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Lo stupore, nonostante tutto.

Tutti noi abbiamo visto sui libri, nelle trasmissini televisive, al cinema innumerevoli immagini delle piramidi di Giza eppure, quando ci si trova al cospetto della piramide di Cheope si resta comunque attoniti.

La grande costruzione esercita un fascino irresistibile forse a causa della sua antichità (è la più antica e l’unica arrivata ai nostri giorni delle Sette Meraviglie del Mondo Antico), forse a causa del mistero che aleggia ancora intorno alla tecnica costruttiva che ha permesso di realizzarla o forse a causa della sua forma apparentemente così semplice ed essenziale, ma perfetta.

Intorno si aggirano folle di turisti e la città con il suo caos è lì, vicinissima, eppure non è impossibile ritagliarsi un momento di quiete quasi sospesa per lasciarsi catturare dallo stupore e dall’ammirazione per questo edificio che è un muto testimone della grandezza e della incredibile abilità di uomini vissuti più di quattromila e cinquecento anni fa.

Al cospetto delle piramidi di Giza è facile scoprirsi “nani sulle spalle dei giganti”.

Giza (Egitto)

Guardando negli occhi Tutankhamon.

Il Museo Egizio del Cairo sorge in piazza Tarhir, nel cuore della città, fu fondato da Auguste Mariette ed inaugurato nel 1902 per ospitare il grandissimo numero di reperti che le autorità egiziane erano riuscite a recuperare nonostante le esportazioni selvagge dell’ottocento (oggi molti importanti reperti, tra cui le mummie dei Faraoni, sono stati trasferiti nel Museo Nazionale della Civiltà Egiziana inaugurato nel 2021).

Il Museo è ovviamente piuttosto antiquato e gli oggetti sono collocati in teche illuminate in modo non ottimale, non c’è l’aria condizionata, ma grandi ventilatori che tuttavia non riescono a mitigare il caldo delle sale piene di visitatori, ma nonostante tutto i reperti emanano un grande fascino e suscitano emozioni forti.

In una sala è conservata una buona parte del tesoro rinvenuto nella tomba di Tutankhamon (scoperta praticamente intatta da Howard Carter il 4 novembre 1922) ed è fantastico aggirarsi tra le teche dove sono conservati il trono, i canopi, gli oggetti di uso più comune come la scacchiera o i sandali, ma l’mozione più forte si prova quando, dopo avere varcato una porta laterale, ci si trova in una sala buia dove sono conservati i sarcofaghi, i gioielli più preziosi e l’incredibile maschera funeraria d’oro.

Lì, davanti alla grande maschera, così realistica, mi sono soffermata a lungo, con gli occhi fissi negli occhi del giovane re, con un misto di ammirazione e di rispetto e sono stata cantenta che fosse proibito scattare delle fotografie perché avrei avuto l’impressione, in qualche modo, di profanare il riposo del faraone.

Nel Museo ho passeggiato tra i miei sogni di bambina, ho incontrato le meraviglie che avevo visto solo grazie alle illustrazioni un po’ sbiadite dei libri di storia, ho respirato il profumo dei secoli.

Museo Egizio - Il Cairo (Egitto)

Museo Egizio - Il Cairo (Egitto)

Una nuova partenza, un nuovo viaggio.

Preparo di nuovo la valigia: questa volta si tratta di abiti leggeri, cappello, occhiali da sole mentre nel bagaglio a mano c’è già la macchina fotografica, c’è il passaporto, ci sono le mascherine (che non sono obbligatorie, ma il volo e lungo e non si sa mai).

Come sempre, quando sta per iniziare un nuovo viaggio, sono un po’ agitata, sono un po’ timorosa, ma sono anche impaziente di lanciarmi nella nuova avventura che questa volta avrà come destinazione Il Cairo.

Inutile dire che non vedo l’ora di trovarmi al cospetto delle piramidi e della Sfinge, di trovarmi in un luogo che ha alle spalle una storia millenaria, una civiltà splendida, un passato che ho tanto studiato sui libri di scuola.

Non vedo l’ora di stare nel luogo della Biblioteca di Alessandria, di un centro di cultura che purtroppo è stato distrutto, ma che per me, che ho passato la vita a leggere e tradurre i classici della letteratura greca, è come un faro luminosissimo.

Sono emozionata all’idea di trovarmi lì dove la Storia ha impresso con forza le sue orme.

In volo verso Amman

Sinaia, la perla dei Carpazi.

Sinaia è una stupenda città della Romania, si trova nel distretto di Prahova, nella regione storica della Muntenia e prende il nome dal monastero, dedicato al Monte Sinai, intorno al quale fu costruita.

Qui, tra le montagne, il re Carlo I di Romania fece costruire la sua dimora estiva, il Castello Peles e la presenza della residenza reale attirò nella zona le famiglie più ricche ed influenti del paese che arricchirono la città con ville e palazzi che ancora oggi la rendono un luogo elegante e raffinato.

Oggi la città è una popolare meta turistica, i visitatori la frequentano per gli sport invernali, per le escursioni e per i castelli di Peles e Pelisor che sorgono all’interno di uno splendido parco.

