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Ho voglia di rileggere Dostoevskij.

Forse ero troppo giovane quando ho letto “Delitto e Castigo”, forse dovrei riaprire “Memorie dal sottosuolo” e lasciarmi trasportare nel suo universo di sofferenza e mi stupisce e mi addolora che c’è chi pensi che, in nome di una insensata “damnatio memoriae” della Russia e del suo popolo, si possa rinunciare alla sua letteratura, alla sua musica, alla sua cultura.

Avvicinare un popolo attraverso le sue manifestazioni artistiche e culturali è forse il modo migliore per conoscerne i pensieri e le scelte, studiarne la storia ci permette di entrare in relazione con un mondo e questo vale non solo per il popolo russo, ma per tutti i popoli e le nazioni del pianeta.

Comprendere non significa necessariamente giustificare, ma ci consente di capire la genesi e persino di prevedere gli sviluppi degli eventi drammatici che stiamo vivendo.

Per questo ritornerò a leggere Dostoevskij, perché forse mi permetterà di leggere la realtà più e meglio di tanti articoli di giornale.

E se non sarà così, almeno avrò avuto il privilegio di accostarmi a dei capolavori.

Porto (Portogallo)

Paene insularum, Sirmio, insularumque ocelle

Così il poeta Catullo, nel carme XXXI, celebrava con affetto la sua Sirmione cantando la gioia del ritorno a casa dopo le fatiche del viaggio in Tinia e in Bitinia.

Il poeta, che probabilmente era originario della vicina Verona, definisce Sirmione “ocelle” (in senso letterale “occhietto”) quindi paragona la terra amata ad una perla o ad una gemma preziosa, incastonata nell’azzurro del lago e questo suo amore per Sirmione ha fatto sì che la grande villa romana, i cui resti sorgono sull’estremità della penisola, fosse attribuita al poeta anche se, in realtà, all’epoca della costruzione dell’edificio era già morto.

Le “Grotte di Catullo” (il nome risale al Rinascimento quando i ruderi, invasi dalla vegetazione, facevano pensare a cavità naturali) sono in realtà una grande villa, a pianta rettangolare, che occupa un’area complessiva di circa due ettari e si sviluppava su tre livelli.


L’ingresso era rivolto verso la terraferma metteva in collegamento con il piano superiore residenziale dove c’erano anche le terme, allo stesso livello si sviluppavano loggiati e terrazze scoperte fino allo spettacolare belvedere proteso sul lago.

Al centro dell’edificio c’era il giardino, circondato da un portico mentre un complesso sistema di rampe e di scale permetteva l’accesso ai piani inferiori, dove erano collocati gli ambienti di servizio e di scendere alla spiaggia.

Il lato occidentale era chiuso da un lungo criptoportico che probabilmente permetteva ai fortunati abitanti di passeggiare al riparo dalle intemperie e dalla eccessiva calura estiva.

I resti della villa con la loro imponenza, raccontano di una famiglia agiata, ci parlano di lusso, di bellezza, di un gusto per la vita e per le sue gioie che oggi pochi di noi potrebbero permettersi e non è certo un caso che l’edificio sorga proprio lì, sulla punta della penisola, con il panorama del lago spalancato davanti e gli ulivi a incorniciare le balze erbose.

Certo che i Romani non erano secondi a nessuno quando si trattava di scegliere un luogo dove trascorrere il loro tempo.

Sirmione

Una serata di musica e parole.

Ieri sera ho assistito ad un evento veramente raro: una lettura di brani danteschi (soprattutto le invettive politiche) accompagnata da un concerto di musiche del tempo di Dante suonate con strumenti del tempo di Dante (ricostruiti sulla base di dipinti e disegni dalla liuteria Sangineto) e da coreografie deliziose del gruppo “Kalenda Maya Danze”.

L’evento, organizzato dal Comune di Cavenago di Brianza in collaborazione con l’associazione “Amici della Musica” di Monza, nell’ambito della manifestazione “Ville aperte in Brianza 2021” ha rappresentato, almeno per quanto mi riguarda, uno di quei rari momenti in cui ci si sente quasi sospesi al di sopra del tempo e della vita quotidiana, in cui i pensieri di tutti i giorni sembrano svanire sullo sfondo.

