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Storie d’amore.

Chissà se l’immortale bardo di Stratford upon Avon (sempre ammesso che proprio lì sia nato e non altrove) pur nella sua fervida fantasia avrebbe mai potuto immaginare di scatenare le folle intorno ai personaggi dei suoi drammi.

Oggi a Verona (complici i mercatini di Natale), davanti alla Casa di Giulietta c’era una vera e propria muraglia umana che cercava di entrare compatta nel piccolo cortile, mentre una folla altrettanto imponente cercava di uscirne.

Chi riesce ad intrufolarsi nell’angusto spazio si ferma ad ammirare il mitico balcone, che in realtà non è originale, ma è il risultato di un collage di resti marmorei del quattordicesimo secolo conservati al Museo di Castelvecchio, si scatta un immancabile selfie, sfiora più o meno furtivamente il seno della statua che rappresenta la fanciulla e, se gli resta qualche minuto, scrive una frase, una firma, un nome sul muro dell’ingresso.

Nulla spiega questo massiccio afflusso di persone se non il fascino di una storia d’amore, splendida perchè tragica, la storia di un amore tra due giovanissimi, un amore tanto forte da sfidare l’odio e la morte.

Forse chi cerca di entrare in questo spazio sta cercando la magia di quell’amore.

Verona

Verona

How many roads…

Quante strade dovrà percorrere un uomo, prima di essere chiamato “uomo” ?

Sarà forse perchè tanti anni fa ho cantato spesso questi versi, con una chitarra intorno al fuoco, seduta per terra, spalla  a spalla con ragazzi e ragazze che provenivano da mezza Europa, un’Europa che allora era tagliata in due da un muro, sarà per la speranza che questi versi risvegliavano, sarà per il desiderio di pace che la mia generazione, nata dopo una guerra, cresciuta nel clima della guerra fredda, sentiva con particolare forza, sarà perchè questi versi sono legati alla mia giovinezza, sarà per tutti questi motivi che oggi ho accolto con gioia la notizia che l’autore di questi versi, cantati con una voce un po’ nasale su armonie quasi elementari, ha vinto il premio Nobel per la letteratura.

E poco importa che si siano levate, anche dalle nostre parti, voci di dissenso: il bello del premio Nobel è che non viene assegnato con il televoto, o con un referendum, o da una giuria di “esperti”, ma ad insindacabile giudizio dai membri dell’Accademia di Stoccolma (come indicato da Nobel stesso nel suo testamento) e quindi le polemiche sono prive effetto.

Anche nel 1997 ci furono accese polemiche, sempre dalle nostre parti, quando fu insignito del premio Nobel Dario Fo ed è quanto meno singolare che proprio oggi, nel giorno del Nobel al menestrello, il grande giullare sia arrivato, per dirla con i versi di Bob Dylan, a bussare alla porta del cielo.

Portone

 

Suggestione.

Sono stata spesso a visitare il villaggio operaio di Crespi d’Adda per una uscita didattica quando il chiasso gioioso dei ragazzi spezza il silenzio ovattato delle vie che corrono lungo la fabbrica, o per una passeggiata solitaria, magari in un pomeriggio autunnale, quando le brume che salgono dal fiume scivolano tra le costruzioni e rendono l’atmosfera del luogo quasi magica.

Conosco bene questo luogo per certi versi così affascinante, per altri quasi inquietante, questo luogo che ci parla di lavoro, di ordine, di vite trascorse tra la fabbrica e la casa in una quieta sicurezza che sfuma in una sensazione quasi claustrofobica.

Mai però mi era capitato di attraversare il villaggio di notte, accompagnata da una guida dall’eloquio ricco e affascinante e dalle parole di un attore, in cilindro e tabarro, che delineano un pezzo di storia, raccontano una filosofia industriale, ricreano atmosfere suggestive.

Di notte il silenzio diventa più palpabile, la fabbrica si staglia contro il cielo più incombente e le case, nonostante le luci alle finestre, sembrano quasi il fondale inanimato di un palcoscenico oscuro.