Il Castello, costruito in stile neorinascimentale tedesco, fu inaugurato nel 1833 e ospitò anche l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe.

Come simbolo della monarchia il palazzo non piaceva molto a Ceaușescu che tra il 1975 ed il 1990 fece chiudere al pubblico l’intera tenuta, ma, dopo la rivoluzione del 1989 il Castello è stato considerato patrimonio storico e culturale della nazione ed è stato aperto di nuovo ai visitatori che sono quasi mezzo milione ogni anno.

Romania - Sinaia

Romania - Sinaia

Horezu, capitale della ceramica.

Nel 2012 la ceramica di Horezu è entrata a far parte del Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’Unesco perchè si tratta di una produzione artigianale (rigorosamente fatta a mano), frutto di una lunga tradizione che si tramanda di generazione in generazione in questa piccola località romena del Nord Oltenia (Nùnel distretto di Valcea).

La produzione è tradizionalmente suddivisa in processi di fabbricazione distinti fra uomini e donne: glili uomini estraggono la terra, che viene poi pulita, impastata, mescolata e trasformata in argilla che viene lavorata dai vasai secondo tecniche personali, le donne decorano i pezzi, prima della cottura, con motivi tradizionali.

I colori vanno dalle tonalità luminose del marrone, del rosso, del verdee del blu, mentre i disegni tradizionali rappresentano il “Gallo di Hurezu”, “l’Albero della vita”, il pesce, il serpente, il sole, la coda di pavone, il fiore o il trifoglio.

Purtroppo non è raro trovare, nelle bancarelle e in alcuni negozi di souvenir, prodotti abbastanza dozzinali di dubbia provenienza che nulla hanno a che vedere con le ceramiche originali per cui è indispensabile rivolgersi alla bottega di un artigiano che garantisca oggetti di alta qualità rispettosi della tradizione.

Romania - Le ceramiche di Horezu

Curtea de Arges

Curtea de Arges è una delle più antiche città della Romania, si trova nel distretto omonimo nella regione storica della Muntenia.

Secondo la tradizione fu fondata all’inizio del XIII secolo e divenne capitale della Valacchia (da questo fatto deriva il nome di Curtea, in romeno “Corte”).

La città è famosa per il Monastero, costruito in stile bizantino tra il 1512 e 1l 1517 per volere del re Neagoe Basarab, che colpisce per i suoi elementi architettonici di ispirazione bizantina e moresca, le sue torri tortili e le cupole, per l’eleganza delle proporzioni e per l’aura di leggenda che lo circonda.

Secondo la tradizione la costruzione era instabile e ciò che veniva costruito di giorno crollava di notte, allora Manole, uno degli architetti del complesso, sognò che era necessario un sacrificio umano per garantire la stabilità all’edificio, al risveglio, insieme ai compagni di lavoro, decise che sarebbe stata uccisa la prima donna che, la mattina seguente, sarebbe venuta a portare del cibo ai lavoratori.

Tutti furono d’accordo, ma, in gran segreto, avvisarono le mogli, le figlie e le sorelle di non recarsi al cantiere e così, al mattino, arrivò solo la moglie di Manole che fu murata in una delle pareti del lato meridionale, dove una scritta sul muro ricorda la leggenda.

La sorte di Manole, tuttavia, non fu meno tragica perchè, una volta completata la costruzione, il sovrano, impressionato dalla bellezza dell’edificio, non volendo che ne fossero costruiti di simili, fece togliere le scale in modo che Manole non potesse scendere dal tetto, l’architetto si costruì delle ali di legno che, come quelle di Icaro, non gli permisero di volare e si schiantò al suolo e nel luogo dove erano cadute le sue lacrime sgorgò una sorgente oggi ricordata da una fontana.

Romania - Curtea de Arges

La Venaria Reale

L’ultima tappa del nostro breve viaggio è stata la Venaria Reale, una fra le più belle residenze dei Savoia, alle porte di Torino, entrata a far parte dal 1997 del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Carlo Emanuele II, volendo creare una reggia per la consorte, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, comprò i due piccoli villaggi di Altessano Superiore ed Inferiore dalla famiglia Birago, di origine milanese, il luogo venne in seguito ribattezzato “la Venaria” perché destinato alle attività legate alla caccia.

La reggia venne progettata nel 1658, ma i lavori si protrassero, con alterne fortune, fino alla prima metà del ‘700, in seguito, durante la dominazione napoleonica, la reggia subì diverse trasformazioni e fu utilizzata, anche dopo la Restaurazione, come caserma, funzione a cui fu adibita fino al 1978 il che causò un progressivo degrado.

«Il recupero della reggia di Venaria Reale è considerato uno dei più grandi cantieri di restauro europeo in quanto non si tratta solamente del restauro di un complesso architettonico, ma del recupero urbanistico di un intero territorio che comprende la città di Venaria, il suo centro storico, la sua viabilità, le infrastrutture, il Borgo Castello della Mandria con il suo parco, le circa 30 cascine e ville interne, il recupero di terreni abbandonati e ora riqualificati a giardini.» (Francesco Pernice, Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e direttore tecnico coordinatore dei restauri della Venaria Reale, 24 luglio 2007)

I lavori di restauro si protrassero fino al 2007 quando la Reggia fu nuovamente resa accessibile.

