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Contro il logorio della vita moderna.

Quelli della mia generazione ricorderanno sicuramente una vecchia pubblicità, logicamente in bianco e nero, nella quale un elegante Ernesto Calindri sorseggiava un noto amaro seduto pacificamente ad un tavolino piazzato in mezzo al traffico cittadino.

Lo spot recitava “contro il logorio della vita moderna”.

Ieri mattina, anche nel mio paese, sui marciapiedi o negli angoli della piazza (per fortuna quasi completamente chiusa alla circolazione dei veicoli) sono fioriti i tavolini e gli avventori, incuranti del cielo plumbeo, si sono riappropriati del caffè servito nella tazzina di porcellana.

Immagino che nelle città invase dalle auto sarà un’impresa contemperare le esigenze di parcheggio con l’esigenza, altrettanto urgente, di occupare gli spazi all’aperto con i tavolini dei bar e ristoranti che “devono” poter riprendere la loro attività.

Da noi la situazione è certamente meno caotica e tornare a sedersi davanti ad un bar ha il sapore di una “normalità” riacquistata.

Anche questo aiuta “contro il logorio della vita col covid”

Cavenago di Brianza - Festa del Paese 2019

Fragole.

Per me le fragole sono un po’ come la mitica “madeleine” di Proust, il loro profumo ha il potere di risvegliare la memoria, di riportare il tempo perduto anche se i miei ricordi sono un po’ meno complessi di quelli evocati nella “Recherche”.

Il profumo delle fragole mi parla della mia famiglia riunita intorno alla tavola perché quando mia madre acquistava per la prima volta i frutti di stagione (che quando ero bambina erano solo di stagione) avevamo l’usanza di assaggiarli a cena tutti insieme, era una specie di rito a cui non avremmo rinunciato.

E poi c’erano le fragole di bosco che andavamo a raccogliere d’estate, facendo a gara a trovarle lungo i sentieri, le fragole profumate e coloratissime che non arrivavano mai sulla nostra tavola perché, strada facendo, riuscivamo a mangiarle tutte.

Oggi ho l’impressione che le fragole siano molto più grandi e colorate di un tempo e soprattutto che compaiano in tutti i mesi dell’anno, ma mi sembra anche che il profumo e il sapore non siano neppure paragonabili con le sensazioni che ricordo.

Ma forse non è cambiato il sapore delle fragole, forse sono cambiata io o forse la dolcezza che ricordo non è quella dei frutti, ma quella di un’infanzia felice.

Fragole

Pioggia, una tisana, un libro.

Oggi piove come se non ci fosse un domani e non mi va di uscire di casa e non solo perché, comunque, là fuori c’è ancora la pandemia, ma perché fa freddo e l’umidità penetra nelle ossa.

A furia di stare seduta sto prendendo la forma del divano o, a scelta, il divano sta prendendo la mia forma (purtroppo è reciproco), ma dopo aver sbrigato le quattro faccende di casa, che diluisco durante la giornata per evitare di stare seduta troppo a lungo, mi resta poco da fare.

Posso scegliere tra la televisione (maratona di telefilm su Prime o Netflix) oppure un libro.

Oggi va così: una tisana alla menta profumata, il plaid sulle ginocchia (lo so che è da vecchietti, ma io sono una vecchietta e poi a stare fermi non fa caldissimo), il libro di Alberto Angela “Una giornata nell’antica Roma”, interessante e curioso e posso trascorrere il pomeriggio tranquilla.

In fondo per stare bene basta trovare ogni giorno qualcosa da fare, qualcosa da imparare, qualcosa da amare.

Lettura

Sedent, sbruient e per nient.

“Sedent, sbruient e per nient” sono le caratteristiche del buon caffé, almeno così ripeteva mia nonna e chi sono io per contraddirla?

L’espressione dialettale significa che il caffè deve essere consumato stando seduti ad un tavolino, deve essere bollente e, se possibile, deve essere offerto da un amico, ma va bene anche un conoscente, l’importante è che sia gratis.

Chissà cosa avrebbe detto mia nonna, che pure aveva vissuto la pandemia di spagnola, vedendomi prendere un caffè al bar in un bicchierino di carta e berlo per strada, continuando a camminare?

Ma in tempo di zone rosse e arancioni se si vuole bere un caffè bisogna rassegnarsi all’asporto.

