Archivi categoria: ecco perché mi lamento

Se avessero avuto lo smartphone….

Si è adirato e non poco Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, nei confronti di coloro che visitano i luoghi devastati dal sisma e immortalano l’evento con un selfie.

Purtroppo il “turismo della tragedia” si è allargato a macchia d’olio dai tempi del delitto di Cogne con frotte di curiosi che si aggiravano attorno alla villetta, così come davanti al celebre cancello della casa di Avetrana, con gite turistiche davanti alla Concordia semi affondata o fra le macerie dei borghi devastati dai terremoti degli ultimi anni.

E’ naturale, di conseguenza, che i viaggiatori dell’orrore e del dolore si scattino un selfie a testimonianza di un inaccettabile “c’ero anch’io”, quasi a voler entrare a far parte della notizia, quasi per riceverne, di riflesso, un bagliore di notorietà.

Se la moda di scattarsi un selfie davanti ai monumenti è un po’ ridicola, mettersi in posa, con la bocca a cuore, davanti ai resti di una tragedia è indice di grande superficialità e insensibilità.

Ogni tanto penso, con un po’ di sconforto, a cosa avrebbero potuto fare i passeggeri delle scialuppe di salvataggio del Titanic se avessero avuto in tasca uno smartphone.

Bergeggi (ottobre 2011)

Se l’asino vola.

Lo scrivevo proprio pochi giorni fa reduce da una discussione con alcuni amici incontrati per strada e oggi il problema si ripropone in tutta la sua urgenza.

La Presidente della Camera Laura Boldrini, che ormai è un bersaglio preferenziale della demenza dei social network, denuncia l’ennesima “bufala” a proposito  della sorella che avrebbe lucrato sui migranti e che sarebbe andata in pensione giovanissima.

Che la sorella dell’onorevole Boldrini sia morta anni fa per malattia e che svolgesse una professione diversa non importa a nessuno, che infangare la sua memoria provochi dolore è secondario, quello che conta è indignarsi e rovesciare veleno (e magari guadagnarsi qualche migliaio di like e di condivisioni) e sentirsi  persone che stanno dalla parte “giusta” in un crescendo di malvagità e violenza verbale che fa spavento.

Oggi su Repubblica è comparsa la costernata difesa di un lettore che si dichiara indifeso di fronte al dilagare di notizie false, eppure sarebbe bastato verificare un po’ prima di dare sfogo alla propria indignazione.

Se ci dicono che “l’asino vola” non è indispensabile crederci, a volte basta alzare lo sguardo al cielo, a volte basta un briciolo di senso critico.

Milano - Celebrazione del XXV Aprile

Ladri di passato.

Mosul, la città irachena sulle sponde del Tigri, sorge nei pressi del sito dell’antica Ninive, che divenne capitale dell’Impero Assiro durante il Regno di Sennacherib, era una grande e bella città, protetta da mure imponenti di dodici chilometri e fu ampliata e arricchita di monumenti fino alla sua caduta, ad opera dei Medi, caduta che determinò la decadenza  inarrestabile degli Assiri.

Il Museo archeologico di Mosul era uno scrigno di grandi tesori che testimoniavano la grandezza dell’antica capitale e che oggi sono ridotti a pochi resti perchè i miliziani del sedicente stato islamico hanno distrutto tutto ciò che non hanno rubato per poi rivendere i reperti più preziosi sul mercato clandestino allo scopo di finanziare le azioni militari intraprese dal califfato.

I reporter, che sono riusciti ad entrare nel Museo dopo la riconquista di Mosul da parte delle truppe regolari, raccontano queste devastazioni, raccontano della stupidità di queste “gloriose” imprese, raccontano del desolante furto di passato che ha danneggiato tutti noi, che ha impoverito la memoria di tutta l’umanità.

Il mio amore per la storia e per il passato mi impedisce di perdonare chi ha perpetrato queste nefandezze e di comprendere chi, acquistando i reperti che appartenevano a tutti i noi, si è macchiato di complicità con la barbarie.

Ankara

Le gioie del week end.

Anche se amo il mio lavoro aspetto il sabato come una boccata d’aria, mi piace alzarmi un po’ più tardi, fare colazione con calma e poi uscire di casa, fare un giro al mercato, magari fare quattro chiacchiere con qualche amica bevendo un caffè al bar.

Mi piace l’atmosfera di relax, un po’ da “Sabato del villaggio”, mi piace la piccola gioia del giorno che non è ancora di festa, ma che è già quasi festa, mi piace preoccuparmi della casa e della cucina senza dover per forza correre da una parte all’altra come una trottola.