La musica rievoca sonorità medievali, è una musica gioiosa che l’anima riconosce, perché si tratta di ritmi, di suoni che sono radicati dentro di noi e, quando li incontriamo, ci sentiamo “a casa e in pace”.

Le danze aggraziate e “gentili” riportano ad un passato che ha i contorni sfumati della leggenda.

E poi ci sono le parole del Sommo Poeta, parole dure, sarcastiche, a tratti violente che colpiscono per la loro incredibile contemporaneità.

E’ stata veramente una bella serata, purtroppo a causa del maltempo e delle restrizioni per la pandemia, una serata per pochi, ma è stato un felice privilegio esserci.

Cavenago di Brianza - "Caro Dante"

… e poi, Procida

L’albergo a Castellammare di Stabia è come una nave protesa sul mare e sorseggiare il primo caffè sul balcone osservando le onde non ha prezzo, ma non c’è il tempo, il traghetto per Procida ci aspetta e non è possibile immaginare quanto traffico troveremo.

Per fortuna arriviamo per tempo e ci imbarchiamo con calma, poi comincia la navigazione che costeggia Napoli e poi punta verso l’isola che, con la vicina minuscola Vivara, è forse meno turistica della più celebre Ischia, ma ha un fascino particolare con le sue case coloratissima affacciate sul mare.

Per me Procida è “l’Isola di Arturo” di Elsa Morante, che qui soggiornava spesso, è un luogo dello spirito prima che un luogo fisico, ha la magia dell’ Isola “che non c’è”, l’isola che non si può descrivere perché è fatta di emozione.

Con i taxi percorriamo le viuzze impervie fino a giungere lassù alla “Terra Murata” da dove la vista del mare e del golfo di Napoli si spalanca davanti ai nostri occhi e come doveva essere duro per chi era incarcerato nella fortezza che, in precedenza era stato il Palazzo d’Avalos, affacciarsi su quel mare che parla di bellezza e di libertà.

Procida è un dedalo di stradine, di balconi fioriti, di scorci azzurri tra le case e attende solo che la sua bellezza sia conosciuta soprattutto il prossimo anno quando sarà “Città Italiana della Cultura”.

Spero solo che l’inevitabile afflusso di turisti riesca a rispettare la tranquillità di questi luoghi.

Procida

Una vita fra i libri.

Nei miei imminenti lavori di ristrutturazione è compreso anche un parziale adeguamento dell’impianto elettrico e, visto che la cassetta di derivazione principale (quella nicchia nella parete dell’ingresso dove si raccolgono praticamente tutti i cavi elettrici di casa) si trova astutamente celata dietro una libreria, per permettere all’elettricista di fare il suo lavoro oggi ho dovuto spostare alcune decine (o forse centinaia?) di volumi che ora sono impilate in modo abbastanza caotico sul pavimento del salotto.

Nello spostare i libri (che così ho avuto anche l’opportunità di spolverare a fondo) mi sono ritrovata fra le mani pezzi della mia vita che non avevo dimenticato, ma che avevo nascosto tra le pieghe della memoria.

Ho ritrovato i testi della letteratura latina e greca (rigorosamente in lingua originale) nelle edizioni francesi (un po’ spartane) e in quelle più eleganti della Università di Oxford e Cambridge sui quali ho studiato a lungo e ho preparato la tesi di laurea.

Nello sfiorare quei libri mi sono rivista seduta al mio tavolino nell’istituto di filologia classica della Statale di Milano intenta a cercare citazioni e corrispondenza in un’epoca in cui ricercare una citazione era una faccenda seria che richiedeva ore di lettura dei “sacri testi” visto che i computer erano abbondantemente di là da venire (o, per lo meno, non erano nella disponibilità di una studentessa ) e, per leggere dei testi inviati dalla Sorbona dovevo distruggermi la vista sul lettore di microfilm.