Da lunedì la Lombardia è ridiventata gialla e così sono tornata a bere il caffè seduta ad un tavolino (per estrema cautela all’aperto e rigorosamente da sola), ma è stato comunque piacevole, anche se fa un freddo cane, ripetere il mio rito mattutino: caffè, sigaretta e un’occhiata al giornale (online).

E’ un piccolo rito, forse non indispensabile, ma sa di “normalità”.

caffè

Con le mani.

Mi affascina, e mi ha sempre affascinato, osservare un artigiano intento al suo lavoro, mi affascina vedere le mani che creano seguendo le regole di un mestiere antico, di una sapienza tramandata e custodita con cura.

Ricordo che una volta, mentre trascorrevo alcuni giorni di vacanza in un rifugio, visitando un alpeggio a poche centinaia di metri mi imbattei in una signora che, verso sera, dopo il ritorno delle mucche dal pascolo e dopo il rito della mungitura, in una grande tinozza di rame si apprestava a lavorare il latte appena munto per produrre il taleggio che è uno dei formaggi più tipici degli alpeggi valsassinesi.

Mentre le sue mani lavoravano ripetendo i gesti che evidentemente erano abituali ci spiegava le varie fasi della produzione con parole semplici, ma con tutto l’orgoglio di chi sa fare qualcosa e sa farlo bene.

In un mondo di smart working e di tecnologia le mani che sanno creare hanno in sé una magia antica.

Val Biandino 2010

E’ tornato il tempo delle coccole.

Che ci volete fare? Con il nuovo lockdown (definito “soft” anche se non mi pare troppo soft) sono tornata a chiudermi in casa e quindi, avendo più tempo a disposizione, trovo naturale dedicarmi alla cucina o anche, più semplicemente, a spalancare il frigo in cerca di qualcosa di confortante (e, naturalmente, ipercalorico).

Come in primavera la mia casa è diventata nuovamente la meta preferita di una piccola folla di corrieri che portano vino dalle Langhe, l’olio dalla Riviera Ligure, tè (e Christmas Pudding e lemon curd) direttamente da Londra e gli inimitabili salumi da Norcia.

Apro le scatole consegnate dai corrieri e per la casa si spandono profumi che mettono allegria ed è proprio di allegria che abbiamo bisogno in questo momento e di piccole gioie che rendano meno pesante lo stare in casa e attenuino il dolore per le brutte notizie che, attraverso la stampa e i telegiornali, si affollano intorno come ombre oscure.

Certamente nulla può cancellare l’angoscia di questi tempi difficili e il timore e il dispiacere, ma se è possibile fa bene cercare anche un po’ di conforto in tutto ciò che può migliorare le nostre giornate.

Il ritorno di “Masterchef”.

A pochissimi giorni dalla proclamazione della zona rossa ci siamo ritrovati più o meno chiusi in casa senza poter uscire (tranne che per comprovate ragioni di salute, lavoro e necessità) anche se possiamo andare a fare la spesa o a fare una corsetta al parco o portar fuori il cane.

Inoltre alla sera scatta il coprifuoco, cosa che non succedeva dal luglio del 1943, ma allora sulle nostre città, soprattutto Milano, cadevano le bombe, e il coprifuoco ha prodotto l’effetto che le poche persone che girano in paese di giorno scompaiono come per magia al calar delle tenebre (o giù di lì).

E quindi siamo chiusi in casa e visto che non fa abbastanza caldo per stare sui balconi ci consoliamo con la cucina e così sui social ricominciano a comparire piatti fantasiosi e succulenti degni di una riedizione tutta domestica di “Masterchef”.

Dobbiamo però fare attenzione considerato che nei mesi invernali già si tende ad aumentare di peso e poi sono in agguato le festività di fine anno che, visto che probabilmente dovremo trascorrere soli soletti, porteranno ad una super produzione di leccornie dal vago sapore consolatorio.

Non so se chi pubblica le foto dei propri piatti lo faccia per condividere un’emozione o per suscitare le più basse invidie, so solo che ogni volta la mia glicemia e il colesterolo vanno fuori scala.

Cinghiale e castagne.

E fu così che presi un chilo.

Durante un tour in Sicilia è quasi inevitabile scordarsi della linea perché, anche se si cammina, è praticamente impossibile smaltire le calorie proditoriamente interiorizzate a tavola.

D’altra parte anche conoscere (… e apprezzare) la cucina di una regione e di un popolo è un modo, decisamente molto piacevole, per comprenderne la cultura, le tradizioni e la storia.

