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Quando se ne va un mondo.

Durante le feste di Capodanno di questo anno sfortunato ero in Romania a casa di amici carissimi e, l’ultimo giorno, poco prima di partire, i miei ospiti mi hanno accompagnato a casa di un signore che aveva trasformato la sua casa in un vero e proprio museo.

Rudolf Raab, romeno di etnia magiara, era stato, per tutta la vita, un collezionista di oggetti del passato che aveva raccolto nella sua abitazione tanto che, visitando le varie stanze, si stentava a trovare lo spazio per cucinare, mangiare e dormire, anche per un uomo che viveva da solo, ma tutte le pareti e i mobili erano occupati da oggetti suddivisi per tipo: c’erano decine di icone preziosissime, orologi, strumenti di lavoro, radio, grammofoni, suppellettili, stoviglie, sacro e profano, nuovo e antico, bello e brutto, utile e superfluo tutto esposto in un caos “ordinato”.

Adesso che quest’uomo colto e gentile non c’è più forse la sua enorme ricchezza di passato andrà perduta ed è veramente un peccato.

Questo anno infelice mi ha negato anche la possibilità di tornare a trovarlo, come avevo programmato e non ho potuto fare in estate, e mi ha rubato la gioia di ascoltare i suoi racconti.

Oradea - Casa Museo

In questo mondo di “social”

Forse moltissimi hanno avuto sentore di un fenomeno che, partito sul finire dell’estate, ha preso piede sui social in modo esagerato, parlo della signora di Mondello (non cito apposta il nome, il profilo Instagram, il videoclip pubblicato di recente) che in un’intervista, diventata poi, come si suol dire, virale, negava la presenza della pandemia.

Oggi leggo, da una parte, di reazioni scandalizzate e di richieste di rimozione dei contenuti dalle varie piattaforme, mentre dall’altra vedo un crescente interesse (commisurato sul numero dei followers) che ha fatto diventare la signora in questione un “personaggio” pubblico o, come si dice oggi, una “influencer”.

Pur non apprezzando la situazione non mi sembra utile rimuovere i contenuti dalle piattaforme perché sono consapevole che rispunterebbero altrove creando ancora più interesse, d’altra parte ritengo che tutti noi siamo liberi di scegliere cosa vedere e cosa bannare, siamo noi che decretiamo il successo e la visibilità di chi appare sui social, in poche parole possiamo anche decidere di non “cliccare”, di non mettere un “like”.

Inoltre ritengo che ciascuno abbia il diritto di cercare la visibilità e di raccogliere “followers” come meglio crede e che sta alla coscienza di chi lo fa decidere cosa e come pubblicare e se sia opportuno farlo.

In questo mondo di “social” noi abbiamo il diritto persino di essere un po’ meno “social”

Milano - Corso Como

Francesco.

Il 4 ottobre è il giorno di San Francesco, il patrono d’Italia (insieme a Santa Caterina da Siena) e, quando ero bambina, era il primo giorno di vacanza dell’anno scolastico (se si considera che la scuola iniziava il primo di ottobre si può ben comprendere quanto i miei ricordi di scuola siano gioiosi).

La nostra maestra ci aveva insegnato una breve poesia di Renzo Pezzani che certo aveva contribuito a rendermi simpatico il Santo, tra l’altro è la prima poesia che ricordo di aver imparato a memoria (e che ricordo ancora):

“A muso a muso, dentro le tue mani,
si cibaron fidenti agnelli e lupi,
timide lepri e cani.

Dai suoi alti dirupi
calò il falco rapace,
e la tortora bianca, a lui vicino,

nel grembo tuo, Francesco, trovò pace.

Chi sete avea di sangue, e il cuore
dall’odio fatto di sasso,
cercò dietro il tuo passo
le briciole del tuo amore,
e poi che ne fu sazio,
alzò verso lo spazio
azzurro gli occhi, e ritrovò il Signore.”

Non sono sicura di aver compreso, allora tutte le parole, ma sicuramente la maestra ce ne aveva spiegato il senso e il senso di quella poesia mi piaceva.

E mi piace San Francesco, un uomo di pace, di amore, il simbolo di una povertà che non è mancanza, ma ricerca di ciò che è essenziale, un santo innamorato di Cristo e abbastanza “matto” da rompere gli schemi, da rinunciare a tutto per trovare il “Tutto” che veramente conta.

E poi mi piace Assisi, la dolcezza del suo paesaggio e i silenzi che narrano ancora della presenza viva di Francesco.

Assisi Basilica di san Francesco

Compagni di viaggio.