Mi sarebbe piaciuto sicuramente di più se ieri, al mio risveglio, non avessi trovato la cucina allagata.

Mentre cercavo di capire  quale guasto avesse provocato l’ondata di marea mi sono accorta che l’acqua gocciolava allegramente dal lampadario della cucina.

Sono andata in panico perchè, mentre posso cercare di gestire un disastro in proprio, mi trovo completamente spiazzata se il problema viene dall’appartamento del piano di sopra (tra l’altro momentaneamente vuoto).

E così il mio giorno di relax è iniziato con l’affannosa ricerca della  custode delle chiavi, dopo aver coinvolto un numero impressionante di vicini strappati alla quieta serenità delle otto del mattino, seguita dall’altrettanto affannosa ricerca del guasto (rivelatosi poi uno squarcio nel termosifone).

La giornata è quindi proseguita con la raccolta delle acque, accompagnata da un incessante quanto impietoso stillicidio dal lampadario (prontamente rimosso per evitare un corto circuito).

Ad un certo punto, infastidita dal rumore del gocciolamento continuo sono andata a fare un giro dopo aver disposto per tutto il pavimento un numero imprecisato di catini e bacinelle.

Alla sera la pioggia si è conclusa, ma in cucina è rimasto un odore di muro bagnato quasi insopportabile.

Quasi quasi è meglio tornare a lavorare.

Trezzo sull'Adda - acqua

Tutto apposto e niente a posto.

Mi piacerebbe sapere da che parte è uscito questo “apposto” (nel senso di “tutto bene”) che ormai imperversa nei social network, e da lì si insinua nei temi dei miei ragazzi, senza alcuna pietà e senza alcun riguardo per la lingua italiana.

“Come stai?”

“Tutto apposto”

… e invariabilmente a me viene l’orticaria.

Avviso ai naviganti:

“Apposto” è il participio passato del verbo “apporre” (aggiungere, applicare) usato, per esempio, nella frase “Ho apposto la firma in calce al documento).

Se vogliamo dire che va tutto bene basta scrivere (e dire) “A posto”…

…. per pietà senza l’h.

Ne basta uno…

Sembra incredibile, ma a volte basta una sola persona disattenta, poco rispettosa o, più semplicemente, maleducata per creare problemi e disagi ad un sacco di persone.

Basta, per esempio, che qualcuno decida di parcheggiare un suv in modo da ingombrare con la mole del veicolo (rigorosamente munito di quattro frecce lampeggianti) le rotaie del tram dalle parti del Cordusio per creare non pochi disagi a qualche centinaio di persone.

Mentre i tram che, da parecchie direzioni, viaggiano verso il centro rallentano e si fermano inesorabilmente incolonnati, le porte si aprono e i passeggeri si affacciano chiedendosi che cosa diavolo abbia bloccato il traffico, poi vedono il suv posizionato lustro e trionfante sulle rotaie e si rassegnano a scendere e proseguire a piedi, dopo aver opportunamente maledetto l’incauto autista.

Via via che i tram si incolonnano in una lunghissima fila che blocca anche taxi e auto private le notizie arrivano più frammentarie e rarefatte agli ignari passeggeri e, a qualche centinaio di metri dall’origine dell’ingorgo, si favoleggia di mostruosi incidenti, attentati e quant’altro.

Tutti sono arrabbiati, nervosi, infreddoliti, percorrono il marciapiedi fiancheggiando la lunga teoria di tram e quando arrivano al veicolo incriminato si abbandonano a colorite invettive, augurando tutto il male possibile o almeno una multa di proporzioni stratosferiche al proprietario del suv che continua ad essere  latitante.

Forse basterebbe un po’ di attenzione e di rispetto in più.

Milano - Luci di Natale

Quei due minuti d’odio.

Nel suo romanzo per certi versi  lucidamente profetico, 1984, George Orwell racconta di una pratica collettiva, “i due minuti d’odio” che consiste nel raccogliere “spontaneamente” i cittadini davanti ad uno schermo perché inveiscano violentemente contro il nemico, la pratica ha la doppia valenza di coagulare i sentimenti di avversione nei confronti dell’avversario politico, che diventa un vero e proprio “capro espiatorio” e di dare libero sfogo all’aggressività dei cittadini.

In questi giorni, scorrendo alcuni commenti sui social network, mi sono resa conto che la visione di Orwell in fondo era quasi rosea e ottimista: leggo frasi di una violenza estrema nei confronti di politici, di personaggi pubblici, di persone meno pubbliche, di chi viene considerato “diverso” o “scomodo”, mi rendo conto di una veemenza degna di miglior causa, scatenata, talora, da notizie incontrollate che cominciano a girare come una “catena di Sant’Antonio” avvelenata.

