La scena si svolge nel parcheggio della scuola all’ora della fine delle lezioni: un bambino, dall’apparente età di sette o otto anni, è impegnato in una sorta di “Pole dance” (uno sport agonistico che è un misto di ginnastica e danza con la pertica) intorno al palo di sostegno di un cartello stradale che oscilla in modo preoccupante, intorno ci sono nugoli di adulti (genitori, nonni?) impegnati in appassionanti discussioni tanto da non vedere (o, peggio, non voler vedere) il pargolo impegnato nell’opera di abbattimento del cartello.
Freno il mio impulso naturale di intervenire in difesa del cartello (pagato anche con le mie tasse) e del pargolo che potrebbe, in caso di crollo, restare colpito e mi limito a segnalare la cosa ad un agente della pèolizia locale che interviene prontamente.
Dopo un breve dialogo con il bimbo che appare pentito e contrito, senza che nessun adulto responsabile si faccia vivo, l’agente si allontana e, non appena ha voltato le spalle, il pargolo riprende i suoi esercizi con reiterata veemenza.
Non starò qui a sottolineare che i miei genitori, se fossi stata ripresa da un vigile, mi avrebbero sgridato e messo in castigo spiegandomi anche che non è il caso di danneggiare le cosa di tutti perché, quando io ero bambina, i genitori non erano i “difensori civici” dei figli, ma in fondo è passato più di mezzo secolo dalla mia infanzia.
Spero solo che, nel caso il palo dovesse cadere facendo del male a qualcuno, non denuncino il Comune per aver piantato un cartello pericolante (che all’origine pericolante non era) nel parcheggio di una scuola.