Mi sono tornati in mente quegli anni che a me sembravano così felici, ma in realtà erano gli “anni di Piombo” e Piazza Fontana era una ferita aperta e dolorosa e si sparava per le strade e uno dei miei insegnanti più amati, il giornalista Walter Tobagi, era stato ucciso sotto casa.

Nello spostare i volumi mi sono ritrovata fra le mani le raccolte di poesie che mio marito amava tanto e tutte le sue “guide verdi” su cui abbiamo organizzato tanti viaggi attraverso l’Europa.

E poi ho ritrovato i romanzi più amati che ho letto e riletto, i libri di storia, i volumi di arte, libri immortali o libri durati solo una stagione che hanno contribuito , in molti modi, a costruire la persona che sono.

Mi sono resa conto che ho trascorso una vita in mezzo ai libri, immersa nel profumo della carta stampata, un profumo che sa di polvere e di ricordi e di passione.

Milano - Kasa dei libri

Compagno di viaggio.

Dante è un compagno di viaggio fin dalle scuole medie quando la mia insegnante di italiano, che mai smetterò di ricordare con affetto, mi fece incontrare la Commedia, non senza impegno visto che ricordo ancora a memoria i brani di Caronte e di Ulisse e del conte Ugolino.

Mi innamorai subito di Manfredi, “biondo e bello e di gentile aspetto”, fui catturata dall’intelligenza di Ulisse, mi avvicinai in punta di piedi all’amore di Paolo e Francesca che allora non potevo capire, ma che intuivo fosse un sentimento potente, capace di sopravvivere alla morte.

Poi Dante mi ha accompagnato al liceo e all’università e ogni nuovo incontro, ogni nuova lettura mi hanno donato nuove emozioni e nuova conoscenza.

Dante non è solo il padre della lingua italiana e il sommo poeta, Dante era un intellettuale di vastissima cultura e sensibilità, è un profondo conoscitore dell’animo umano e dei sentimenti che guidano le azioni dell’uomo.

A settecento anni dalla morte del poeta oggi celebriamo il Dantedì proprio nel giorno in cui, secondo gli studiosi, si collocherebbe l’inizio del viaggio nell’oltretomba, l’inizio di un racconto che per molti versi coinvolge noi tutti.

Firenze

Pioggia, una tisana, un libro.

Oggi piove come se non ci fosse un domani e non mi va di uscire di casa e non solo perché, comunque, là fuori c’è ancora la pandemia, ma perché fa freddo e l’umidità penetra nelle ossa.

A furia di stare seduta sto prendendo la forma del divano o, a scelta, il divano sta prendendo la mia forma (purtroppo è reciproco), ma dopo aver sbrigato le quattro faccende di casa, che diluisco durante la giornata per evitare di stare seduta troppo a lungo, mi resta poco da fare.

Posso scegliere tra la televisione (maratona di telefilm su Prime o Netflix) oppure un libro.

Oggi va così: una tisana alla menta profumata, il plaid sulle ginocchia (lo so che è da vecchietti, ma io sono una vecchietta e poi a stare fermi non fa caldissimo), il libro di Alberto Angela “Una giornata nell’antica Roma”, interessante e curioso e posso trascorrere il pomeriggio tranquilla.

In fondo per stare bene basta trovare ogni giorno qualcosa da fare, qualcosa da imparare, qualcosa da amare.

Lettura

“Un marziano a Roma”, ovvero l’effetto Flaiano.

In un breve racconto fantascientifico dal sapore satirico del 1954 (che ha ispirato una commedia teatrale del 1960 e un film per la televisione del 1983) Ennio Flaiano narra le vicende di un abitante di Marte che sbarca a Roma e, almeno inizialmente, viene accolto con entusiasmo, curiosità, timore e grande partecipazione emotiva da parte dei cittadini e dei media.

Con il passare del tempo il “Marziano a Roma” smette di essere una novità e, a poco a poco, i romani cominciano ad ignorarlo e poi a sbeffeggiarlo fino a quando, solo e malinconico, decide di tornare sul suo pianeta (ammesso che riesca a recuperare l’astronave che gli è stata pignorata).

