Archivi categoria: diritti e doveri

Chi non ricorda il passato è condannato a riviverlo.

Oggi è il “Giorno del ricordo”, la solennità civile istituita per fare memoria di tutte le vittime delle foibe e degli istriani, fiumani e dalmati che sono stati costretti a lasciare le loro terre alla fine della seconda guerra mondiale.

La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” legge 30 marzo 2004 n. 92

Si tratta di una solennità che ha suscitato nel tempo critiche e perplessità, perché una parte della storiografia parlò di “memoria dimezzata e di rimozione del fascismo e dei crimini di guerra italiani in Jugoslavia quali terreno di coltura delle successive violenze postbelliche da parte jugoslava”

Questa interpretazione, pur storicamente realistica, non può mettere in ombra che spesso le vittime furono persone innocenti, colpevoli solo di appartenere allo stesso gruppo etnico di chi quei crimini aveva compiuto e che i crimini non si sanzionano mai con la vendetta, ma con la giustizia.

Ricordo una gita scolastica a Trieste e una visita commossa alla foiba di Basovizza e la riflessione che ne é scaturita: nessun essere umano può essere tanto colpevole o tanto odiato da morire così.

Foiba di Basovizza

Il ricordo dei Giusti.

Il “Giorno della Memoria” è stato istituito in Italia nel 2000 (e dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2005) per commemorare, nella data della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz avvenuta 1l 27 gennaio 1945, le vittime della Shoah.

E’ un giorno dedicato al ricordo e alla conoscenza anche se alcuni ritengono sia inutile ricordare e superfluo conoscere, perché “se ne parla sempre”, perché “ormai è una storia passata e sepolta”, perché è un’occasione per fare un po’ di “retorica”.

La parola che balza subito all’occhio di chi visita il Binario 21, il Memoriale della Shoah sorto nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano, è “Indifferenza” perché lo sterminio fu possibile proprio per l’indifferenza dei tanti voltarono la testa davanti alla criminale crudeltà dei pochi.

Allora oggi mi piacerebbe ricordare coloro che non furono indifferenti, coloro che non guardarono altrove, ma si misero in gioco in prima persona per strappare alla morte anche poche persone.

Uno fra questi, un Giusto fra le Nazione, fu Don Eugenio Bussa, il sacerdote dell’oratorio dove andavo da bambina e che ho conosciuto e apprezzato fin da piccola, il quale ne febbraio del 1943, a Serina, in Val Brembana, aprì una casa per accogliere i bambini dell’Isola le cui famiglie non potevano lasciare la città, in quella casa furono ospitati molti bambini ebrei ai quali tuttavia il sacerdote, che era un uomo di libertà e di grande integrità, non propose mai la religione cristiana.

Altri Giusti furono due medici del Fatebenefratelli di Roma, i dottori Borromeo e Ossicini, che, per poter nascondere gli ebrei del ghetto e permettere loro di sfuggire ai rastrellamenti si inventarono la “Sindrome di K” (ironicamente in onore di Kappler e Kesselring), un morbo contagiosissimo e mortale che richiedeva il ricovero in un reparto isolato dove persino i rudi soldati teutonici avevano paura di entrare. Gli ospiti venivano ricoverati per alcuni giorni e poi, quando i documenti falsi erano pronti, venivano dichiarati deceduti e quindi potevano uscire con un nuovo nome e una nuova speranza di vita.

Sono queste le persone a cui dovremmo ispirarci quando ci viene voglia di guardare da un’altra parte.

Romania - Oradea

The Butler

“The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca” è un bel film del 2013 che narra le vicende di Eugene Allen (nella finzione cinematografica Cecil Gaines), maggiordomo afroamericano alla Casa Bianca per più di trent’anni, accompagnando nella loro vita quotidiana i presidenti da Eisenhower a Reagan.

Sullo sfondo della narrazione è sempre presente la storia della lotta per i diritti civili raccontata attraverso i difficili rapporti con il figlio che, da seguace di Martin Luther King, diventa attivista del movimento della Pantere Nere, ma  quando sente Reagan dichiarare che non intende appoggiare il movimento contro l’Apartheid in Sudafrica, Cecil decide dolorosamente di dimettersi dopo tanti anni di servizio e si riconcilia con il figlio.