Oggi la Venaria è un grande complesso, circondato da uno splendido giardino, che racconta la magnificenza di un passato splendido.

La Venaria Reale (Torino)

La Palazzina di Caccia di Stupinigi

Chiamarla “palazzina” mi sembra abbastanza riduttivo visto che si tratta di un complesso di grandi dimensioni costruito per i Savoia nella prima metà del ‘700 su progetto dell’architetto Filippo Juvara e, almeno inizialmente, votato alle attività venatorie.

La residenza sorge a Stupinigi (una frazione di Nichelino, nell’hinterland di Torino) e si trova nei pressi di un primitivo castello che aveva una funzione difensiva.

Commissionata nel 1729 da Vittorio Amedeo II di Savoia non fu mai una vera e propria residenza poiché i reali risiedevano per buona parte dell’anno a Torino e nei mesi estivi preferivano Venaria e Moncallieri, mentre a Stupinigi si trattenevano per brevissimi periodi di due o tre notti.

La visita offre un susseguirsi di ambienti eleganti e riccamente decorati, con alcune sale che si rifanno al gusto orientale che andava tanto di moda nell’800, salotti raffinati ed una splendida vista sul parco e i giardini circostanti.

Oggi la Palazzina è veramente splendida anche grazie ad un lungo progetto di restauro, incominciato nel 1988 .

Palazzina di Caccia di Stupinigi (Torino)

La linea dell’Arcangelo Michele.

Secondo la tradizione l’Europa sarebbe attraversata da una linea retta, una “ley line” (una delle linee rette che toccano i punti energetici del mondo) che va dall’Irlanda al Monte Carmelo e attraversa dei luoghi dedicati al culto dell’Arcangelo Michele il quale avrebbe tracciato questa line con un colpo di spada durante il suo combattimento contro satana.

La linea parte da Skelling Michael, nel sud dell’Irlanda, e passa attraverso St. Michael’s Mount, in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele in val di Susa, il santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia, il monastero di San Michele sull’isola di Simi nel Dodecanneso, per finire in Israele presso il Santuario Stella Maris sul monte Carmelo.

Inutile dire che tutti i luoghi di culto attraversati dalla “linea Michelita” sono particolarmente suggestivi e ricchi di una atmosfera di spiritualità straordinaria.

Penso che uno dei luoghi più significativi sia la Sacra di San Michele che si trova al centro della Val di Susa sulla vetta del monte Pirchiriano e con la sua mole domina la vallata tanto che è diventata il monumento simbolo del Piemonte e, probabilmente, ha ispirato i luoghi del “Nome della Rosa” ad Umberto Eco.

La visita della Sacra non è solo un’esperienza artistica e culturale, ma è soprattutto un’esperienza spirituale che inizia dall’avvicinamento all’edificio attraverso il bosco, e prosegue con la salita, abbastanza faticosa, delle scale, soprattutto della “Scala dei Morti” che porta ad una balconata affacciata su un panorama immenso fatto di cime e di silenzi.

Quando i visitatori sono pochi (come è accaduto nel mio viaggio della scorsa settimana) ci si può soffermare con calma in prossimità dell’ingresso della chiesa, ammirare il panorama, ascoltare la voce del vento e dei propri pensieri e, in qualche modo, ritrovarsi a riflettere.

Quando la visita è finita e si torna indietro verso il parcheggio e i rumori quotidiani non si può fare a meno di voltarsi per un attimo e riassaporare quel senso di smarrimento e di pace e provare già un’acuta nostalgia.

Sacra di San Michele

Cortesia.

Nel breve viaggio appena concluso in Piemonte sono stata molto piacevolmente colpita dalla cortesia e dalla cordialità di molte delle persone che ho incontrato in albergo, nei ristoranti, nei negozi e anche per strada, persone che mi hanno fatto sentire accolta, che mi hanno fatto sentire a casa.

E’ un po’ triste rendersi conto che la cortesia è una merce rara, ma ormai va così: “per favore” e “grazie” non si usano più, i sorrisi sono rari (sarà forse per colpa delle mascherine che ci hanno nascosto il volto così a lungo) ed è un gran lusso scambiarsi parole gentili.

Davanti alla chiesetta di Sant’Antonio di Ranverso abbiamo incontrato un signore, tra quelli che stavano seduti nel parchetto a godersi il fresco, che, visto che eravamo in evidente difficoltà perché non riuscivamo ad individuare delle figure minuscole sulla facciata (anche a causa di una spiegazione abbastanza imprecisa), si è avvicinato e con grande gentilezza si è offerto di darci una mano.

Poi, evidentemente orgoglioso per la bellezza del luogo e lusingato dal nostro interesse, ci ha raccontato la storia della Precettoria, la funzione dell’Ospitaletto e delle cascine, indicandoci piccoli particolari che altrimenti ci sarebbero sfuggiti.

E’ stato piacevole trovare una persona così desiderosa di dare una mano, di accogliere.

Sant'Antonio di Ranverso