccata da tanti traumi nelle stive di tanti aerei, di nuovo ho cominciato ad ammucchiare gli indumenti, la biancheria, i medicinali e quanto mi potrà servire in questa nuova avventura, di nuovo sono preda di una strana sensazione a metà strada tra l’eccitazione per la partenza ed una vaga inquietudine per il timore (spesso infondato) che qualcosa possa andare storto, che possa dimenticarmi qualcosa di fondamentale, che il nuovo viaggio possa in qualche modo deludere le mie aspettative.

So che, per qualche ora starò così, quasi sospesa e poi, quando dopo domani sarò in aeroporto, passerà tutto e subentrerà solo il desiderio di tuffarmi in una nuova esperienza.

Questa volta la meta è impegnativa: andrò alle isole Lofoten, oltre il circolo polare artico, in una terra che, almeno a giudicare dalle fotografie e dalle guide che ho letto, è di una bellezza disarmante, ma soprattutto andrò a caccia dell’aurora boreale, confidando, senza farmi troppe illusioni, in un cielo notturno senza nuvole.

E’ quasi tutto pronto, ho persino un libro ambientato in Norvegia che la mia preziosissima bibliotecaria mi ha consigliato per ingannare il tempo nelle lunghe ore di volo e, soprattutto, durante gli interminabili scali negli aeroporti di Copenaghen e Oslo e sono quasi pronta a vivere questo nuovo viaggio con la curiosità di sempre.

Aeroporto di Orio al Serio

L’Accademia Carrara di Bergamo.

Anche se ieri era una giornata piovosa che non invitava certamente ad uscire di casa, con un gruppetto di amiche (quanto è difficile conciliare gli impegni e trovare una data che vada bene per tutte!), sono finalmente andate a visitare l’Accademia Carrara di Bergamo che avevo visto molti anni fa.

E’ un museo nato grazie al collezionismo di alcuni illuminati mecenati che, con i loro lasciti, hanno creato questa occasione di arricchimento per la collettività.

Le prime sale sono dedicate all’arte italiana tra Gotico e Rinascimento con un percorso che si sviluppa attraverso le opere di Mantegna, Bellini e Pisanello per concludersi con i dipinti di Botticelli e Raffaello.

La seconda parte è dedicata alla tradizione figurativa della Lombardia e del Veneto tra il quattrocento e il settecento e presenta, tra le altre, opere pregevoli di Lotto, Moroni, Baschenis e Fra Galgario.

Vi è infine una parte dedicata all’ottocento dove spicca, per la sua forza espressiva, il dipinto “Ricordo di un dolore” di Giuseppe Pelizza da Volpedo.

L’Accademia Carrara è un museo accogliente, ben illuminato, vivibile e con il personale che si fa in quattro per fornire ai visitatori tutte le informazioni necessarie per godere al meglio delle opere esposte.

E’ sicuramente un’esperienza da ripetere.

Bergamo - Accademia Carrara

Parliamo un po’ di Milano.

La mia Milano è una città particolare e per me, nata in Paolo Sarpi (oggi come allora il quartiere cinese) e cresciuta all’Isola, prima che fosse di moda, tornarci anche per poche ore è sempre una gioia.

Lascio la città del Duomo, della Galleria, del quadrilatero della moda ai turisti che la percorrono intruppati, con gli immancabili auricolari, dietro ad una guida munita di ombrello, per me tengo le viuzze poco frequentate, i giardini segreti che si offrono alla vista dei passanti come scorci pittoreschi, i palazzi liberty della zona di Porta Venezia, gli spazi metafisici del Portello.

Per me tengo una città che si lascia scoprire solo da chi ha voglia di trovarla, che si offre un po’ avara a chi ha la costanza di percorrere a piedi i suoi spazi, che non è mai banale, ma non delude mai.

Milano - Edifici Liberty

Milano - Quartiere Arcobaleno

I viaggi di un anno.

Come ogni anno, di questi tempi, Google si premura di inviarmi il resoconto dei viaggi dell’anno precedente (logicamente basato sulla geolocalizzazione che, alla faccia della privacy, tengo sempre attiva sul telefonino).

Quest’anno i puntini rossi della mappa si concentrano quasi tutti ad est: c’è il capodanno ad Atene, la navigazione lungo il Nilo fino a raggiungere Abu Simbel, il viaggio a Cracovia, forzatamente prolungato dall’annullamento del volo a causa di uno sciopero, le visita di Bucarest e infine, gli ultimi giorni del 2023 trascorsi a Vienna.

Ogni puntino mi ricorda esperienze, colori e atmosfere, ogni puntino rappresenta un prezioso aggancio della memoria e, allo stesso tempo, mi spinge a riempire la mia mappa personale di nuovi puntini, di nuove esperienze di viaggio, di nuovi incontri e di nuove conoscenze.

Hundertwasserhaus.

La Hundertwasserhaus è un complesso di case popolari ideate dall’architetto, artista ed ecologista austriaco Friedensreich Hundertwasser e progettate dall’architetto Joseph Krawina che sorge nel quartiere di Landstraße a est del centro di Vienna.

L’edificio, ultimato nel 1986, è una rappresentazione efficace di allegria e gioia di vivere, le cinquantadue unità abitative, tutte rigorosamente assegnate a famiglie meno abbienti, sono inserite in una struttura fatta di linee morbide, senza spigoli vivi con le facciate dipinte a colori vivaci e decorate con ceramiche variopinte e le terrazze arricchite da giardini pensili.

La Hundertwasserhaus, che ricorda un po’ la creatività immaginifica di Gaudì, è diventata ormai una delle attrazioni turistiche più gettonate della città.

Vienna (Austria)