Alla fine del film il presidente Obama convoca Cecil alla Casa Bianca perché desidera conoscerlo: l’uomo indossa con orgoglio la cravatta preferita di Kennedy che, dopo la morte del presidente first lady Jackie gli aveva regalato, e si avvia all’appuntamento confidando al cerimoniere che non ha bisogno di essere accompagnato nello Studio Ovale perché conosce la strada.

Anche oggi il maggiordomo della Casa Bianca avrà un ruolo importante, forse il più importante, perché sarà proprio lui (a quanto pare) ad accogliere dopo il giuramento il Presidente Biden e la First Lady visto che il Presidente Trump e la consorte, con una decisione quanto meno sgarbata, non saranno lì ad accogliere il nuovo padrone di casa.

Chissà come si sarebbe sentito Eugene Allen?

Milano -Expo 2015 : Indipendence day

Effetto Brexit.

La BBC riporta la notizia della confisca, da parte del personale di frontiera olandese, di panini al prosciutto e di altri generi alimentari ai danni degli autisti dei Tir provenienti dal Regno Unito.

Alle sconcertate rimostranze degli autotrasportatori gli addetti ai controlli doganali hanno risposto “Since Brexit, you are no longer allowed to bring certain foods to Europe, like meat, fruit, vegetables, fish, that kind of stuff,” (più o meno: “Dalla Brexit, non è più permesso portare certi cibi in Europa, come carne, frutta, verdura, pesce, quel genere di cose”).

Forse gli olandesi sono stati troppo rigorosi o magari c’è una sottile rivalsa nelle loro parole, ma indubbiamente hanno rispettato alla lettera (forse troppo alla lettera) le regole imposte dagli accordi internazionali successivi alla Brexit.

Quello che è successo dovrebbe farci riflettere sul fatto che le relazioni internazionali e commerciali sono molto complesse e che decidere su un argomento come l’uscita dall’Unione Europea basandosi solo su impressioni, emotività o parole d’ordine può essere dannoso per tutti, per chi se ne va e per chi resta.

Purtroppo un dibattito su un referendum di questa portata per forza di cose non può essere troppo tecnico (il linguaggio della politica televisiva non lo permette) e va incontro a delle semplificazioni che spesso non consentono di analizzare la questione nelle sue reali implicazioni.

E comunque prima di prendere certe decisioni sarebbe meglio avere tutti gli elementi possibili.

Londra  - Buckingham Palace

“Un marziano a Roma”, ovvero l’effetto Flaiano.

In un breve racconto fantascientifico dal sapore satirico del 1954 (che ha ispirato una commedia teatrale del 1960 e un film per la televisione del 1983) Ennio Flaiano narra le vicende di un abitante di Marte che sbarca a Roma e, almeno inizialmente, viene accolto con entusiasmo, curiosità, timore e grande partecipazione emotiva da parte dei cittadini e dei media.

Con il passare del tempo il “Marziano a Roma” smette di essere una novità e, a poco a poco, i romani cominciano ad ignorarlo e poi a sbeffeggiarlo fino a quando, solo e malinconico, decide di tornare sul suo pianeta (ammesso che riesca a recuperare l’astronave che gli è stata pignorata).

Con il Covid19 è stato un po’ lo stesso: poco meno di un anno fa le prime avvisaglie della pandemia ci hanno impaurito, incuriosito, preoccupato poi, con il passare del tempo, e soprattutto con il falso ottimismo dei mesi estivi, è come se avessimo fatto l’abitudine al virus, ai numeri in crescita dei contagiati, dei ricoverati e persino dei morti.

E’ come se non ricordassimo più le file di mezzi dell’esercito che trasportavano le bare o l’angoscia dei medici e degli infermieri stremati dalla fatica.

E come se non ricordassimo più i giorni passati chiusi in casa, i balconi su cui spuntavano arcobaleni pieni di speranza, le strade e le piazze delle nostre città inesorabilmente vuote.

