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La bellezza nascosta.

Capita così, quasi per caso,  che il cielo, dopo una lunga giornata piovosa, si spezzi in squarci di azzurro strappati al grigiore e allora è bello camminare con il naso all’insù in cerca di frammenti di luce.

Capita così, quasi per caso, che all’improvviso gli occhi sfiorino dei rami secchi, ancora invernali, che su quei fazzoletti di azzurro disegnano trame sottili ed eleganti e ci si ferma un attimo  attoniti, stupiti dalla semplice bellezza della natura e grati per il dono della grazia che rallegra la vista e il cuore.

Oggi mi sono fermata per un attimo ad ammirare l’armonia di quel disegno che risvegliava in me ricordi di acquarelli orientali.

Ogni tanto fa bene cercare un po’ di bellezza e trovarla.

Rami

Niente selfie.

Sono tornata ad Auschwitz dopo tanti anni, con un gruppo di italiani giovani e meno giovani, accompagnati da una signora molto competente ed emotivamente coinvolta che ci ha guidati con delicatezza ed attenzione attraverso la più incredibile testimonianza della follia e della malvagità umane.

Mentre scivolavamo, quasi in punta di piedi, tra le sale del museo e lungo i binari di Birkenau sul gruppo è sceso un silenzio compunto e pesante: a nessuno veniva voglia di sorridere e neppure di parlare, se non sottovoce.

Quello che mi ha stupito di più è stato il fatto che a nessuno passasse per la mente di scattarsi un selfie, anzi i telefonini e le fotocamere uscivano dalle borse con discrezione, quasi che tutti fossero presi da un nuovo, sconosciuto pudore di fronte a tanto orrore, di fronte ai mucchi di scarpe, occhiali, valigie muti testimoni della tragedia.

Auschwitz - Birkenau

Auschwitz - Birkenau

Auschwitz - Birkenau

 

Di acqua, di terra, di cielo.

In prima, dove insegno geografia, stiamo studiando gli elementi del paesaggio, montagne, mari, pianure si avvicendano sulle pagine del libro dove le immagini non sono sempre significative.

Quando arriviamo ad affrontare i fiumi osservo le fotografie, un po’ “piatte” del nostro libro e mi chiedo come risvegliare l’interesse un po’ sonnolento dei ragazzini: in fondo però è facile per noi che viviamo in Lombardia che è una terra di acque e di cielo, quel cielo “così bello quand’è bello” come scriveva il Manzoni, innamorato anche lui di questi luoghi.

Scelgo qualche fotografie tra quelle che ho scattato passeggiando lungo l’Adda e il canale della Martesana e le proietto sulla lim e posso spiegare la lezione mentre scorrono le immagini dei “Tre Corni” così cari a Leonardo e delle rapide, il traghetto di Imbersago che scivola leggero sul filo della corrente, i ponti arditi come quello di San Michele, le chiuse e le dighe a palizzate.

L’interesse dei ragazzi si risveglia anche perchè, di colpo, le nozioni un po’ astratte del libro diventano vive: molti di loro hanno percorso il corso dell’Adda durante qualche gita domenicale con le famiglie ed ora ritrovano i luoghi che avevano osservato forse distrattamente e scoprono di sapere molte cose che non credevano di sapere.

E’ sempre bello riuscire ad agganciare il libro alla loro esperienza.

Lungo l'Adda tra Porto e Paderno

Un mese dopo.

E’ passato quasi un mese dalla fine delle vacanze, poco più di un mese dal mio ritorno a casa dopo il viaggio, veloce, ma intenso, in Marocco e i miei occhi hanno perso l’impressione di quella luce, il mio naso ha dimenticato i profumi, gli aromi, gli odori pungenti della Medina, le mie orecchie non ricordano più i suoni e la mia pelle non riuscirebbe più a sopportare la vampa violenta del sole.

I ricordi piano piano si affievoliscono, impastati in un unico grande affresco dove i contorni perdono la loro definizione e quei colori sfumano in questi colori che sono meno intensi, meno luminosi, e mi rendo conto che se non avessi le mie fotografie, i miei ganci per la memoria, a poco a poco le immagini di quel mondo tanto lontano dal mio mondo finirebbero per essere inghiottite dai paesaggi usuali della quotidianità.

Scorro le mie immagini e le sensazioni tornano intatte, rivedo le strade dritte che tagliano la pianura dai colori violenti, rivedo le onde lunghe dell’Oceano, rivedo le architetture eleganti e insieme alle immagini tornano, in un attimo, i colori, gli odori, i sapori e mi afferra una sottile nostalgia.

Verso Casablanca (Marocco)

Marocco - Attraverso il Medio Atlante

La valigia.

Quando devo affrontare un viaggio un po’ più impegnativo di una fuga per un week end di solito uso una valigia molto leggera dall’improbabile colore dorato, improbabile, ma utile quando devo aspettare in aeroporto perchè sul nastro trasportatore la mia valigia si distingue a grandi distanze fra le molte di colore più anonimo (a meno che non si sia imbarcata per ignoti lidi, ignoti e comunque diversi dai miei).

Non mi piace molto preparare i bagagli, ma è un male necessario se si vuole viaggiare e cerco di rimandare il momento fino all’ultimo, ammucchiando vicino alla valigia tutto ciò che potrebbe servirmi, ben diviso tra ciò che viaggerà nella stiva e ciò che verrà a bordo con me.