Così, di volta in volta, mutano gli oggetti  dello sdegno, della riprovazione, dell’ira, ma le modalità di tali manifestazioni si ripetono come una sorda eco che, talvolta, sembra sopirsi per rispuntare, magari a distanza di tempo, con rinnovata energia, parole usate come una lama tagliente che affonda nella mente .

In fondo agli abitanti di Oceania bastano due minuti per ritrovare la serenità.

Bellusco - Castello Da Corte

Allarme bomba.

Gira sui social, ma anche ormai a livello di chiacchiere da bar, la storia della ragazza (di solito cugina, nipote, sorella di un parente di un collega di lavoro) che, per strada, vede un “arabo” perdere il portafoglio, lo raccoglie e lo restituisce al legittimo proprietario il quale, per sdebitarsi, consiglia alla giovane di non salire sul metrò il primo maggio (guarda caso proprio il giorno dell’apertura di Expo 2015).

Questa storia mi è stata raccontata da alcune persone che, a loro volta, l’hanno ascoltata da un amico a sua volta parente più o meno stretto della ragazza in questione.

Ora i casi sono due: o la ragazza fa parte di una famiglia patriarcale con un numero spropositato di cugini, zii, cognati e consanguinei vari, o gli arabi distratti che perdono il portafoglio (e che sono a conoscenza  di tutti gli attentati in preparazione) sono veramente troppi perchè il segreto possa essere mantenuto a lungo.

Per inciso una storia analoga circolava anche nel maggio 2011 (si vede che maggio è un mese propizio per gli attentati).

Comunque non è il caso di continuare a diffondere queste “leggende metropolitane” che creano ansie, allarmismi e timori ingiustificati (oltre a distogliere dal loro lavoro le persone preposte a garantire la sicurezza).

Milano metrò
 

Pescatori e reti.

Oggi mi è arrivata una mail dal contenuto sibillino (oltre che atrocemente sgrammaticato):

“Il vostro pacchetto con il codice di spedizione 78373784 è arrivato al 24 febbraio 2015. Corriere non ha espresso un pacco per te. Stampare l’etichetta di spedizione e mostrarlo in ufficio postale più vicino per ottenere il pacchetto.

Se il pacco non viene ricevuto entro 30 giorni lavorativi *** Express ha il diritto di chiedere un risarcimento da voi per esso sta tenendo nella quantità di 7,29 EUR per ogni giorno di conservazione. È possibile trovare le informazioni sulla procedura e le condizioni di pacchi tenendo l’ufficio più vicino.”

Probabilmente anche la persona più ingenua e fiduciosa,  alla lettura del messaggio, verrebbe colta dal dubbio che si tratti di un caso (neanche tanto astuto) di phishing.

Penso che potrebbe essere un esercizio interessante “stampare l’etichetta” e “mostrarlo” all’ufficio postale più vicino (per inciso quale ufficio postale? quello più vicino in linea d’aria? quello del paese?), mi piacerebbe vedere l’espressione perplessa  degli impiegati, peccato che, per stampare l’etichetta, sia necessario clicare su un link dall’aspetto poco rassicurante.

Lago maggiore

 

Roma sfregiata.

Mentre ogni giorno arrivano minacce di attacco alla Capitale oggi c’è stata l’invasione, ma non da sud, come molti temono, bensì dal “civilissimo” nord, dalla colta ed avanzata Olanda.

Sono bastate poche centinaia di tifosi (ma come si fa a definirli tali?), una falange di barbari ubriachi in pieno delirio di onnipotenza per mettere a ferro e fuoco il cuore di Roma.

Ora, in attesa che si accertino le responsabilità di chi doveva vigilare sulla sicurezza della città, dei romani, dei turisti, dei monumenti e dei negozi, credo sia il caso di pretendere delle punizioni severe per quanti hanno devastato piazze e fontane (piange il cuore a pensare alla “Barcaccia” il capolavoro dei Bernini restaurato da poco, ridotto a pattumiera) e il risarcimento dei danni.

A chi tocchi pagare, se ai tifosi responsabili o alla società del Feyenoord, poco importa, l’importante è che  sia chiaro che chi rompe paga, soprattutto se ciò che viene rotto è di inestimabile valore perché unico e irripetibile.

Faccio anche sommessamente notare che forse sarebbe stato il caso di sospendere la partita (ma si dirà che non è possibile perché si rischierebbero disordini e devastazioni ben più gravi).

Ritengo comunque inaccettabile che si continui a pensare  che le città europee possano diventare ostaggio di branchi di imbecilli in libera uscita.

roma