In Sicilia si viene poi tentati a tradimento da una incredibile varietà di dolci, molti dei quali a base di ricotta, miele, mandorle e pistacchio che arrivano in tavola, magari alla fine di un pasto abbondante, o come accompagnamento della pausa caffè mattutina.

Ho assaggiato cannoli, cassatine (le mitiche “minne di Sant’Agata”), granite di mandorle o gelsi accompagnate rigorosamente da una brioche tiepida, cassatelle di ricotta, semifreddi di mandorle e pistacchi profumatissimi, scorze d’arancia candite e così ho dovuto fare i conti con la bilancia, ma pazienza, i dolci siciliani sono veramente una delizia per gli occhi e per il palato.

Nella pasticceria siciliana c’è un incredibile connubio tra la tradizione contadina, la raffinata tradizione monastica e la tradizione araba che introdusse in Sicilia ingredienti quali il pistacchio, la cannella, la pasta di mandorle, lo zucchero ed il miele e da questo incontro di mondi e di storie nascono dei dolci che si possono amare o odiare (conosco gente che odia la pasta di mandorle, ma tutti i gusti son gusti), ma non lasciano certo indifferenti.

Catania - Dolcezze

La sera prima di partire

L’ultimo giorno di vacanza in montagna è generalmente dedicato alle grandi pulizie e alla preparazione dei bagagli (quest’anno favoriti dal monsone estivo che si è scatenato tra i monti e mi ha tolto ogni pur remoto desiderio di mettere il naso fuori di casa).

Alla fine della giornata, con la casa tirata a lucido e il frigo vuoto non si può fare altro che mangiare un pasto frugale (si fa per dire) al ristorante (sì lo so: è una scusa pietosa).

Approfittando di una breve tregua del fortunale scendiamo, bardati di tutto punto e muniti di ombrelli, al paese sotto per una cena al “San Martino” che, di solito, al sabato sera, propone menù decisamente interessanti.

Veniamo accolti come sempre con gentilezza e con “l’omaggio dello chef” che consiste in un poco di polenta con una fetta di cotechino e spinaci saltati.

Ma il piatto forte è un risotto alla milanese con ossobuco che mi rincuora dopo le fatiche e il maltempo della giornata.

Il vino (sempre buono) scorre, i piatti si svuotano anche troppo rapidamente e non resta che concludere la cena con una fetta dell’insuperabile strudel della casa accompagnato dal gelato.

Mentre sorseggiamo il caffè e ci prepariamo a risalire verso casa, un po’ appesantiti, ma contenti, la mente corre già all’indomani, alla partenza, al ritorno a casa.

E per fortuna che il tempo è davvero brutto e fa freddo, altrimenti la nostalgia la farebbe da padrona.

Cassina Valsassina

Il primo caffè.

Era dal 23 febbraio che non bevevo un caffè al bar e mi ero ripromessa di non cedere alla tentazione dell’ asporto (mi siedo al tavolino persino da Starbucks, il che è tutto dire), ma dopo centinaia di caffè fatti in casa e bevuti sul balcone, non ce l’ho fatta più.

Sono entrata in un bar, rigorosamente da sola dopo aver disinfettato le mani, ho ordinato il mio espresso, ho atteso disciplinatamente nell’area adibita al ritiro ben lontana dal bancone, ho posato il denaro, ho ritirato il mio caffè e sono uscita all’esterno, per berlo in assoluta solitudine e in gran fretta.

Mi rattrista un po’ sorbire l’aromatica bevanda in piedi (come i cavalli), scottandomi le labbra per non restare troppo tempo senza la mascherina, in un bicchierino usa e getta dall’aria dimessa, ma, per lo meno, il profumo c’è, il sapore c’è e c’è, soprattutto, il gusto di una parzialissima “normalità” recuperata.

Il caffè nel bicchierino di carta è solo un primo passo, piccolo e difficile come piccole e difficili sono tutte le libertà che mi sono concessa in questi giorni: una passeggiata al parco nelle prime ore del pomeriggio (quando non c’è nessuno), una puntata in tintoria per portare a lavare i giacconi invernali, l’acquisto di un vaso di fiori, una breve visita in chiesa e al cimitero.

Sono piccole libertà, ma dopo tanti giorni “ai domiciliari” sono come tornare a vivere.

Caffè