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Neve per l’Immacolata.

Il giorno dell’Immacolata la Valsassina si è ammantata di una lieve coperta di neve fin dalle prime ore del mattino.

Appena alzata, ancora in pigiama e con una tazza di caffè fumante tra le mani, sono restata per qualche minuto immobile davanti alla finestra ad osservare i fiocchi di neve danzare nell’aria, incantata e stupita come quando ero bambina e le nevicate mi affascinavano anche se erano uno spettacolo più abituale e spesso anche la pianura spariva sotto una coltre soffice di neve.

Cavenago di Brianza

Fare i conti con il passato.

Ieri, camminando per le vie di Moggio, il paese della Valsassina dove trascorro le mie vacanze ormai dal lontano 1960 (ma prima le trascorrevo un po’ più in basso, in un paese dal nome molto simile, sempre in Valsassina: Maggio) all’improvviso ho rivisto con gli occhi della memoria, il paese così come era tanti anni fa.

Non so dire se mi piacesse di più allora o se lo preferisco come è ora, forse mi piaceva essere una bambina, mi piaceva giocare con i miei coetanei sbucciandomi le ginocchia sui ciotoli di piazza Pradello, o tuffando le mani nell’acqua gelida del lavatoio, o correndo nell’Agro, il grande prato che oggi è tagliato da una strada e che ospita il centro sportivo.

Forse mi piaceva il fatto che allora Moggio fosse veramente “altrove” rispetto alla città che lasciavo a fine giugno per trascorrere tre mesi di vacanza (ma allora si chiamava “villeggiatura”) tra queste montagne che assicuravano avventure epiche.

Amo ancora questo paese anche se oggi è così diverso e amo ritrovare i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza che ancora sopravvivono, magari ristrutturati, ripuliti, mutati, in una “ricerca del tempo perduto” di sapore valsassinese.

Dopo sessantanni quassù non riesco ad immaginare un altro luogo dove trascorrere le vacanze, ricaricare le batterie e ritrovare me stessa.

Moggio

Tornare all’antico.

Dal 2006, per raggiungere la Valsassina, si percorre una strada molto veloce che parte da Lecco, corre lungo il Resegone e il monte Due Mani e, dopo alcune gallerie di varia lunghezza, sbocca vicino all’abitato di Ballabio.

Prima c’era la Lecco-Ballabio, una strada molto trafficata, tortuosa, che attraversa alcuni centri abitati rendendo, nei giorni di maggior traffico, la vita impossibile agli abitanti e ai passeggeri delle auto ferme in coda.

Per fortuna “le gallerie”, come molti definiscono la strada che sale in valle, avevano risolto questi problemi.

Uso volutamente il tempo del verbo al passato perchè, dallo scorso venerdì, a causa di una frana scesa proprio all’imbocco di una galleria (per pura fortuna senza provocare vittime) si deve per forza tornare all’antico, ripercorrere l’antica strada lamentandosi per il traffico, le strettoie, i tornanti.

Oggi siamo tornati a casa percorrendo la Ballabio-Lecco e, grazie ad una partenza “intelligente”, non abbiamo trovato rallentamenti, ma solo autisti non più abituati a percorrerla, freni perpetuamente in funzione, esitazioni ad ogni bivio, ma, che ci volete fare, “le gallerie” ci avevano viziato parecchio.

Ho passato molte ore del mio primo mezzo secolo di vita in coda su questa strada e sono rassegnata, ne conosco le criticità, so cosa aspettarmi e come affrontare il percorso, ma non oso immaginare come debbano sentirsi smarriti quanti si trovano, per la peima volta, ad affrontare questo ritorno a casa così faticoso.

D’altra parte la Valsassina è così bella che vale qualche piccolo sacrificio (in attesa che la strada venga riaperta presto).

Valsassina

La fabbrica dei ricordi.

Ho scaricato tutte le foto, ho ristemato gli appunti di viaggio, ho svuotato le valigie, praticamente ho archiviato questi due mesi trascorsi tra le mie montagne e il viaggio in Romania e ora posso passeggiare tranquillamente tra i miei ricordi per rivivere le immagini, i profumi e i sapori, le esperienze, le sensazioni.

Quando viaggio cerco sempre di costruirmi dei ricordi piacevoli tra i quali ritornare quando mi sento un po’ giù, quando mi annoio, quando le giornate si tingono tutte dello stesso, monotono tono di grigio.

Non si tratta semplicemente di una “operazione nostalgia”, ma del metodo tutto mio per ricaricare le batteria, per vivere sensazioni gioiose, in poche parole per stare bene.