Vivo nel terrore di superare il peso consentito e così le operazioni di imballaggio sono punteggiate di dubbi di ripensamenti e di incertezze.

Guardo perplessa il cavalletto della macchina fotografica, pesante e un po’ minaccioso, e mi chiedo se sia il caso di lasciarlo a casa salvo poi pentirmi di non averlo con me quando vedrò la luna spuntare dietro un minareto nel cuore del Marocco.

Poi alla fine decido che è meglio avere un cavalletto in più e qualche maglietta in meno.

Tra calcoli algebrici e calcoli delle probabilità la valigia finalmente è pronta….

… è quasi ora di partire.

Verso Istanbul

Con altri occhi.

Chi mi conosce sa che spesso nella mia borsetta (borsetta si fa per dire, visto che  potrebbe ricordare una piccola valigia )  c’è la macchina fotografica, pronta a catturare immagini e impressioni, pronta a trattenere emozioni e ricordi.

Mi piace viaggiare, mi piace osservare, ma spesso faccio fatica a ripescare nella memoria i dettagli di ciò che vedo e in questo caso la mia macchina fotografica diventa un altro paio di occhi, occhi attenti, sicuri, che fissano le forme e le luci e me le restituiscono intatte restituendomi, allo stesso tempo, le emozioni, le sensazioni, i profumi, i suoni.

Quando a distanza di tempo rivedo le mie fotografie ritrovo i ricordi tutti interi, riprovo sulla pelle il caldo torrido di Efeso, ritrovo  il respiro affannoso e il senso di leggero stordimento dei tremila e quattrocento metri di Punta Helbronner, l’aria frizzante del Passo dello Stelvio, gli odori di Venezia, il profumo di resina di una pineta in Val Pusteria, il sapore di un cibo, la freschezza dell’acqua di un torrente, la musica un po’ malinconica di un violino a Colmar.

E ritrovo le parole, le risate, gli incanti. i sogni, i piccoli gesti che sembravano dimenticati.

E’ un po’ come avere occhi più potenti, occhi capaci di lavorare per tutti gli altri sensi, quelli che nelle immagini non compaiono, occhi della memoria, occhi del cuore.

Per questo la mia macchina fotografica, nonostante il peso non indifferente, è sempre con me.

Piani di Artavaggio - Marzo 2016

Nonni in guerra.

Qualche tempo fa la foto del nonno, in partenza per la guerra di Corea, pubblicata dal nipote su un social network è diventata virale e, in breve tempo, molti hanno iniziato a cercare e a pubblicare gli scatti di giovani militari in partenza per il fronte (di questa o di quella guerra).

Si tratta di foto quasi “ufficiali”, con divise tirate a lucido e sorrisi un po’ di circostanza, foto scattate spesso per lasciare un ricordo ai familiari o alla fidanzata che restava a casa, in attesa del ritorno, foto malinconicamente simili a quelle che ritraggono i nostri soldati, prima di partire per la Grande Guerra, ripresi a figura intera, in divisa, con l’aria virilmente assorta e seria e lo sguardo che guarda lontano.

Sono andata a rovistare tra le centinaia di foto, ormai d’epoca, della mia famiglia, ma non ce ne sono che ritraggano mio padre prima della partenza: la famiglia di mio padre era abbastanza povera e numerosa e sicuramente non si “sprecavano” i pochi soldi da un fotografo.

Ho trovato però le immagini scattate in Libia, prima che mio padre venisse catturato dagli inglesi e sbattuto in Sudafrica, immagini presumibilmente riprese da qualche commilitone, immagini non “ufficiali”, in nessun modo animate da spirito virilmente bellicoso, immagini che, se non fosse per la divisa (decisamente inadeguata peraltro), potrebbero sembrare il ricordo di una scampagnata: mio padre è quasi sempre sorridente, con il sorriso un po’ incosciente dei vent’anni, appoggiato ad una palma, o seduto su di una bomba, lontano mille miglia dallo spirito militaresco che infiammava quegli anni.

Guardo il ragazzino che era e mi sento piena di nostalgia.

LIBIA1

Paesaggio lunare.

Molti descrivono così la Cappadocia, per il colore delle sue formazioni geologiche di tufo calcareo scolpite da secoli di erosioni, con cui l’uomo ha imparato a convivere creando, nella roccia, insediamenti dall’aspetto fiabesco, piccole chiese rupestri, città sotterranee.

Volare all’alba nel cielo silenzioso della Cappadocia in mongolfiera è un’esperienza emozionante, ma anche camminare tra le torri di tufo sormontate da massi quasi in bilico, i camini delle fate, dà la sensazione di muoversi in uno spazio magico, fuori dal tempo, uno spazio nel quale forze incredibili (verrebbe da dire sovrannaturali)  hanno modellato il paesaggio rendendolo la meraviglia che appare oggi ai nostri occhi.

E’ un paesaggio mutevole, in cui la natura sembra in continuo divenire, in cui si ha la sensazione che l’espressione “saldo come una roccia” sia poco più che un luogo comune che male si applica a queste rocce in particolare.

E’ un luogo unico che parla di storie remote, di fiabe, di sogni.

Göreme (Turchia)