Non ricordiamo o forse preferiamo non ricordare perché siamo stanchi di restrizioni e, quasi inconsciamente, abbiamo deciso che il virus non fa più notizia, non ci riguarda più, non può più limitare la nostra libertà e forse speriamo che, ignorandolo, faccia come il Marziano del racconto di Flaiano e se ne torni da dove è venuto.

Temo che, purtroppo, non sia così.

Milano - Portello

Aspettando il vaccino.

A novembre, con un po’ di fortuna e di attenzione alle notizie sulla pagina del Comune, sono riuscita a fare il vaccino anti influenzale, come ormai faccio abitualmente da quando ho compiuto i fatidici sessantacinque anni, ma che facevo anche prima, quando mio marito era ancora vivo e, a causa dei continui interventi e delle terapie aggressive, era immunodepresso.

Allora lavoravo in mezzo a ragazzini facili bersagli delle epidemie di influenza e non volevo “portare a casa” qualche virus indesiderato.

Adesso che sono una “vecchietta” preferisco evitarmi un’influenza che, spesso, non è “solo” un’influenza, ma lascia sempre qualche strascico.

Non mi dà fastidio vaccinarmi, a parte un po’ di dolore al muscolo del braccio che ormai ho imparato a ridurre con un po’ di ghiaccio.

Per questi motivi sono in attesa del vaccino contro il Covid19, anche se ovviamente non sono completamente tranquilla (come sempre del resto), anche se so che l’immunizzazione non è immediata, che non se ne conosce la durata, che dovrò continuare a portare la mascherina e a mantenere il distanziamento (le mani le lavavo anche prima della pandemia).

Non avendo grandi conoscenze scientifiche e mediche penso che la soluzione più semplice sia fidarmi di chi ne sa più di me e ritengo che un vaccino, anche se non completamente efficace, sia sempre meglio che continuare così.

Vaccinarsi è un diritto e un dovere nei confronti degli altri.

Vimercate

Attacco al potere.

Sono rimasta attonita davanti alle immagini delle istituzioni degli Stati Uniti sbeffeggiate, irrise, devastate da una folla di persone aizzate dai discorsi irresponsabili di un Presidente (per fortuna ancora solo per pochi giorni) che non sa o non vuole accettare la sconfitta delle urne e, come in un mondo parallelo, continua la narrazione di una vittoria “rubata” e definisce “patrioti” coloro che hanno assaltato non solo il Campidoglio, ma l’essenza stessa della democrazia.

Il bilancio di queste ore di follia è allucinante: ci sono i morti, i feriti e un paese che si scopre diviso come non accadeva dalla Guerra di Secessione e che ora toccherà al Presidente Biden tentare di riunificare anche ascoltando anche le voci del disagio, di chi oggi si sente “derubato” dei suoi sogni prima che di una vittoria elettorale.

Noi che stiamo qui a guardare attoniti le devastazioni di quella che consideravamo la “più grande democrazia del mondo” oltre allo smarrimento dobbiamo imparare la lezione che ci viene da oltre oceano, dobbiamo imparare che la politica non può e non deve parlare alla pancia della gente, ma alla mente e al cuore, che la politica deve individuare obiettivi e speranze e non nemici da incolpare, che la divisione non è mai vincente.

Roma - Fontana di Trevi

Viaggiare.

Sarà forse una delle ultime cose che torneremo a fare, perché viaggiare per diletto è un “diletto” appunto, cioè un piacere, un divertimento, un modo intelligente per trascorrere il tempo libero, ma anche un modo per spalancare gli orizzonti, per conoscere, per capire, per uscire dalla nostra piccola realtà quotidiana.

Viaggiare è una attività umana tra le più sacrificate in questi tempi di pandemia e anche una di quelle considerate più sacrificabili, in fondo “viaggiare non è essenziale”.