Quando si parte per un tour non sempre è possibile scegliersi i compagni di viaggio ed è veramente gradevole trovarsi a trascorrere le giornate con persone con cui si condividono interessi, gusti e ritmi.

Nell’ultimo tour attraverso la Sicilia tutto sommato mi sono trovata in questa situazione (anche perché il gruppo, essendo composto da tre persone, era veramente minuscolo).

Durante il viaggio siamo stati accompagnati da Sebastiano, la nostra guida, che con competenza e grande attenzione ci ha aiutati a conoscere e a comprendere i luoghi, la storia e la cultura, badando sempre a metterci a nostro agio e a venire incontro e spesso a prevedere le nostre esigenze e i piccoli capricci come il caffè di metà mattina (sempre accompagnato da un dolcetto goloso).

Una delle cose che ho apprezzato tantissimo, oltre alla grande cultura e preparazione e capacità di comunicare della nostra guida, è stata l’attenzione alle piccole cose, come la scelta di fare una deviazione dal percorso stabilito per consentirci di ammirare da vicino gli scogli dei Ciclopi di Aci Trezza.

In questi tempi di lentissima ripresa dei viaggi e del turismo il lavoro delle guide (che già altrove ho raccontato come un lavoro duro) è ancora più difficile perché oltre ad accompagnare si trovano anche a rassicurare e a smussare spigoli imprevisti.

Per questo motivo ringrazio di cuore Sebastiano che ci ha accompagnato a scoprire le bellezze della sua terra con una sollecitudine quasi affettuosa.

Sicilia - Aci Trezza

Un saluto.

Oggi è mancato Philippe Daverio, storico dell’arte colto e raffinato, capace con i suoi libri e le sue trasmissioni televisive (ho adorato “Passepartout”) di svelare bellezze spesso sconosciute e preziose, capace di appassionare e far comprendere pur mantenendo sempre un linguaggio “alto” e ricercato.

Mi ha sempre affascinato per la sua grande cultura, per il sorriso con cui sapeva affrontare tematiche anche ardue, per l’incredibile abilità nel descrivere paesaggi, monumenti, quadri e sculture.

Lo ricordo alla presentazione del suo ultimo libro “Gran Tour d’Italia a piccoli passi” (per il quale, tra l’altro, mi aveva fatto il grande onore di chiedermi l’uso di una mia fotografia), con il loden di gusto mitteleuropeo e l’immancabile papillon, con l’eloquio leggero e sorridente, con l’intelligente autoironia che spesso lo caratterizzava.

La sua scomparsa è una grande perdita per il nostro paese.

Milano - Brera - Bookcity: Presentazione del libro di Philippe Daverio

Fenomenologia della coda.

Una delle conseguenze più evidenti della pandemia consiste nel fatto che, per amore o per forza, anche noi italiani abbiamo dovuto imparare a metterci in coda, ma anche in questa circostanza, regolamentata e contingentata, ho potuto osservare che, anche nel mettersi in coda, esistono diversi stili e modalità.

Ecco una breve panoramica di tipi umani che, visto che avevo tempo a disposizione, ho potuto osservare:

L’ansioso/a: si avvicina alla coda con affanno perché ha lasciato le pentole sul fuoco o nella borsa ha i surgelati che si scongelano o c’è un fantomatico aereo in partenza (che in tempo di pandemia è una gran bella scusa). Di solito procedendo a passo lesto e schiena dritta supera tutte le persone in fila che, di solito, non hanno il tempo di reagire.

Il rettile: striscia, si insinua, serpeggia. Lo senti alle tue spalle, ti distrai un attimo e lo trovi di fianco a te, distogli lo sguardo infastidito e quando guardi di nuovo lo vedi tre persone davanti a te che, con sinuose manovre, si ritrova in testa alla coda.

L’inconsapevole: Non capisce che c’è la coda, non l’ha vista, non ne conosce lo scopo, con aria confusa e un gran punto di domanda stampato in fronte, sorpassa tutti. Qualche volta mette in atto una strategia sopraffina: chiede un’informazione al primo della coda e poi resta lì. Viene voglia di strangolarlo, ma ormai è troppo lontano.

Il congiunto: vi mettete in coda tutti contenti perché davanti a voi ci sono solo cinque persone, peccato che ognuna di queste venga raggiunta da un numero ragguardevole di mogli, figli, nipoti, amici d’infanzia o, come si usa oggi, affetti stabili. E’ inutile protestare, ci vorrebbe un lanciafiamme.

L’interrogativo: si avvicina alla coda con aria smarrita, sussurra “devo solo chiedere una cosa” e sorpassa tutti. Di solito la “cosa richiesta” richiede una ventina di minuti.