Con il Covid19 è stato un po’ lo stesso: poco meno di un anno fa le prime avvisaglie della pandemia ci hanno impaurito, incuriosito, preoccupato poi, con il passare del tempo, e soprattutto con il falso ottimismo dei mesi estivi, è come se avessimo fatto l’abitudine al virus, ai numeri in crescita dei contagiati, dei ricoverati e persino dei morti.

E’ come se non ricordassimo più le file di mezzi dell’esercito che trasportavano le bare o l’angoscia dei medici e degli infermieri stremati dalla fatica.

E come se non ricordassimo più i giorni passati chiusi in casa, i balconi su cui spuntavano arcobaleni pieni di speranza, le strade e le piazze delle nostre città inesorabilmente vuote.

Non ricordiamo o forse preferiamo non ricordare perché siamo stanchi di restrizioni e, quasi inconsciamente, abbiamo deciso che il virus non fa più notizia, non ci riguarda più, non può più limitare la nostra libertà e forse speriamo che, ignorandolo, faccia come il Marziano del racconto di Flaiano e se ne torni da dove è venuto.

Temo che, purtroppo, non sia così.

Milano - Portello

L’anno di Dante.

Nel 2021 ricorre il settecentesimo anniversario della morte del Poeta e in molte parti d’Italia ci si accinge a celebrare l’evento con mostre, letture pubbliche, lezioni di illustri accademici.

Mi rendo conto che, di questi tempi, Dante possa sembrare lontano come la luna e d’altra parte quando insegnavo era abbastanza difficile convincere i ragazzi ad avvicinarsi alla Commedia senza pregiudizi poichè il linguaggio è decisamente ostico per un adolescente e l’imponenza del poema spaventa.

Ma poi, quando leggevamo insieme brani immortali come l’incontro con Paolo e Francesca o la narrazione del “folle volo” di Ulisse o la tragedia del conte Ugolino o la preghiera di San Bernardo alla Vergine si realizzava una specie di magia e Dante, all’improvviso, sembrava “interessante e moderno”.

Ho incontrato Dante, per la prima volta, alle medie e me ne sono innamorata, poi, al liceo, il programma di letteratura prevedeva la lettura integrale delle tre cantiche ed è stato allora che ho cominciato a capire veramente l’architettura raffinata dell’opera, le scelte linguistiche che, allora, erano arditissime, la complessità del sapere umano racchiusa tra i versi, la sfida delle allegorie, la bellezza senza uguali di un’opera che è il fondamento della nostra lingua.

Chi altri avrebbe potuto immaginare un verso tanto ardito come “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”?

Ho amato e amo Dante senza riserve e quest’anno mi piacerebbe tornare a Firenze per respirare l’atmosfera dove si manifestarono le sue scelte politiche, dove si perfezionò il linguaggio, dove visse passioni, amori e quotidianità.

Firenze

“Serenissime” (per chi ha voglia di leggere un libro al femminile).

“Serenissime” è un libro di Alessandro Marzo Magno che racconta la vita e le opere di dodici donne nate a Venezia che dal Medioevo ai giorni nostri, in diversi modi, hanno contribuito a rendere la loro città unica, come uniche sono state le loro storie.

Si va da Marietta Barovier, la donna che per prima ha creato le perle di vetro che oggi l’Unesco ha riconosciuto nell’elenco del Patrimonio intangibile dell’Umanità, a Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima donna laureata al mondo, dalla stilista Roberta di Camerino a Margherita Sarfatti, ispiratrice di Mussolini, per finire con Patty Pravo.

Le dodici donne che hanno primeggiato nei campi dell’arte, della cultura, della politica, della moda, della musica hanno in comune Venezia che è una città non solo bellissima, ma ricca di cultura e, nel suo luminoso passato, prodiga di opportunità.

“Serenissime” è un libro interessante, dalla lettura godibilissima, che racconta vite “vere” tanto affascinanti da sembrare un romanzo.

Venezia