Purtroppo, però, per molti il viaggio non è solo un passatempo, ma è l’attività umana su cui si è costruita la vita propria e della propria famiglia e tra queste persone vorrei citare chi lavora in un’agenzia di viaggi, i tour operator, le guide turistiche, gli autisti, gli albergatori, i ristoratori, il personale delle navi da crociera, il personale degli aeroporti, l’equipaggio degli aerei e i custodi di musei e gallerie (e mi scuso se ho dimenticato qualcuno).

E’ anche per queste persone dobbiamo uscire dall’incubo della pandemia, perché tornino a lavorare e perché noi torniamo a viaggiare in sicurezza, in libertà, animati dalla voglia di scoprire, di conoscere e di capire realtà diverse da quella in cui siamo abituati a trascorrere la vita quotidiana.

In volo da Berlino a Bergamo

Assembramenti natalizi.

Dopo le chiusure, le zone rosse e arancioni, gli ospedali in sofferenza a due settimane dal Natale tutta l’Italia è ridiventata zona gialla, i negozi hanno riaperto, i ristoranti e i bar hanno riaperto, anche se con le dovute limitazioni, ci si può muovere da un comune all’altro, da una regione all’altra e, come era prevedibile, la gente si è mossa, ha affollato le vie dello shopping e le vallate alpine piene di neve e di sole.

Chi deve decidere si trova stretto tra la necessità impellente di tutelare la salute di tutti e, contemporaneamente, di permettere all’economia di galleggiare, in un precario equilibrio reso ancora più difficoltoso dalla consapevolezza di scontentare tutti, reso ancora più precario dalle critiche ed osservazioni di chi ha buon gioco a puntare il dito sulle mancanze, a schierarsi dalla parte di chi vorrebbe (forse giustamente) ritrovare la “normalità”, tanto poi, alla fine, il ritornello è sempre “cosa è stato fatto per prevenire la pandemia?”.

E’ inutile stracciarsi le vesti se la gente fa ciò che le è permesso fare come è inutile lamentarsi per gli assembramenti e per la possibile (probabile?) recrudescenza del virus in un futuro non proprio remoto.

D’altra parte se le persone stanno in luoghi aperti, ad una discreta distanza e continuano ad indossare le mascherine anche la Piazza del Duomo piena di gente non mi sembra una situazione così rischiosa, o almeno non più rischiosa di una coda alla cassa di un supermercato o di un viaggio in metropolitana.

Non credo che siano necessarie misure oltremodo restrittive, non penso che chi ci governa debba comportarsi come una babysitter, ma penso che dovremmo essere abbastanza adulti per capire come è meglio comportarsi e che dovremmo capire che se riusciamo a sfuggire alle maglie strette delle regole non siamo “furbi”, ma stiamo danneggiando noi stessi e i nostri cari.

So che le mie sono osservazioni banali, ma, nel mare di banalità e di fake news in cui siamo immersi, è solo una banalità in più.

Milanoc- Luci di Natale in Galleria

In attesa del prossimo D.P.C.M.

In attesa molti di noi leggono le inevitabili anticipazioni, le improbabili indiscrezioni, le fantasiose interpretazioni non tanto per capire cosa potremo o non potremo fare, ma per cercare le scorciatoie per fare quel che ci pare restando in quella zona grigia, un po’ border line, tra ciò che è permesso e ciò che non lo è, ma insomma…

Quando i supermercati avevano tentato di regolare gli ingressi dei clienti mettendo la semplice regola di “uno per nucleo familiare” mi hanno raccontato di allegre famigliole i cui componenti, tutti muniti di carrello, accedevano con l’aria di “single” smarriti all’interno del negozio.

C’è chi ha sottoposto il cane di famiglia ad indicibili stress pur di fare una passeggiata supplementare durante il lockdown.

Ho visto con i miei occhi persone uscire di casa anche quattro volte al giorno e sempre per necessità: una volta per il pane, una volta per la farmacia, una volta per le sigarette, una volta per andare in banca e via di questo passo.

Perché noi italiani siamo fatti un po’ così: le regole ci vanno strette, “fatta la legge, trovato l’inganno”, perché non siamo mica cattivi, siamo solo “furbi”.

Roma - Palazzo Chigi