Polonia - Danzica

Una scuola fatta di “persone”.

Alessio non era un mio allievo, ma ci siamo trovati subito, durante l’intervallo mi ronzava attorno e adorava infilarsi a tradimento nella mia classe, era un ragazzino pieno di interessi e passioni tra le quali quella per la geologia e i minerali, io gli avevo regalato quelli che, per me, erano solo “sassi” ed eravamo diventati amici.

Poi lui è cresciuto e io sono invecchiata, ma siamo ancora amici, quando ci incontriamo per strada o al bar ci facciamo grandi feste e condividiamo la passione per la fotografia e per il cielo.

Ogni tanto mi regala, sulla mia pagina di Facebook, qualche foto della Luna o di Venere o di qualche costellazione, foto che rivelano un grande amore per l’astronomia e una infinita pazienza.

Per questo motivo oggi, contrariamente a quello che faccio di solito, pubblicherò sul mio blog una foto non mia, ma di Alessio, una foto stupenda, tanto bella da sembrare “finta”, una foto che racconta di una grande passione, di pazienza, di sensibilità, di amicizia.

Grazie Alessio.

Foto di Alessio Ursino

Ricordo di un uomo.

Il 28 maggio 1980 veniva assassinato Walter Tobagi, giornalista impegnato, lucido scrittore, acuto accademico, ma soprattutto una persona per bene.

Aveva solo trentatré anni e io lo avevo incontrato in Università perché avevo sostenuto con lui l’esame di storia moderna (ricordo vagamente il corso su Lutero e Calvino e le implicazioni della Riforma nell’economia europea).

Per me era un insegnante di quelli che non fai fatica a seguire, una persona molto umana e accogliente durante l’esame, un uomo simpatico con cui non era difficile relazionarsi.

Ricordo la camera ardente, lo sconcerto e il dolore di quanti, anche se come me per poco, lo avevano incontrato, l’atmosfera “di piombo” di quegli anni nei quali, in città e in Università si viveva una tensione che ora è difficile comprendere e persino ricordare.

Scriveva: “Il passato è passato, ma il presente, da cui dipende strettamente il futuro, non può essere ignorato. Quest’ignoranza rappresenta un vero pericolo.

Milano - Centro

Il racconto della storia.

Spesso, alla sera, mi regalo qualche ora di relax davanti alla televisione, ma non mi appassiono a film, telefilm, talk show e talent, piuttosto preferisco cercare su Youtube le conferenze del professor Barbero (soprattutto quelle del “Festival della Mente” di Sarzana che ogni anno vede lo storico piemontese protagonista assoluto) e così trascorro un po’ di tempo appassionandomi al racconto della storia.

Il professor Barbero è uno storico preparato, competente, appassionato, capace di incatenare l’attenzione dell’ascoltatore con le sue ricostruzioni sempre puntuali e documentate, ma soprattutto capace di raccontare gli avvenimenti con uno stile accattivante e con la naturalezza di chi conosce bene ciò di cui sta parlando.

Uno dei miei interventi preferiti è quello in cui spiega l’imperatore Costantino sfatando, sulla base delle fonti, molti luoghi comuni e molte leggende.

E’ molto piacevole seguire il filo dei ragionamenti dello storico che ormai è diventato, nel mare magnum della rete, una vera e propria star e, cosa che mi affascina oltremodo, lo è diventato spiegando una materia spesso negletta e poco amata come la storia.

Seguire le sue conferenze è una buona abitudine che consiglio a molti: per imparare, per capire e; perchè no, per divertirsi perchè persino la storia, se spiegata in questo modo, può essere divertente.

Torino - Palazzo Carignano - Museo del Risorgimento

Il coraggio di testimoniare.

Alzarsi in piedi davanti alla senatrice Liliana Segre non è solo un segno di rispetto per la persona, ma anche per la sua storia e per la grande dignità con cui ha saputo, in questi anni, testimoniarla.

Liliana Segre è una grande donna e non tanto per quello che ha vissuto, ma per come ha saputo ricavarne un’occasione per renderci tutti, attraverso le sue parole, persone migliori, persone più libere.

La sua testimonianza è dura, lucida, difficile, quando parla sembra quasi che lo faccia con distacco, ma l’emotività toglierebbe verità al suo racconto, la sua testimonianza può essere scomoda, dolorosa, sconvolgente per chi ascolta, ma è inevitabilmente necessaria.

Bisogna essere persone molto molto piccole per non saper riconoscere ed apprezzare la grandezza.

Corso Magenta - Pietra d'inciampo