I miei occhi, le mie orecchie, tutti i miei sensi e la mia macchiana fotografica e i miei appunti sono la mia “fabbrica dei ricordi” che è sempre in funzione, attiva, pronta a registrare anche la più piccola emozione per poi restituirmela quando torno a casa da un viaggio lungo o breve, vicino o lontano.

Bellano

Un mese di luglio poco social.

Ho trascorso quasi tutto il mese tra le mie montagne, senza accendere il portatile e dando, di tanto in tanto, un’occhiata distratta allo schermo del cellulare.

Per quasi un mese ho passeggiato, anche se anche fra questi monti le temperature sono quasi torride, camminando nelle ore più fresche ho raggiunto qualche rifugio , ho assaggiato cibi deliziosi, ho ammirato panorami stupendi, ho riposato all’ombra, ho ricaricato le batterie grazie ai ritmi lenti, al riposo, alle giornate trascorse senza guardare l’orologio e l’agenda.

Anche se, essendo in pensione, sono praticamente sempre in vacanza, questa è la vera vacanza, fatta di calma, di pensieri oziosi, di silenzi, di impegni che possono essere differiti, di programmi che si può fare a meno di rispettare.

Dopo un mese così sono quasi pronta a ripartire.

Passeggiata ai Piani di Bobbio

In quel di Moggio.

Sono scappata abbastanza definitivamente dall’afa della pianura e anche se qui non è che le temperature siano molto più basse mi sembra di rinascere anche perché l’aria è più leggera, all’ombra si respira e ogni tanto dalle montagne spira una brezza sottile che dà sollievo.

Quando ero bambina da queste parti non era mai consigliabile uscire di casa senza un maglioncino legato in vita, soprattutto alla sera, ma evidentemente i cambiamenti climatici fanno sentire il loro effetto anche qui.

Comunque Moggio mi fa sempre lo stesso effetto di quando ero bambina: mi rilasso, cammino volentieri, mi sento bene, mi riempio gli occhi di verde e le orecchie di suoni gradevoli, mi sembra di ricaricare le batterie che ormai erano in via di esaurimento.

Questo paese, queste montagne sono da sempre il mio “ricostituente” naturale.

Moggio

Con le mani.

Mi affascina, e mi ha sempre affascinato, osservare un artigiano intento al suo lavoro, mi affascina vedere le mani che creano seguendo le regole di un mestiere antico, di una sapienza tramandata e custodita con cura.

Ricordo che una volta, mentre trascorrevo alcuni giorni di vacanza in un rifugio, visitando un alpeggio a poche centinaia di metri mi imbattei in una signora che, verso sera, dopo il ritorno delle mucche dal pascolo e dopo il rito della mungitura, in una grande tinozza di rame si apprestava a lavorare il latte appena munto per produrre il taleggio che è uno dei formaggi più tipici degli alpeggi valsassinesi.

Mentre le sue mani lavoravano ripetendo i gesti che evidentemente erano abituali ci spiegava le varie fasi della produzione con parole semplici, ma con tutto l’orgoglio di chi sa fare qualcosa e sa farlo bene.

In un mondo di smart working e di tecnologia le mani che sanno creare hanno in sé una magia antica.

Val Biandino 2010

La “michetta” con la bologna.

La “michetta” è il panino vuoto (credo che si chiami “rosetta” nel resto del mondo), caratterizzato da un “cappello” centrale, il cui nome va pronunciato rigorosamente con una “ti” sola e la “e” molto, molto aperta, mentre la “bologna” nel resto del mondo si chiama “mortadella”.

La michetta con la bologna (o con la frittata, o con la cotoletta impanata fredda) è una delle cose che mi mancano di più perché la associo alle passeggiate in montagna, al pasto frugale (si fa per dire) “al sacco” nella breve sosta durante una scarpinata, annaffiato con acqua gelida attinta da una fonte lungo il sentiero.

Ho vivido nella mente il ricordo dello zaino posato a terra che si apre spandendo intorno i profumi di casa, dei panini avvolti nella carta oleata (quando ero bambina non c’era mica la pellicola trasparente), della tranquilla gioia di masticare il cibo davanti allo spettacolo delle montagne.

Mi mancano quelle passeggiate che duravano parecchie ore, da rifugio a rifugio, mi mancano i silenzi, gli spazi aperti, la sana stanchezza dopo una giornata di cammino, la notte passata in quota dove il buio è veramente buio e si vedono tutte le stelle.

Chiusa in casa, nella mia regione rossa circondata da montagne piene di neve, mi sto ammalando di nostalgia.

Val Biandino