Crespi d'Adda (visita notturna)

Crespi d'Adda (visita notturna)
 

Note, parole ed emozioni.

L’emozione è palpabile nel salone gremito per il “Concerto della memoria”, un’emozione profonda, un’emozione buona che aiuta a dare forma concreta a  pensieri e memoria.

Sistemo i fogli sul leggio, do un’ultima occhiata al testo e poi, nella penombra della sala, nel silenzio che cala improvviso cerco dentro di me la forza di un’emozione per poter restituire le parole nella loro forza evocativa, perché non si perdano nell’aria, perché risuonino nelle menti e nei cuori di chi ascolta.

Sento una scarica di adrenalina, le mie mani, aggrappate al leggio, tremano un po’, ma la mia voce esce sicura, profonda poi le parole finiscono, per un attimo la loro eco vibra ancora nell’aria e poi si leva, consolatoria e rassicurante, la musica e l’emozione si stempera, cullata dalla melodia.

Non è facile “fare memoria” senza cadere nell’eccessiva enfasi o nella vuota retorica, bisogna lasciarsi guidare dalle emozioni, senza abbandonarsi troppo ad esse, bisogna permettere alla ragione di rimanere vigile, bisogna permettere ai pensieri di farsi strada sul filo delle emozioni nelle menti spesso distratte o avvezze a cercare di dimenticare.

“Fare memoria” diventa così un modo per conoscere, per capire, per condividere.

Moggio autunno;

Per una stella.

Un soldato, Pietro, parte volontario per “ritrovare” il fratello, cappellano militare, caduto sotto il fuoco nemico in Val di Ledro, dall’altra parte del confine una bambina, Rosa Anna, attende il ritorno del padre dal fronte.

In mezzo c’è la guerra, la prima guerra mondiale, con i suoi orrori, con il fango, la miseria, il disprezzo per la vita umana.

Le due vite si sfiorano, i due racconti si intrecciano con un ritmo serrato, in una scenografia spoglia, ma essenziale ed estremamente evocativa, e sono racconti di vuoti da colmare, di attese, di domande senza risposte.

Il filo conduttore è una stella alpina, il fiore delicato, ma tenace, che il padre promette alla bimba e che Pietro ritrova nel grande prato raccontato dal fratello nelle lettere dalla trincea.

La stella alpina unirà, alla fine, i destini dei due giovani.

Per una stella” è uno spettacolo teatrale emozionante ed intenso.

Stella alpina

 

Tornare al futuro.

Il 2015 è iniziato da poche ore, il mitico 2015 nel quale veniva catapultato il giovane Marty Mcfly che, dopo il viaggio nel 1955, si trovava nell’impellente necessità di recarsi nel futuro per sistemare qualche improbabile frattura nel continuum temporale.

Certo oggi non abbiamo skateboard o auto volanti che si muovono usando rifiuti come carburante, il futuro sembra un po’ meno avveniristico di come lo immaginavano i creatori della celebre trilogia, in compenso avremo Expo e un cielo popolato da ronzanti droni manovrati da ragazzini non molto esperti (ho vissuto il brivido di un incontro ravvicinato con uno di questi u.f.o. proprio il giorno di Natale).

Come già era successo con il 2001, così diverso dal mondo immaginato da Kubrick, il futuro, nell’immaginazione di scrittori e sceneggiatori è l’ “undiscovered country” che, quando è ancora lontano, offre la possibilità di scatenare la fantasia, di sognare invenzioni e scoperte, di proiettare desideri e paure.

Poi, quando il futuro arriva, magari scopriamo che è un po’ più “normale”, un po’ più banale, un po’ più rassicurante.

Vestirsi di luce.

Martedì 16 settembre si è svolta a Milano la “Vogue Fashion’s Night Out”  che ha visto le vie intorno al Duomo e nel Quadrilatero, illuminate a giorno, animarsi di eventi, di musica a tutto volume, di folle vaganti da un negozio all’altro, da un aperitivo all’altro.

C’era solo un angolo silenzioso, lungo il camminamento che porta da Corso Venezia porta  al teatro San Babila, dove le sarte esperte dell’Atelier Sangalli erano al lavoro con macchine da cucire e telai per mostrare come nascono le  creazioni della casa di Haute Couture.

Il percorso proseguiva poi all’interno del teatro con la mostra fotografica “Valentina Cortese, la Diva”, progettata da Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti, che testimonia, attraverso trenta immagini, l’eleganza e lo stile della grande attrice.

Ma la vera sorpresa, dopo aver visitato la mostra, si trovava nella sala buia del teatro dove, sul palcoscenico, ha preso vita la performance “Light my Night” di Federico Sangalli: un prezioso omaggio all’eleganza e al glamour.

Nel buio della sala, come per magia, si poteva scorgere un elegantissimo abito da sera in organza percorsa da fibra ottica, luminoso e incantato, una creazione tra tradizione e innovazione, un abito brillante di luce propria come una stella creato per rendere omaggio ad una delle grandi stelle della prosa e del cinema.

Milano
 

Prima di tutto la voce.

Oggi si è spento, all’età di novantasette anni, Arnoldo Foà, un grandissimo attore il cui nome forse ai più giovani dirà poco anche se penso che molti riconoscano la sua voce, calda, profonda, emozionante, inconfondibile.

Ed è proprio la sua voce che emerge dai miei primi ricordi d’infanzia, la voce del Capitano Smollet de “L’isola del tesoro“, lo sceneggiato televisivo che mi teneva appiccicata alla televisione con un misto di curiosità e di paura, la voce di Foà ferma e rassicurante riusciva a disperdere i timori che mi agitavano fin dalla sigla (una simpatica canzoncina che suonava come “Quindici uomini sulla cassa del morto”).

L’altro frammento di memoria è legato a un disco in vinile, che uno zio in vena di slanci culturali mi aveva regalato in occasione di un Natale, con inciso il “Lamento per Ignacio Mejias” di Federico Garcia Lorca (anche se in realtà il disco recava la scritta “La morte del Torero).

Sembra incredibile, ma, affascinata dalla voce e benché fossi molto piccola e probabilmente capissi poco del testo poetico, ascoltai la poesia centinaia di volte, fino ad impararla a memoria e a riuscire a ripeterla con le pause espressive dell’attore.

Forse il mio amore per la poesia, in generale, e per Lorca nasce proprio da quell’ascolto e se oggi mi ritrovo ad avere una particolare attenzione per la lettura espressiva, se oggi riesco a leggere ad alta voce trasmettendo emozioni credo proprio di doverlo anche alla voce di Arnoldo Foà.

La signora del palcoscenico.

Si è spenta a Roma Rossella Falk una delle grandi regine del teatro italiano.

Mi resterà il ricordo di una signora elegante e raffinata, con un viso spigoloso, particolare e bellissimo che ricorda un po’ la fisionomia di Greta Garbo.

Mi resterà il ricordo di una recitazione misurata, di una irripetibile interpretazione dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, del sodalizio artistico con Romolo Valli e Giorgio de Lullo nella “Compagnia dei giovani” che tanto ha donato al teatro di prosa italiano.

Dopo Anna Proclemer, scomparsa qualche giorno fa, se ne va un’altra grande signora del palcoscenico.

Acqua.

Splendido spettacolo teatrale, questa sera, per parlare di acqua, messo in scena dalla compagnia  Itineraria.

Mi spiace solo che il pubblico non fosse numeroso come il tema trattato avrebbe meritato, ma comunque c’era attenzione e una tensione positiva e palpalbile.

Mi fa piacere che proprio oggi, nella giornata in cui a Roma hanno sfilato in migliaia per ribadire che l’acqua è un diritto di tutti e non una merce, anche nel nostro piccolo si sia dedicata una serata a riflettere su questo bene prezioso e inalienabile.

Moggio autunno